Sappiamo quanto la pubblicità sia capace di influenzare non solo i nostri comportamenti ma anche i costumi, il linguaggio (o così o Pomì!), il modo di pensare, l’etica della gente. Per questo, ogni pubblicitario ha una certa responsabilità nel fare il proprio mestiere, non molto diversa da quella di un giornalista, uno scrittore o un intellettuale che si rivolgono ai propri lettori.
In verità, l’Istituto di Autodisciplina Pubblicitaria (lo IAP) esige che la pubblicità sia “onesta, veritiera e corretta”, pena la sua cancellazione. Non una parola, però, riserva alla tutela del consumatore contro gli eccessi e le scorrettezze della stessa!
Roberto Gorla, pubblicitario milanese (ricorderete un suo spot sulla pasta: Silenzio, parla Agnesi) ci parla in questo libro della pubblicità in generale, da quella che fa a pezzi i film in TV (il record in Perù: 4 ore per un film di una e mezza!) a quella che pretende di strapparci un sorriso trasformando una barzelletta idiota in uno spot (il Caffè Kimbo, ad esempio) a quella creativa (il bambino che vuole afferrare l’aereo nella pozzanghera) fino a quella subdola pianificata per creare consenso su qualcosa, tipo la guerra all’Iraq.
Pieno di proposizioni paradossali, ironia, umorismo ed eleganze stilistiche, il testo ci svela molti retroscena buffi, imbarazzanti e perfino perfidi di questo mondo. Ci mette in guardia su un potere persuasivo che impregna la nostra quotidianità e la condiziona con la rappresentazione di una realtà fittizia inventata soltanto per trasformarci in compratori acritici di beni.
Jacques Sequela, famoso creativo francese, sostenne nel suo Hollywood lava più bianco che noi non compriamo prodotti ma sogni: ahinoi, se quelli suggeritici dalla pubblicità sono sgangherati, fuori dalla realtà o peggio incubi, che sarà della nostra libertà di decidere un acquisto piuttosto di un altro o di non comprare?
Gorla rimprovera ai pubblicitari, in particolare quelli italiani, di aver rinunciato a comunicare sentimenti e comportamenti positivi, a trasmettere, assieme all’invito a consumare il prodotto reclamizzato, cultura e ad usare la creatività con intelligenza. Avrebbero preferito sottomettersi all’opportunismo verso i committenti (quelli che tirano fuori i soldi), relegando spesso la creatività, quintessenza del mestiere, ad optional non richiesto, per lasciar posto alla stupidità, al cattivo gusto ed all’ignoranza.
La prova? Al Festival Pubblicitario di Cannes, dove con i Leoni d’oro si premiano gli spot più interessanti, l’Italia finisce regolarmente nelle retrovie, surclassata da Paesi non certo rinomati per la loro creatività e fantasia: nel 2002 ci ha preceduto anche la Korea!