Metafisica del treno in corsa

Autori:Sara Caon

Data: 01/04/15

Rivista: aprile 2015

Credo di star sviluppando una dipendenza preoccupante dai treni in generale, e dai macchinisti-capitreno-bigliettai in particolare. Il treno (e ciò che accade in treno) comincia e conclude le mie settimane e le rende, chissà perché, chissà come, migliori. Un esempio? Lunedì mattina (erano circa le 7) salivo da Bassano del Grappa a Trento e, ancora mezza addormentata, mi rannicchiavo in un sedile accanto al finestrino del primo vagone, quello che dà proprio sulla cabina del macchinista e capotreno per intenderci. Ero lì in stato comatoso (bocca aperta, occhi chiusi, guancia schiacciata sul finestrino) quando mi sono svegliata di soprassalto. Carpanè Valstagna. Esce il capotreno, e si alza il macchinista. Costui mi guarda, ed io guardo lui (era un tipino niente male). Inaspettatamente sorride e viene verso di me, dicendomi: «Scusa».

Non pensando di aver capito bene, lo guardo interrogativamente, e lui ripete: «Scusa», al che gli rispondo incuriosita: «E di cosa?». «Di averti svegliata. Devo aver fermato il treno troppo bruscamente, ma cercherò di migliorare». Senza parole, devo aver farfugliato un “grazie” ma forse l’ho solo fissato a bocca spalancata. Riprendo a chiudere gli occhi e per un pezzo provo davvero ad addormentarmi, consapevole che ad ogni fermata del treno il macchinista usciva per vedere se avevo gli occhi chiusi oppure no. Dopo un po’, siccome non ero abbastanza rilassata, ho smesso di tentare e ho intrapreso la lettura di “Storia del Medio Oriente contemporaneo”. A Borgo Valsugana alzo gli occhi. Eccolo lì, con un sorriso birichino, che mi ammicca e dice: «Beh, ora non puoi dare la colpa a me. È il libro che ti sta tenendo sveglia». Io ridacchio, stando al gioco.

Figuratevi che gli devo aver detto qualcosa del tipo: «Sei anche troppo bravo», anche se non sapevo bene a che bravura facessi riferimento, se a quella di guidare il treno, se a quella di flirtare. So solo che, di fatto, ogni qualvolta il treno si fermava a una stazione (e la tratta Bassano del Grappa-Trento conta ben 22 fermate!) dovevo istintivamente smettere tutto quello che stavo facendo e vedere che faceva lui. Lo ammetto: speravo ogni volta che mi rivolgesse la parola. Al momento di scendere, ha aperto il finestrino della cabina e mi ha urlato: «Sapevo che saresti scappata, prima o poi!». Ridendo, ci siamo salutati. Inutile dirvi che, per la prima volta in vita mia, non volevo che il viaggio in treno finisse in “sole” due ore e un quarto: in realtà la mia idea era che avrebbe potuto tendere all’infinito.

L’aneddoto è lezioso, mi dicono, ma la metafisica che c’entra? In realtà nulla ma questo termine, in filosofia, suona sempre bene: aggiunge parvenza di serietà a un nucleo di senso che sfugge e lascia – ancora una volta – in attesa.

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