Autori: Stella di Luiso
Questa è la storia di una tra le molte donne eccezionali che, spesso dimenticate da una Storia scritta al maschile, hanno determinato le conquiste dell’umanità.
Marie Curie nacque nel 1867 in Polonia da una famiglia amante dello studio e della scienza, ma senza molte possibilità economiche. Perciò, solo a ventiquattro anni ebbe la possibilità di realizzare il suo sogno di recarsi a Parigi e frequentare la Sorbona. L’incontro con Pierre Curie fu un amore a prima vista, accomunato da un profondo interesse per la ricerca. Il loro laboratorio era un cadente capannone annesso alla facoltà di chimica. Gli esperimenti li portarono ad individuare un elemento sconosciuto, trecentotrenta volte più radioattivo dell’uranio, ma instabile. Marie, fervente patriota, volle chiamarlo Polonio in onore della sua patria tristemente sottomessa alla Russia zarista. Fu di poco successiva la scoperta che valse loro il Nobel per la fisica: un altro, più stabile, elemento che chiamarono Radio in virtù del chiarore che emetteva al buio. In verità il comitato per l’assegnazione del premio fece il solo nome di Pierre. Ma lui si disse pronto a rifiutare se non poteva condividerlo con la moglie che aveva contribuito, anche più di lui, alla scoperta. E così Marie fu la prima donna a cui venne conferito il più prestigioso dei premi scientifici anche se, in quanto tale, le fu impedito di leggere dal palco il discorso che insieme avevano preparato. Nonostante la società maschilista e ottusa in cui si trovò ad operare, che relegava le donne ai soli ruoli di mogli e madri, Marie era consapevole del suo valore e del contributo umano e scientifico che avrebbe potuto dare all’umanità intera. Emblematica è la risposta che diede ad un giornalista che scioccamente le domandava cosa si prova a vivere con un genio: «Non so, chieda a mio marito». Presto divenne evidente l’importanza del radio in ambito medico, soprattutto in relazione alla cura del cancro. Brevettare le loro scoperte avrebbe potuto sollevare i coniugi Curie dalla cronica carenza di fondi per le ricerche e renderli molto ricchi, ma loro non vollero mai farlo poiché ciò avrebbe implicato un aumento dei costi delle cure e degli altri impieghi che il radio aveva trovato in medicina e consideravano le scoperte scientifiche un patrimonio di tutto il genere umano.
Nel 1906 Pierre Curie morì, travolto da una pesante carrozza mentre si recava al laboratorio. Marie rimase sola con le figlie di due e nove anni, in una situazione economica non certo agiata. Grazie all’intervento di alcuni amici le fu proposto di ricoprire, in quanto vedova di Pierre e in assegnazione provvisoria, la cattedra che era stata del marito alla Sorbona, ma le sue lezioni richiamarono così tanti studenti e interesse da parte del mondo accademico che l’università si vide costretta a ufficializzare la sua posizione conferendole il ruolo di professore ordinario. Fu la prima donna nella storia del prestigioso ateneo a ricoprire tale incarico e, cosa ugualmente importante, aprì la strada ad altre eminenti studiose che, nel corso del ventennio successivo, l’università incaricò come docenti, superando finalmente le restrizioni di genere.
Verso la fine del 1910 si liberò un posto nell’autorevole Accademia delle Scienze di Parigi. Marie decise di candidarsi, dato il prestigio che ormai aveva raggiunto anche a livello internazionale, per le positive ricadute che la nomina avrebbe avuto, poiché il costante impegno nella ricerca di finanziamenti le sottraeva tempo allo studio e alla sperimentazione. Ma aveva sottovalutato l’ottusità degli accademici, i quali sentenziarono che mai una donna avrebbe messo piede in quel tempio sacro! La sua candidatura richiamò un folto pubblico che il giorno dell’elezione si assiepò ai cancelli dell’istituto. «Lasciate entrare tutti fuorché le donne» furono le parole del presidente! In un clima di agitazione e confusione si svolsero quindi quelle votazioni che (l’avreste mai detto?) la videro sconfitta. Marie non fece commenti, ma da allora in poi si rifiutò di concorrere ad altri seggi ed onorificenze.
Intanto nella sua vita privata, dopo quattro anni di lutto e depressione per la morte del suo amato Pierre, un altro uomo giunse a rasserenare i suoi giorni. Paul Langevin era uno studioso di fisica che già in giovane età aveva conquistato una certa fama. Marie e Paul si conoscevano da tempo poiché lui era stato un collaboratore di Pierre e spesso aveva lavorato con lei a preparare le lezioni alla Sorbona e gli esperimenti in laboratorio. Che stringessero un legame amoroso era quasi inevitabile. Ma Paul aveva un gran “difetto”: era già sposato e padre di quattro figli a causa dei quali, pur vivendo una tempestosa storia coniugale, non sapeva decidersi a divorziare e abbandonare la famiglia. Le relazioni, si sa, si intrecciano in due, ma fu solo Marie a subirne le conseguenze: fu violentemente accusata dalla stampa conservatrice di essere un rovina-famiglie, fino al punto di dover temere per la sua vita e per quella delle figlie, e ci furono anche duri attacchi nei confronti di amici che osarono ospitarle e proteggerle. Niente di tutto questo dovette subire Paul: per il fatto di essere un uomo veniva “giustificato”! Intanto era arrivato da Stoccolma il telegramma in cui le si annunciava la volontà di conferirle il Nobel per la chimica, per essere riuscita a isolare un grammo di radio. Ma, quando l’eco dello scandalo che l’aveva travolta giunse in Svezia, con un secondo telegramma le fu richiesto di non accettare poiché se l’accademia ne fosse venuta a conoscenza prima con ogni probabilità non le avrebbe conferito l’onore. Marie, razionale ed orgogliosa, rispose: «Il premio mi è stato assegnato per la scoperta del radio e del polonio e credo non vi sia alcun rapporto tra la mia opera scientifica e le vicende della mia vita privata. In linea di principio non posso ammettere che le calunnie e le maldicenze della stampa influenzino l’apprezzamento accordato al mio lavoro scientifico».
Perciò si recò a Stoccolma per ricevere l’alta onorificenza dalle mani del re e nessuno si azzardò a parlare dei suoi fatti personali.
Quando scoppiò la Prima guerra mondiale la Francia si trovò impreparata a fronteggiare le cure per le vittime di nuove micidiali armi: soltanto in alcuni ospedali parigini era presente un servizio di radiologia necessario ai chirurghi per salvare la vita ai soldati feriti da pallottole e schegge. Marie, accesa pacifista e strenuamente contraria ad ogni azione bellica, ebbe l’idea di organizzare un servizio di unità mobili di radiologia da spostare sui vari fronti di guerra e negli improvvisati ospedali militari. Le cosiddette “petites Curie” erano grosse automobili riadattate e fornite di una strumentazione semplice ed essenziale per gli esami radiologici. Aiutata da molte volontarie pare che siano state fatte dai suoi laboratori mobili più di un milione di radiografie.
Marie morì nel 1934 per un’anemia aplastica dovuta all’esposizione alla radioattività che aveva caratterizzato tutta la sua vita di studiosa. Nel 1995 il presidente francese Mitterand, alla presenza di quello polacco Walesa, fece traslare le spoglie dei coniugi Curie nel Pantheon, dove giacciono quelle dei grandi di Francia.
Patriota, pacifista e grande scienziata, Marie Curie ha aperto la strada maestra verso la parità di genere, perché non esiste “l’altra metà del cielo” ma un unico cielo sotto il quale ognuno, donna o uomo che sia, ha il compito di collaborare allo sviluppo dell’umanità intera.