Abbiamo incontrato Elisabetta, una signora bolognese ormai da più di vent’anni residente in Trentino, che si è resa disponibile a raccontarci il lungo percorso che ha dovuto intraprendere, e che sta proseguendo, per accompagnare la madre nelle varie fasi dell’Alzheimer.
Con impeccabile ordine cronologico e grande forza ha scelto di condividere con i nostri lettori il racconto di un’esperienza tanto delicata e traumatica, con la speranza che possa servire da spunto, o anche solo come termine di paragone, per chi si ritrovasse in una situazione similare o per introdurre ad esterni una malattia solitamente tenuta ai margini, l’Alzheimer.
- Da quanto tempo è stata diagnosticata la malattia di sua madre e come si è accorta di quello che le stava succedendo? Quali sono stati i primi sintomi?
- La scoperta della malattia di mia madre è stata una doccia fredda: era ricoverata in un ospedale di Bologna per dei problemi alla schiena e in quell’occasione l’anestesista ci consigliò di sottoporla ad un esame approfondito per l’Alzheimer.
- La malattia fu diagnosticata nell’agosto 2008: venne scoperta in ritardo a causa di altre emergenze derivanti da urgenze sanitarie che l’altra nonna di casa stava manifestando.
- I problemi cognitivi che mia mamma presentava erano stati relegati da noi familiari a “conseguenze” del trattamento ortopedico e farmacologico che stava seguendo per la schiena.
- La diagnosi ci prese alla sprovvista ma, a ripensarci col senno di poi, qualche sintomo già s’era manifestato nel periodo precedente. Nel 2007 ci accorgemmo che aveva dei vuoti di memoria: furono episodi a cui, al tempo, non fu dato il giusto peso: talvolta si scordava i fornelli accesi dopo aver portato in tavola le pietanze o ancora, sempre in ambito culinario, si dimenticò la ricetta di un piatto considerato “il cavallo di battaglia” della sua cucina. Notammo che le sue prime amnesie coinvolsero più l’ambiente domestico che i luoghi.
- Accadde anche che confondesse i panni sporchi con quelli puliti. O ancora, ennesima spia dell’Alzheimer, entrava nel letto a carponi, come i bambini, cosa che non aveva mai fatto prima. Erano esternazioni di problemi cognitivi gravi che sarebbero poi accresciuti col tempo.
- Cosa fa per aiutarla?
- All’inizio la mamma venne seguita soprattutto da mio padre: abitando a Bologna io mi recavo settimanalmente con la mia famiglia a trovarli, ma non potevo essere una presenza giornaliera. Il primo aiuto che ci venne proposto dai medici fu integrarla in un gruppo di autocoscienza, ma tale ausilio fu rifiutato dal papà, forse considerandolo poco efficace.
- La perdita di competenze non tardò a manifestarsi: forse aver preso parte a tale gruppo avrebbe potuto rallentare il corso dei sintomi o stabilizzare le fasi iniziali dell’Alzheimer.
- Nell’inverno 2008-2009 mio padre perse la sua autonomia in seguito alla rottura d’un femore: decidemmo quindi di trasferire i miei genitori a Martignano per averli vicini e per seguirli più facilmente. Una grande mano ci venne data da cari amici che ci supportarono con la logistica della nuova abitazione.
- Mia madre in quel periodo era ancora autonoma, anche se i vuoti di memoria stavano diventando sempre più frequenti.
- Da quando ha scoperto la malattia si è mai fidata a lasciarla in casa?
- Poteva capitare che durante il periodo iniziale la lasciassimo in casa senza compagnia qualche ora, ma erano casi occasionali.
- All’inizio il maggior supporto di mia madre fu il marito che le stava sempre accanto, ma quando lui venne a mancare abbiamo trovato una badante, con cui ci organizzammo a turni per non lasciarla mai sola.
- Se rimaneva in solitudine, infatti, aveva crisi di panico e trovava difficoltà a praticare attività quotidiane: stava perdendo certe autonomie, anche basilari, che avevamo sempre dato per scontato. In un anno e mezzo era peggiorata tantissimo: nell’inverno del 2010 sapeva farsi solo un caffè.
- La malattia ha implicato una progressiva perdita di consapevolezza: mia madre stava cambiando, stava diventando meno trattabile, meno collaborativi, propensa al rifiuto e più irrequieta.
- Via via che la malattia si accentuava diventava più difficile gestirla: ad esempio una volta mentre le passavo lo smalto, lo voleva bere.
- Divenne quindi necessario prestare la massima attenzione a tutti i prodotti e gli strumenti che sarebbero potuti essere potenzialmente pericolosi.
- La malattia è stata graduale o improvvisa? Come si comportava la malata?
- Le perdite di memoria e di competenze si sono manifestate sempre “a gradini”, non in maniera graduale: quindi erano drammatiche ed imprevedibili.
- Mia madre inizialmente aveva piccoli vuoti di memoria ma, con l’andare del tempo, ebbe diverse situazioni che sottolinearono come la malattia si stesse accentuando.
- Nell’estate del 2009 quando ancora, forse, il corso del disturbo si poteva rallentare, ci fu un evento che ne determinò il crollo: mio papà morì per infarto proprio davanti ai suoi occhi.
- Questo fu un trauma per lei: nonostante iniziasse a dimenticare gli avvenimenti recenti, questa tragica scena le rimase impressa per almeno un paio di mesi dopo che accadde.
- Fu la causa che accelerò la malattia. Mio padre le era sempre vicino e, come amava ricordarle quando lei gli chiedeva chi fosse, si presentava come “io sono la tua memoria”.
- Durante l’estate 2009 perse i legami con colui che aveva trascorso gli ultimi sessant’anni assieme. Scomparve il riferimento più importante. Nei mesi successivi la diminuzione della capacità cognitiva fu sempre più veloce, evidente ed “a scaglioni”.
- Tra febbraio e marzo accade che una mattina, alzandosi, mia madre non sapesse più vestirsi da sola. Lei stessa era consapevole che fosse colpa della malattia: ci metteva mezz’ora ad abbottonarsi la camicetta ma con tenacia ugualmente ci provava, sembrava una bambina alle prime armi. Da quel momento non poté più stare sola.
- Per dare un idea dell’arco temporale trascorso potrei dire che nell’estate del 2010 ancora riusciva a comportarsi; riusciva a mantenere una conversazione con un conoscente rimanendo nei canoni sociali impartita dalla buona educazione mentre nell’estate dell’anno successivo già il suo comportamento divenne ingestibile. Perse il modo formale d’interagire con le persone, era totalmente impaziente se c’era qualcun altro.
- Tutte le cose che avevo letto sono arrivate. Non sapeva più scrivere il proprio nome né leggere finché una mattina non riuscì più a vestirsi: da quel giorno non riuscì neanche più a infilarsi le scarpe. La stessa cosa avvenne per la deambulazione: non riusciva più a far scalini, a prendere una direzione e non era più in grado di intraprendere percorsi autonomamente.
- Quali sono stati i cambiamenti che ha notato in sua madre e che più l’hanno fatta soffrire?
- Non ricordava più gli eventi temporalmente vicini: anche il trasferimento a Martignano, un cambio di ambiente divenuto recente, iniziò a non ricordarlo.
- Quando aumentò la perdita di consapevolezza, arrivando alle fasi più avanzate della malattia, giunse a trattare i familiari come degli “aguzzini”. Sembrava che noi gli stessimo impedendo di tornare ad una vita che aveva vissuto: “Riportami a casa, riportami dai miei”. Si ritrovava in un ambiente a lei sconosciuto e spesso ci diceva “Ma lo sanno i miei che sono qua? Devo tornare a casa”, riferendosi ai luoghi e alle persone della sua infanzia. Non ricordava i nipoti e il nuovo nucleo famigliare che creò dopo il suo matrimonio.
- Passò anche la fase dello “sdoppiamento”: quando mi vedeva riconosceva nel mio volto qualcosa di famigliare, ma non voleva me, ma l’Elisabetta diciassettenne.
- Questo è stato il momento in cui s’è dimenticata di me. Ed un momento doloroso per un figlio: prima si dimentica il nome di nipoti, poi dei figli perché appartengo ad un passato più recente.
- Se all’inizio cercavamo di spiegarle la sua situazione, non capacitandoci che non potesse ricordare proprio nulla di tutto ciò che abbiamo trascorso assieme, in seguito imparammo ad assecondarla dandole risposte immediate, tranquillizzanti e cercando di sdrammatizzare.
- Dopo aver contratto questa malattia mia madre cambiò totalmente carattere: è diventata molto capricciosa, una donna totalmente diversa della figura materna che avevo conosciuto.
Le quattro “A” dell’Alzheimer
I sintomi che spesso si presentano nel paziente:
Amnesia significativa perdita della memoria;
Afasia evidenti difficoltà comunicative che si manifestano con l’incapacità di formulare messaggi e di capire le informazioni orali;
Agnosia incapacità di riconoscere persone, oggetti, stimoli e luoghi;
Aprassia incapacità di compiere correttamente alcuni movimenti volontari.
- Una delle quattro “A” di questa malattia è l’afasia: ne è affetta anche sua madre? (altre “A” = amnesia, agnosia, aprassia).
- Sono arrivati tutti i sintomi: oltre a non saper vestirsi, non sa più scrivere il proprio nome né leggere. Diventò poi inconsapevole, aggressiva, rabbiosa e sempre agitata. Ma non si è manifestata l’afasia. Ancor oggi sa parlare, non ha perso la parola, è caparbia.
- Ultimamente i discorsi sono farneticanti, non seguono un filo logico. L’ultima parentesi di lucidità la ebbe durante un’incontro con la sorella: dopo un’ora e mezzo di monologo sconclusionato dalla nebbia uscì una frase pertinente al contesto.
- Al momento è lei in persona che segue sua madre o si è affidata a qualche struttura?
- All’inizio la situazione era gestibile in casa: quando entrambi i miei genitori si trasferirono da Bologna a Martignano eravamo noi familiari, con l’aiuto di mio padre ed in seguito con la badante, ad occuparcene.
- Si passò poi ad una fase più acuta della malattia: in un momento d’agitazione mia madre cadde e si ruppe un femore. Durante l’operazione che ne seguì e nel corso della degenza in ospedale fu molto impegnativo riuscire a trattenerla, non era possibile lasciarla mai sola e in casa di riposo ci stava malvolentieri. Era impossibile occuparsene a casa: aveva necessità di un’assistenza mirata e continua, non era collaborativa, urlava e raramente l’agitazione la lasciava in pace.
- La notte di Natale si ruppe anche il secondo femore: per quest’evenienza rimase allettata tre mesi dopodichè recuperò. Nonostante fosse trascorso molto tempo non s’era ancora trovata una cura farmacologia per lo stato d’ansia.
- Da lì non tornò più a casa: preferimmo ricoverarla in un’apposita struttura assistenziale.
- Ha trovato un aiuto da qualche associazione che si occupa di questa particolare malattia?
- Il sostegno concreto l’ho trovato nelle assistenti domiciliari: avevo delle badanti con cui ci alternavamo per assistere mia madre. Non è stato facile affiancare questa nuova figura alla malata: non la accettava, non le riconosceva la stessa autorità che potevamo avere noi familiari oppure i medici.
- In questa circostanza abbiamo avuto il dubbio se riportarla a Bologna, sotto consiglio di un amico medico, che sosteneva che per i malati l’Alzheimer è più importate l’ambiente in cui ci si trovano rispetto alle persone che lo circondano. Alla fine abbiamo optato per tenerla vicino a noi. Nell’evenienza di un ritorno a Bologna avremmo dovuto delegare qualcun altro che se ne occupasse, quindi abbiamo preferito starle vicino noi. Questo è stato il bivio innanzi al quale ci siamo trovati nell’inverno 2010.
- Devo dire che l’impegno economico è notevole per sostenere questo tipo di servizio, ma per un certo periodo di tempo si è reso necessario.
- Un altro aiuto l’ho trovato nel centro diurno dei malati di Alzheimer: si tratta di un servizio d’accoglienza in forma semi-residenziale pensato appositamente per persone affette da questa tipologia di disturbi.
- Facemmo domanda per tale assistenza e la richiesta venne accolta, era il periodo in cui mia madre non dormiva la notte. Stava passando la fase del “wandering”: è un sintomo della demenza che porta il malato alla fuga, ma apparentemente senza scopo. Il paziente sente l’esigenza di andarsene, vuole scappare dal luogo in cui si trova. Quest’impulso rese mia madre pericolosa per se stessa: una volta l’abbiamo trovata in balcone che voleva uscire dall’appartamento passando da lì.
- In questa fase non c’è un equilibrio. Tutto quello che prima era un po’stabile, come ad esempio il fatto che mangiasse da sola, che sapesse usare il bagno…venne resettato.
- Di colpo ci siamo resi conto che non era in grado di portare a termine neppure queste attività considerate normali.
- Ha trovato sostegno da parte di persone che hanno un famigliare nella stessa condizione della madre?
- Nella struttura in cui si trova ora mia madre ci sono altre persone assistite per la stessa malattia e talvolta capita di confrontarci tra familiari.
- Così pure ho amici con persone care affette dallo stesso disturbo: ne parliamo ma senza scordare che ogni caso è a se stante. Se i sintomi e le fasi hanno qualcosa in comune, ogni paziente le manifesta in forme, tempi e modalità diverse, cosicché ci si può riconoscere solo fino ad un certo punto nell’esperienza dell’altro.
- A qualcuno che si trovasse nella sua stessa condizione cosa consiglierebbe? Come dovrebbe comportarsi nei confronti della persona affetta da Alzheimer?
- Secondo la mia esperienza le spiegazioni fornite al malato, quando si trova in una situazione di disturbo avanzato, sono assolutamente inutili: bisogna fornire risposte secche, che lo calmino ed assecondino nel suo “eterno risveglio”.
- I figli sono gli ultimi a capire che devono “stare al gioco”: ho capito tardi che non dovevo raccontarle e darle spiegazioni ogni volta che aveva amnesie. Dovevo acconsentire e si sarebbe tranquillizzata. Bisogna adattarsi alla loro nuova condizione.
- Per intrattenere mia madre, e per distrarla dalla perpetua agitazione che la attanagliava, le abbiamo creato un piano, una tabella di marcia, che le occupasse la giornata, proponendole delle attività che le potessero piacere. In tutto ciò all’inizio cercavo di mantenere una parvenza di normalità: oltre alle passeggiate al parco andavamo dal parrucchiere, a prenderci un caffé o cercavo di riproporle le sue vecchie passioni come l’opera lirica, cucire e ricamare (passione che, a malincuore, le abbiamo tolto perché poteva risultare pericolosa per la sua incolumità fisica a causa degli aghi).
- Un altro consiglio che mi sento di dare a chi si trova ad fronteggiare questa situazione è quello di chiedere aiuto il prima possibile: non aspettare che la situazione peggiori per cercare consigli, ma attivarsi già quando la condizione del malato sembra stazionaria.
- È proficuo, per quanto doloroso, abituarsi a pensare che ci sarà una continua perdita di autonomia fisica, mentale e di competenze apparentemente abitudinarie da parte del malato di Alzheimer.
- Non sottovalutando i sintomi iniziali e prendendo per tempo le spie della malattia si può prorogarne la fase iniziale.
Un sentito ringraziamento va ad Elisabetta B. per la cortesia e precisione con cui s’è resa disponibile a raccontarci la sua esperienza.