“In Mare Nostrum ci sono tanti filoni aperti: i cpt, l’illegalità della Bossi-Fini-Mantovano, gli sbagli clamorosi di certa sinistra al Governo negli anni passati, ma soprattutto il film è il racconto di come il concetto di guerra preventiva si infiltra nei gangli della quotidianità. In Italia è stata fatta una guerra preventiva all’immigrazione tutta, non solo a quella clandestina: è la xenofobia che diventa legge” (…).
“Questo è un film-inchiesta che documenta l’indocumentabile, e cioè che nel nostro Paese considerato civile esistono leggi anticostituzionali e vere e proprie Gantanamo in cui i diritti umani vengono calpestati, nel silenzio generale”.
Stefano Mencherini si spiega così, in un’intervista del settembre 2005 con la giornalista Elisa Speretta (versione completa su www.narcomafie.it/art4_09_2005.htm), la censura che il film-inchiesta ha subito e sta ancora subendo da parte di tutti i mezzi di comunicazione di massa italiani.
Il film, infatti, è del 2003. E da due anni Mare Nostrum è censurato e continua ad esserlo. Da tutti: televisioni, radio, giornali, agenzie di stampa. Anche dal servizio pubblico di informazione che tutti noi cittadini paghiamo.
Certo, è una testimonianza “scomoda” per molti, che denuncia delle situazioni gravissime di illegalità e incostituzionalità, ma questa censura pesante da parte di tutti i media è una chiara e grave violazione dell’articolo 21 della Costituzione italiana che recita:
Tutti hanno diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione.
La stampa non può essere soggetta ad autorizzazioni o censure (…).
Anche per questo Stefano Mencherini si è fatto portavoce di una campagna per la libertà di informazione. Il 24 giugno 2005 inizia la sua protesta: sciopero della fame a oltranza e a staffetta. Un atto forte e drastico per avere un incontro con il Presidente della Repubblica Ciampi e per ottenere dalla Rai (l’azienda per cui Moncherini stesso lavora) la liberazione del film-inchiesta Mare Nostrum. Sono in molti a sostenere il giornalista: parlamentari italiani e europei, sacerdoti, suore di vera carità, missionari tra cui padre Alex Zanotelli, molti giornalisti, associazioni e Ong antirazziste tra cui Peacelink, artisti, personalità del mondo della cultura e molti liberi cittadini.
Eppure, per quanto censurato, ignorato, boicottato, oscurato dai maggiori canali di diffusione, Mare Nostrum si è liberato. È stato conosciuto e apprezzato da molti. E continua ad esserlo. Il pubblico, riprendendo le parole della giornalista Speretta, ha rivendicato e diffuso un prodotto ignorato dai canali tradizionali. Così, Mare Nostrum ha viaggiato e continua a viaggiare grazie al tam-tam della gente comune, sospinto dalla voglia di sapere quello che le istituzioni non vogliono far sapere.
A proposito Mencherini -nell’intervista rilasciata a Elisa Speretta- commenta: “ (…) Si può dire che [Mare Nostrum n.d.a.] non sia più solo mio, è di tutti, nel senso che si è liberato da solo su Internet tanti mesi fa, senza neanche che io lo sapessi, ben prima di regalarlo ad Arcoiris perché lo rendesse fruibile sul suo sito. E poi la campagna si è allargata a macchia d’olio, coinvolgendo associazioni, sindacati, e centinaia di cittadini che hanno aderito all’appello per sdoganare dalle censure Mare Nostrum in Rai (…)”.
Moltissime sono state anche le proiezioni autogestite organizzate nelle scuole, nelle piazze, nei centri sociali, nelle università, nelle parrocchie di tutta Italia. L’ultima proiezione del film in programma per il 2005 è prevista per il 17 dicembre a Cesenatico, al Circolo “Fuoriquadro” presso il Palazzo del turismo alle ore 21.00.
È in atto una vera e propria mobilitazione dal basso. Ed è rincuorante saperlo.
Film-inchiesta realizzato e prodotto nel 2003 dal giornalista indipendente e regista RAI Stefano Mencherini, Mare nostrum racconta e denuncia in 59 minuti l’inumana condizione degli immigrati nei Cpt (Centri di permanenza temporanea) italiani sottolinenando alcuni aspetti di incostituzionalità della legge sull’immigrazione –la 189 del 30 luglio 2003- conosciuta col nome di Bossi-Fini-Mantovano.
Il documentario si apre con l’immagine di Berlusconi, leader di un partito politico ancora all’opposizione, affranto e in lacrime. Era il 1997, all’indomani di quella che è ricordata come la “Strage del Venerdì Santo”: ottanta albanesi che tentavano di raggiungere le coste italiane morivano dopo che la loro imbarcazione era entrata in collisione con un mezzo della marina militare. L’ipocrisia del politico è evidente: sei anni dopo, durante il suo Governo, è stata promulgata una legge sull’immigrazione che viola alcuni diritti sanciti dalla nostra costituzione e tende a considerare l’immigrato principalmente in maniera utilitaristica (ovvero, può restare solo se serve e produce).
Sullo schermo scorrono le immagini di un inseguimento tra scafisti albanesi e Guardia di Finanza italiana tra la Baia di Valona e il Canale di Otranto. Era il 2000, il periodo dei “respinigmeti” a colpi di kalashnikov.
Subito dopo, ecco filmato l’arrivo dei “clandestini” al centro di permanenza temporanea “Fondazione Regina Pacis” di San Foca, in provincia di Lecce. Parlano alcuni immigrati di religione mussulmana; denunciano violenze fisiche e insulti da parte dei carabinieri, del personale e anche da parte del direttore del centro, don Cesare Lodeserto, segretario particolare dell’arcivescovo Cosmo Ruppi. Dicono di essere stati presi a calci e raccontano di gravi offese e umiliazioni e in particolare di come, dopo diversi pestaggi, sono stati ingozzati con pezzi di carne di maiale crudo tra insulti e risate di scherno.
A seguire, il documentario propone gli effetti dell’applicazione di una legge estremamente rigida, e per qualche aspetto incostituzionale (la Bosi-Fini-Mantovano), attraverso delle testimonianze. Parlano persone diverse con storie diverse accomunate dalla circostanza di essere immigrati e dalla negazione di alcuni dei diritti fondamentali dell’uomo: il diritto ad essere difesi e il diritto alla salute in primis.
La prima, è una ragazza nigeriana di 24 anni. A Cagliari è stata ripetutamente violentata e picchiata da tre ragazzi italiani che l’hanno ridotta in fin di vita. Dopo aver trovato il coraggio di denunciarli, mentre è in ospedale, è colpita dal “decreto di espulsione” che, così, le nega il diritto -sancito dalla costituzione italiana- ad essere difesa e a ricevere giustizia. Poi la parola passa ad un lavoratore straniero irregolare rimasto paralizzato in seguito ad un incidente sul lavoro. Racconta che nel suo Paese ha lasciato una moglie e dei figli. Ringrazia l’Italia perché gli ha permesso di lavorare -anche se “in nero”-, di guadagnare e di far sta meglio la sua famiglia. Parla da un letto dell’Unità Spinale dell’ospedale pubblico di Careggi, in provincia di Firenze, ed è consapevole del fatto che se fosse colpito dal decreto di espulsione potrebbe rischiare la morte. Nel suo Paese di origine, probabilmente, non riceverebbe le cure necessarie. Una chiara negazione del diritto all’assistenza e alla saluti; un diritto garantito dalla costituzione italiana.
Ma nel film ci sono anche gli “altri” immigrati, i cosiddetti regolari: quelli con un lavoro, quelli che pagano le tasse, e che pertanto – così come da legge Bossi-Fini-Mantovano- avrebbero il diritto di ricevere il diritto di soggiorno. Eppure, molti di loro vivono, ugualmente, da clandestini a causa di ingiustizie e di ritardi nell’applicazione delle legge stessa.
Lapidari, appaiono in chiusura gli articoli della Costituzione che la legge sull’immigrazione Bossi-Fini-Mantovano viola: diritti della persona, di circolazione libera, alla salute ed alla difesa (artt. 2, 3, 13, 16, 24 e 32).