Minori e rifugiati

Data: 01/10/14

Rivista: ottobre 2014

Lo status di rifugiato:«Colui che, (…) temendo a ragione di essere perseguitato per motivi di razza, religione, nazionalità, appartenenza ad un determinato gruppo sociale o per le sue opinioni politiche, si trova fuori del Paese, di cui è cittadino e non può o non vuole, a causa di questo timore, avvalersi della protezione di questo Paese: oppure che, non avendo la cittadinanza e trovandosi fuori del Paese in cui aveva residenza abituale a seguito di tali avvenimenti, non può o non vuole tornarvi per il timore di cui sopra. » art 1.convenzione di Ginevra, 28 luglio 1951

Sono le 11 quando arriviamo in Via Zambra, Trento, sede anche di alcune strutture provinciali e non, per la tutela e l’inserimento di soggetti svantaggiati tra cui minori e stranieri.

Ci attende un’intervista con uno dei protagonisti Trentini della lotta all’emarginazione e abbandono minorile. Il dott. Paolo Cavagnoli, presidente dell’Appm, Associazione Provinciale Per i Minori, segue ormai da anni l’accompagnamento e reinserimento sociale di giovani con problemi familiari o provenienti da altri paesi.

Gli uffici sono in fermento per le tante attività in corso, veniamo comunque accolti con estremo garbo e dopo pochi minuti siamo ricevuti dal Presidente Cavagnoli nel suo ufficio che ci appare subito un ambiente accogliente e vissuto di impegno sociale.

Siamo qui per dar voce all’adesione ad progetto nazionale di accoglienza insieme alla Provincia di Trento: 10 minori giunti a Lampedusa sui barconi della disperazione e fuggiti da fame, guerra e niente futuro. L’Appm è un’organizzazione, che ha all’attivo 150 dipendenti, tra operatori ed educatori, 300 minori presenti in 28 strutture sparse sul territorio. Siamo giunti qua non per confezionare il solito elogio di una struttura organizzativa che tutti sanno riconoscere seria e indispensabile, ma per evidenziare una presa di posizione del mondo del sociale, fondamentale rispetto al tema dell’accoglienza e del reinserimento sociale di minori stranieri e profughi.

Come ci ricorda il dott. Cavagnoli, “questi sono ragazzi di 16-17 anni, ma con un’esperienza di vita di gran lunga superiore al cittadino medio di una città come Trento. Il progetto è iniziato ad aprile, altri ragazzi sono arrivati a maggio, a luglio e gli ultimi ad agosto. Hanno visto la guerra, hanno vissuto una pericolosa attraversata in barca, la fame, e tutto questo per venire in Italia a cercare “l’Eldorado”. Ma la realtà in cui si sono trovati catapultati si è rivelata decisamente un’altra. “

Alcuni vengono dall’Afghanistan e sono stati sfruttati durante tutto il loro viaggio. Attaccati sotto i camion, hanno marciato per giorni e giorni cercando un posto migliore, in cui ricostruirsi una vita senza violenza e orrore.

Quello che risulta spesso difficile è ricostruire la loro storia, capire se sono profughi di zone di guerra o se sono venuti qui per altri motivi. Non è facile sapere la loro età e quando si dichiarano minorenni davanti alla commissione SPRAR, non c’è modo di sapere esattamente il loro dati anagrafici, perché quasi sempre sono sprovvisti di documenti. Questo è anche un modo per alcuni maggiorenni, di usufruire delle tutele rivolte ai minori, pur ovviamente esistendo una sezione Sprar per adulti richiedenti asilo. Il dott. Cavagnoli ci segnala una cosa interessante: “…a Bolzano viene eseguito il MOC (Mineralometria Ossea Computerizzata), esame dell’osso che può determinare in via definitiva l’età dell’individuo, a Trento come in altre provincie nazionali questo non è previsto, pertanto è probabile che tra i minori effettivamente accolti anche livello nazionale ci siano degli adulti.

Questo lo si nota spesso nei rapporti di forza che si creano nelle strutture di accoglienza, infatti nella nostra a Campotrentino, abbiamo già avuto innocui episodi di ammutinamento, con tre centro africani che tendevano a ricoprire il ruolo di capi naturali e quindi di riferimento per gli altri. I problemi nascono spesso da cose semplici: vorrebbero semplicemente ciò che gli è stato promesso dopo quasi 2 anni di peripezie e sfruttamento: lavoro e soldi. Altre volte le incomprensioni nascono perché sono abituati ad una cultura e religione diversa dalla nostra. Parliamo nello specifico di paesi come L’Afghanistan, il nord Africa, il Congo, dove ad esempio il confronto con l’altro sesso è sicuramente diverso e purtroppo in senso peggiorativo. Per questo abbiamo anche cercato di mantenere dei ruoli femminili fissi tra gli operatori, indispensabili ad educare al rispetto della donna nella quotidianità.”

Una criticità importante, ci spiega Elena Albani, Coordinatrice progetto “Sprar” per Appm, “sta nel fatto che molti di loro non accettano l’assistenza, vogliono solo cominciare a lavorare. Ma la legge italiana, prevede che nel momento in cui entri in un gruppo SPRAR, sistema di protezione richiedenti asilo e rifugiati, devi attendere tra i 5 e i 6 mesi per ottenere lo status di rifugiato politico e rimanere in Italia, altrimenti in caso di riscontro negativo si viene rispediti indietro. “Cerchiamo il massimo impegno durante la giornata, e questo lo facciamo con l’insegnamento della lingua italiana, passo fondamentale per poter comunicare sia dentro che all’esterno della struttura di tutela. In questo senso organizziamo lezioni di italiano due, tre ore ogni mattina e sera per tenerli occupati e perché possano iniziare a comunicare con gli operatori, infatti solo in pochi conoscono l’inglese e solo un ospite conosce il francese perché originario del Congo.”

Continua il dott. Cavagnoli:”Il Progetto Nazionale del ministero degli esteri, consiste in un sistema di protezione per i richiedenti asilo e i rifugiati da paesi in conflitto. I 10 ragazzi che abbiamo accolto nelle nostre strutture e gli altri 10 che arriveranno, sono seguiti da cinque educatori uomini e due educatrici donne, questo per abituare gli ospiti ad un ambiente culturale diverso dal loro contesto di riferimento. Le difficoltà maggiori sono quelle della lingua e della cultura, per questo tutto lo staff gli segue passo dopo passo, per dare loro gli strumenti fondamentali per sopravvivere una volta usciti dalle maglie della tutela.”

In quei sei mesi non possono lavorare e la sfida è quella di coprire questo buco temporale e normativo, attraverso la formazione e l’educazione scolastica. Chi capisce già un po’ di italiano può andare a scuola, è il caso di un ragazzo che frequenta l’Istituto Pozzo a Trento. Per gli altri abbiamo attivato, in collaborazione con il Cinformi di Trento, corsi di lingua italiana e prevista una tutela legale, che risulta particolarmente necessaria in queste situazioni, oltre stretta collaborazione con la Questura e le forze dell’ordine.

Il permesso di soggiorno per i richiedenti asilo, permette di avere una vita normale sul territorio ospitante, di lavorare e svolgere molte delle funzioni come un cittadino prevedendo contestualmente delle limitazioni circa gli spostamenti sul territorio nazionale.

“Arrivano in Italia con grandi aspettative. Crescono con l’idea che c’è ricchezza per tutti. Pensano di diventare calciatori. Uno su dieci ce la fa con impegno e determinazione a stabilirsi e a cominciare a lavorare. Di solito sono i ragazzi più volenterosi e consapevoli, che hanno davvero vissuto sulla pelle i rischi di viaggi senza ritorno, della discriminazione e della paura.”

Ci raccontano di un ragazzo Afgano, serio, responsabile e umile. Quando lo hanno accolto gli è stato detto, vai a letto presto, spegni la luce e studia tanto italiano. Lui è uno di quelli che ce la farà, sempre che superi le maglie della burocrazia italiana.

Uno degli obiettivi che Appm si pone è riuscire a coinvolgere in ambito lavorativo gli stessi ragazzi ex rifugiati come ci fa notare il Dott. Cavagnoli “abbiamo un operatore notturno con un passato da migrante ed ora svolge mansioni di controllo e gestione pratica degli ospiti, risultando utile come intermediario e punto di riferimento per i gruppi.”

Elena Albani: “È un esperienza che stiamo portando avanti da sei mesi, un lavoro impegnativo che comprende anche l’organizzazione degli spazi e dell’autosufficienza dei ragazzi, ne stiamo aspettando altri 10. Il problema esiste, e credo, che insieme a tutto lo staff lo stiamo affrontando con impegno e determinazione. Abbiamo assunto volutamente un ruolo educativo. In primis, abbiamo fatto loro conoscere il territorio, come fare la spesa, stirare, cucinare, coltivare uno sport e imparare come muoversi coi mezzi pubblici. L’obbiettivo fondamentale è quello di insegnarli a stare nella nostra società. Tutti i giovani sono seguiti da un operatore legale del Cinformi, abbiamo anche rapporti diretti con la questura e gli assistenti sociali, esiste quindi una rete di persone e organizzazioni attive e consapevoli intorno a loro.

L’impegno di Appm e di tutti gli educatori ed operatori continua senza sosta, nonostante manchi ad oggi, una seria informazione sul problema dei richiedenti asilo e una presa di coscienza più condivisa a livello di opinione pubblica. Tanto si è fatto e molto si deve certamente fare, per concedere a questi ragazzi in fuga dal loro paese, un futuro migliore. Non hanno rischiato la vita e investito tutto semplicemente per rubare lavoro come qualche maligno ancora pensa, ma stanno rincorrendo ognuno a suo modo un sogno, un sogno infranto lungo il cammino e pagato a duro prezzo. L’intelligenza e la sensibilità di una comunità che gli accoglie sta nel comprendere che essi possono essere integrati a tutti gli effetti e divenire un valore aggiunto di esperienze, competenze e modi di vedere il mondo.

 

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