L’utopia della normalità

Autori:Redazione

Data: 01/10/01

Rivista: ottobre 2001

Finite le vacanze tutto sta rientrando lentamente nella normalità. Già… normalità! Ma questa vi sembra una parola dotata di senso dopo quanto è successo l’11 settembre? Possiamo ancora parlare di normalità? Oppure normalità è sinonimo di utopia? Sarà ancora possibile parlare di un senso comune, di una percezione condivisa da tutti gli uomini di far parte di un’umanità unica accomunata in un unico destino?

A dispetto delle illusioni illuminista del ‘700 e positivista del ‘800, la ragione e la scienza non procedono verso la libertà dal male e dall’ignoranza. Nel secolo appena trascorso, fatte fuori con la forza le ideologie più violente e tramontate le più utopistiche, si era ripiegati sull’illusione che uno sviluppo economico e tecnico continuo avrebbe portato benessere, salute e pancia piena a tutti eliminando alla radice tante cause di guerre e divisione tra i popoli: libertà dal bisogno e dalla malattia avrebbe permesso a tutti di dedicarsi alla ricerca della propria felicità, di fondare un mondo di tutti, senza conflitti per l’accaparramento delle risorse e delle tecnologie.

Invece dall’11 settembre, dallo schianto del primo aereo contro le torri, questa meta si sta allontanando. L’attacco ha dimostrato che la centralità delle visioni del mondo proprie di ogni religione, dello spirito, della patria o dei soldi che siano, propria di ogni popolo che a quella religione si rifà, sono rimaste inalterate nella loro impermeabilità se non addirittura si sono acuite.

La vicenda non sarebbe di competenza di questo giornale ma noi ne parliamo per il rapido germogliare di uno di quei cosiddetti effetti collaterali che sempre fanno da contorno a questi avvenimenti: la paura. Si, la paura che si va diffondendo dell’altro, del diverso, di quello col turbante o con gli occhi a mandorla o dai vestiti di foggia strana, di uno che si vede subito essere un altro, un possibile terrorista o uno che in ogni caso col suo modo di essere e di pensare mette in crisi le nostre certezze.

Si è già saputo di gente con la faccia da medio orientale lasciate a terra dal pilota di un aeroplano perché gli altri passeggeri non volevano salire se c’era su quello lì, di immigrati sempre con la faccia da mediorientali non assunti in posti di lavoro, della proposta del cardinale di Bologna di far entrare in Italia soltanto persone con cultura affine alla nostra, di discriminare insomma la miseria e la fame in base alla sua provenienza.

Brutto segno! Di questo passo i popoli del mondo formeranno una piramide umana al cui vertice saranno i cittadini dei paesi ricchi e potenti e più sotto e giù fino alla base, gli altri dislocati in funzione del loro modo di pensare, di vestire, di mangiare, del reddito che riusciranno a produrre e del tipo di faccia che si ritroveranno,. ecc.

Per noi come Italia non ci sono grandi rischi: se non occuperemo il top della piramide saremo appena sotto. Semmai noi italiani con qualche difficoltà fisica, mentale oppure esistenziale, potremmo subire l’onda lunga della diffidenza, del disimpegno, del disinteresse verso l’altro che in situazioni di pericolo generalizzato porta individui ad interessarsi ognuno prima di tutto di se stesso e del suo particolare e poi di chi gli sta attorno. Chiaramente non è un rischio dal punto di vista dell’assistenza economica o sociale, non verrà certo a mancarci il sostegno (l’assegno) dello Stato. Il rischio è un altro: che i più deboli, chiunque abbia un disagio a qualsiasi livello, venga travolto da questa chiusura nel proprio particolare perseguito dagli altri perché ritenuto l’unico posto sicuro, l’unico per il quale semmai valga la pena di preoccuparsi, di sacrificare il proprio tempo e le proprie energie. A chi mai potrà piacere questo mondo?

Adesso spazio ad una breve presentazione dell’ultimo numero di Pro.di.gio, l’ottavo… è si… proprio l’ottavo!

Pubblichiamo per l’occasione il verbale dell’assemblea dei soci da cui risulterà in modo chiaro che il giornale sta bene e cammina saldo sulle proprie gambe. Prima però, a pagina 2, la consueta pagina per così dire burocratica sulle decisioni prese nei palazzi ufficiali. Non ci sono grandi novità: anche i nostri politici d’estate preferiscono l’ombrellone alle tanto sudate (per arrivare a sederci sopra s’intende!) poltrone.

Seguirà la spigliata intervista ad una ragazza americana in carrozzina: un incontro casuale con lei ha fornito a Pino l’opportunità per uno scambio di opinioni sulle rispettive esperienze.

Ci sarà poi una specie di riassunto di un opuscolo messo in circolazione all’opera universitaria per quegli studenti disabili che intenderanno frequentare l’università qui a Trento. Da pro.di.gio. un invito a tutti gli interessati ad approfittare delle opportunità offerte.

Una grossa novità caratterizza questo numero: la posta. Nel corso dell’estate abbiamo ricevuto ben tre e-mail più una serie di telefonate. Il tenore delle affermazioni, le richieste di precisazioni e l’indicazione di argomenti di cui siamo invitati ad interessarci, ci ha fatto capire con quanta attenzione sia letto il giornale.

Spazio poi all’associazione di auto mutuo aiuto AMA e ad uno dei suoi corsi, quello per contrastare l’ansia ed il panico. Descriveremo il suo modo di operare, modo che si potrebbe definire dal basso: chi ha un problema è visto come una persona portatrice di risorse e non come un paziente, un soggetto attivo e responsabile e non una persona passiva e bisognosa dall’esterno di aiuto.

In chiusura, come sempre, la rassegna stampa piena di notizie spigolate qui e là dalla stampa locale e nazionale. Buona lettura.

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