Una chiacchierata con Massimo Bernardoni, presidente del Comitato Italiano Paralimpico in Trentino. Dopo molti anni si passa da un comitato paralimpico ad una delegazione. Un team di eccellenze che insieme lavoreranno per scrivere il futuro dello sport paralimpico trentino. Il presidente ci racconta cosa cambia e quali sono i progetti in un territorio a forte evocazione sportiva sia invernale che estiva.
Sport e Disabilità: da molti anni sei il punto di riferimento sul nostro territorio. Cosa cambia ora con la nomina ufficiale di Presidente del comitato paralimpico trentino?
Sicuramente cambia molto in termini di fattibilità delle attività. Il regime di deleghe che c’è stato fino a marzo 2021 era limitativo rispetto alla possibilità di creare qualcosa di concreto sul territorio. Ero da solo e condizionato ad una figura pressoché di rappresentatività. Non potevo vantare un campo d’azione che invece ora esiste anche grazie ad una preziosa squadra di delegazione. Lavorando in team possiamo organizzare attività ed iniziative coprendo più ambiti.
Immagino quindi ci sarà anche una disponibilità economica maggiore?
Hai toccato un punto importante. Il budget sarà sicuramente riparametrato: il passaggio da un semplice comitato ad una delegazione è importante. Ci sono dei criteri che tengono conto di popolazione, provincia, contributi finalizzati ad alcune attività e quindi niente sarà improvvisato o inventato. Come Cip regionale possiamo gestire adeguatamente le risorse per progetti ed attività sul territorio. Compete invece al Cip nazionale stilare progetti propri durante l’anno partendo dalla formazione a scuola, all’avviamento allo sport ed il finanziamento diretto alle società e agli atleti.
Quali sono i primi progetti sui quali state lavorando?
Da marzo siamo partiti a duemila all’ora. Abbiamo già avviato un programma ricco, partendo dal convenzionamento di Villa Rosa, unità spinale d’eccellenza a Pergine, con l’obiettivo di creare un centro di avviamento allo sport paralimpico. Supportati da personale esperto, spazi adeguati ed attrezzature crediamo nello sport come riabilitazione. Un secondo progetto, già in atto, è un monitoraggio approfondito sul territorio: tramite cooperative ed associazioni, che risultano essere terreno fertile, ricerchiamo nuove leve e promesse del futuro paralimpico. Importante lavorare anche in ambito educativo: con Matteo Lazzizera, referente dell’ambito scolastico, stiamo implementando percorsi di notevole rilevanza. L’obiettivo ultimo rimane sempre e comunque portare il disabile a fare sport.
Come ti sei avvicinato al parasport? Qual’è la tua storia?
Io vengo dal mondo del tennistavolo, come atleta per 25 anni ho poi conseguito il massimo patentino di allenatore a livello nazionale. Lavorando privatamente l’impegno richiesto della Fitet per allenare non era compatibile con i miei impegni. Mi hanno quindi proposto di seguire la sezione paralimpica tennistavolo. Dal 1988 al 2000 ho seguito la nazionale italiana portandole a vincere varie medaglie alla paralimpiadi. Nel 2000 ho lasciato il passo e mi sono candidato per il consiglio del Cip, entrando inizialmente in quota tecnici. Sono passato poi alla presidenza degli sport invernali, ho avuto quindi la possibilità di entrare nel consiglio nazionale del CONI per 2 mandati, con presidente Petrucci. Una grandissima esperienza, possiamo dire unica, che mi ha messo a contatto con il mondo più profondo dello sport: gratificante e molto importante umanamente. Assunto anche nella federazione sport ghiaccio, mi occupo anche di sport paralimpici, curling e Para Ice Hockey. Il cuore rimane al Cip, che vivo come una seconda famiglia.
Hai vissuto sia lo sport normodotato sia lo sport paralimpico con attività adattate e discipline inclusive. Come ne descriveresti la differenza?
Io sono per negare la differenza. Le discipline sportive, sopratutto parlando a livello agonistico, hanno tutte un obiettivo: raggiungere il massimo risultato e vincere. Nei miei 30 anni di esperienza ho visto diminuire la forbice tra prestazioni normo-para essenzialmente per 3 motivi: la crescita dello sport paralimpico in termine di numeri, atleti, possibilità tecniche, attrezzature e preparazione. Il secondo motivo: esiste una coscienza diversa rispetto all’approccio allo sport, la cultura ha cambiato il punto di vista. L’atleta disabile non è un disabile che fa sport, ma un atleta che si allena e si impegna profondamente. Il terzo motivo, forse il più tecnico, riguarda la politica dell’International Paralympic Committee, che un po’ alla volta ha ammesso sempre più disabilità minime, elevando la qualità di molte discipline. Vediamo il tiro con l’arco, il nuoto, i tempi ed i risultati si avvicinano molto a quelli normodotati. Pacifico che esiste l’adattamento nello sport per disabili in modo da creare pari condizioni di partenza. Gareggiare con i normodotati però non penso sia la strada giusta. Non sempre integrazione ed interazione portano ad esperienze positive. E’ giusto che rimangano due affascinanti mondi divisi con dignità uguale.
Negli ultimi 16 anni la paralimpiade ha avuto una crescita mediatica enorme, possiamo ritenere quindi che sia vincente mantenere le competizioni separate?
Quando gli eventi sono organizzati bene dal punto di vista tecnico e mediatico, trattati con pari dignità, certamente funziona. Esiste un movimento culturale ed una sensibilità acquisita con la quale si inizia a vedere la prestazione sportiva e si vede prima lo sportivo che il disabile. La compassione è sostituita dall’importanza della gara e dalla competizione. E in futuro lo sarà ancora di più.
Tutti i disabili possono fare sport?
Dobbiamo distinguere in 3 tipologie le disabilità: fisiche, sensoriali e intellettivo relazionale. Nelle disabilità fisiche e sensoriali assolutamente si, anche chi muove un solo dito, può giocare a boccia. Esiste poi un campionario di discipline che permettono a tetraplegici, paraplegici ed amputati di mettersi in gioco. Alcuni sport risultano meno indicati, per alcuni tipi di problematiche per esempio il Para Ice Hockey, basket o rugby sono più adatti a spine bifide o amputati. Nel disagio intellettivo c’è un problema di fondo: l’intenzionalità e la capacità relazionale. Per questo gli atleti devono essere seguiti da personale molto preparato, ma per il resto non c’è nessun impedimento.
Vuoi ringraziare o salutare qualcuno?
In primo luogo ringrazio la mia giunta, a partire dal vice presidente Matteo Lazzizzera, Giorgio Guarniero, presidente federazione bocce in Trentino, Paola Mora, presidente CONI Trento, Betty Nicolussi che rappresenta la Fisdir e tutto il mondo dello sci, Melania Corradini, grandissima atleta medagliata alle paralimpiadi, Giancarlo Gozzer, che rappresenta la federazione italiana sport Orienteering e discipline associate, Paolo Pettinella, presidente Fisdir. In veste poi di consiglieri Maurizio Cagol, referente all’avviamento sportivo, Roberto Oberburger, rappresentante discipline sportive paralimpiche. Ed infine al presidente dei presidenti: Luca Pancalli, un gigante che ha elevato il Cip allo stesso livello del CONI, dandoci delle possibilità prima impensabili. Un merito assolutamente riconosciuto all’unanimità, che ha portato ad una accelerazione di tutto il mondo paralimpico e ad una concezione nuova dello sport nelle vite dei disabili.
Ti ringrazio!