Mine ancora in produzione

Data: 01/08/02

Rivista: agosto 2002

Pro.di.gio. ha più volte affrontato il problema delle mine antiuomo per la loro odiosa peculiarità di essere un espediente di massa sbrigativo e a buon mercato di rendere invalide in poco tempo migliaia di persone dei paesi più poveri del mondo. Aveva anche stigmatizzato con ironia il rifiuto dell’attuale inquilino della Casa Bianca, George Bush, di sottoscrivere l’accordo internazionale che ne proibiva la produzione, la messa in vendita e l’impiego pur se il suo mitico predecessore, Bill Mandrillone Clinton, aveva promesso il contrario. Il buon Giorgio aveva allora motivato il rifiuto con un breve comunicato: “La protezione di interessi nazionali americani e la sicurezza delle truppe sono fattori cruciali nelle decisioni sulla politica delle mine”.

Evidentemente nel novero degli interessi americani non rientrano gambe, braccia, occhi e mani del resto dell’umanità ma tant’è… gli Stati Uniti dello zio Sam sono rimasti l’unica superpotenza in circolazione e quel che garba loro deve garbare a tutti!

Non mancano però anche le buone notizie: secondo lo FMI (Fondo Monetario Internazionale, sede a New York) in giro per il mondo gli investimenti in armi sono rimasti stabili nel corso dell’ultimo anno. La media mondiale dimostra che, nonostante l’11 settembre con tutti i suoi strascichi di guerra, le Nazioni nel 2001 hanno buttato via in armi il 2,4% del loro PIL (… e l’11,5% della spesa totale dei governi), una percentuale in linea con i dati dell’ultimo quinquennio sia per le economie avanzate (Italia all’1%) sia per i Paesi in via di sviluppo.

Naturalmente fatte salve le inevitabile eccezioni. Tra queste non potevano mancare i Paesi del Medio Oriente, area non esente da arretratezza endemica e conflitti millenari. Sono praticamente gli unici ad aver aumentato le spese: lo scorso 2001 hanno devoluto in armamenti il 6,3% del PIL (5,8% nel 2000) ed il 17% delle uscite totali dei governi (il 16,5% nel 2000). In linea di massima, i paesi poveri hanno speso il 2% del loro PIL ma quelli più fortemente indebitati, tra il ’98 e il 2000 sono passati addirittura dal 2 al 2,4% del prodotto interno lordo. A gonfiare queste cifre sono stati in particolare due Paesi: Etiopia e Guinea Bissau, nazioni in coda alla classifica dei redditi pro capite. Il primo causa il suo scontro con l’Eritrea e per gravi problemi interni, il secondo per la guerriglia ormai cronica che devasta il paese.

A questo triste e dispendioso andazzo si è accodata la Russia e alcuni dei paesi dell’ex Unione Sovietica. Il sogno di rifondare la vecchia URSS? Neanche per sogno! Gli esperti del FMI giustificano l’incremento delle spese con l’esigenza per questi paesi di riqualificare le proprie forze armate per entrare nella Nato.
Per tutti l’amara constatazione che i soldi spesi per acquistare cannoni, radar e carri armati sono stati sottratti alla costruzione di scuole, ospedali, sistemi idrici e perché no, a parchi giochi per bambini.

Una curiosa annotazione: al mondo un solo Paese ha abolito per legge l’esercito. Si tratta del Costa Rica, non a caso la più ricca e democratica di tutte le nazioni del Centro e Sud America. Un altro invece, il Vaticano, ha il più piccolo e pacifico per vocazione esercito mai visto: una trentina di Guardie Svizzere impiegate solo per respingere attacchi troppo invadenti di turisti.

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