Ero sull’autobus qualche mattina fa e sentivo la gente discutere di infanticidi degli ultimi anni: era appena successo il fatto di Mezzocorona. Il commento suppergiù non cambia mai… “Ma come si fa” “quella era pazza” “brutta troia” e via dicendo.
Ogni volta che ne sento parlare, spero di sentire un giudizio diverso, una considerazione differente di queste donne che non giustifico ma comprendo.
Questi “piccoli omicidi” sono il frutto di mesi e mesi di campanelli di allarme.
Il fatto che molte madri riescano a “cavarsela” da sole, a superare il momento più critico della depressione post – parto, non significa assolutamente che in tutte le donne sia insita questa naturale predisposizione alla maternità.
Avere un figlio, per una donna, non rassomiglia neanche lontanamente alla sensazione di diventare padre, per quanto un compagno possa essere presente.
Passi nove mesi durante i quali il tuo corpo si stravolge, il tuo ventre si gonfia ed il tuo viso si ingrandisce.
Hai fame, caldo, sete, voglia di ridere e piangere insieme. E ti senti così terribilmente sola, diversa, smarrita. Ma soprattutto diversa.
Poi il dolore del parto, la sensazione che ora finirà tutto e tornerai come prima… Ma ti sbagli. D’improvviso ti trovi a dover annullare te stessa per questo nuovo essere: tu non esisti più. Non esiste che lasci da solo tuo figlio, non esiste che uno dei tuoi bisogni prevarichi i suoi.
E così, se il tuo compagno non ti sta accanto, se nessuno coglie i segnali del tuo malessere, se prima o poi arriverai all’esasperazione (e non è difficile), allora, magari, sarai anche tu una madre assassina.
Perché nessuno si chiede che cosa diventa IL BAMBINO per una madre esaurita?
Perché nessuno si chiede dove sono stati i mariti, i compagni, le famiglie di queste donne?
Certo, non tutte le gravidanze sono l’incubo che sopra ho descritto, però lo possono essere e questo non lo possiamo scordare.
Nessuno forse si pone il problema che quando si diventa madri si può anche avvertire il forte bisogno di essere ancora figlie.
Che magari i bambini, belli, morbidi e vellutati, possono divenire dei distruttori di sogni, degli esseri tremendamente egoisti che non ti lasciano tregua.
E la cosa più triste è la solitudine di queste donne, che riescono a far sgorgare le lacrime più avvelenate, uccidendo i loro figli.
Con questo non sto suggerendo un conferimento della medaglia al valore civile o giustificando un gesto così atroce, ma forse sarebbe il caso di smettere di chiamarle “puttane ammazzabambini”.