Fin dai primordi la scuola è stata caratterizzata dalla distinzione tra gli alunni più studiosi e didatticamente impegnati, etichettati come “secchioni”, e coloro che, all’opposto, si dimostrano estremamente svogliati, i cosiddetti “asini”. All’interno di quest’ultima categoria rientrano spesso erroneamente anche soggetti che, pur impegnandosi a fondo, hanno grosse difficoltà ad ottenere risultati.
La dislessia è una patologia che riguarda la capacità di apprendimento e in Italia conta ben 1.500.000 persone. Essa non comporta deficit d’intelligenza, basti pensare che ne soffrono anche personaggi di successo quali Albert Einstein, Carlo Gustavo re di Svezia, John F. Kennedy, Peter Bichsel, Leonardo Da Vinci e Walt Disney. I soggetti dislessici infatti hanno solitamente un quoziente intellettivo pari, se non superiore, alla media, per non parlare della creatività e della vivacità che spesso li caratterizza.
Tale patologia riguarda la difficoltà per i piccoli scolari di leggere e di scrivere in maniera corretta e automatica, per riuscirci serve loro un grande sforzo a livello di energie mentali e li porta quindi a stancarsi molto rapidamente e, di conseguenza, a fare errori, a rimanere indietro e a non imparare.
Questi problemi spesso sono accompagnati a difficoltà nel calcolo ed in altre attività mentali, fino a coinvolgere tutti i sensi: vista, equilibrio, udito, movimento e senso del tempo.
Generalmente questa confusione percettiva viene diagnosticata all’inizio dell’età scolare, ovvero quando il bambino inizia ad apprendere la lettura e la scrittura.
Ma com’è possibile capire se il fanciullo è potenzialmente dislessico?
Solitamente egli tende ad invertire grafemi (23–32; or-ro) o a confonderli (m/n; p/q; b/d), oltre ad avere difficoltà nell’apprendimento delle tabelline, delle lettere dell’alfabeto, dei giorni della settimana e dei mesi dell’anno in modo consequenziale. Altri scogli riguardano la capacità di esprimere a parole ciò che pensa, di organizzare efficacemente le proprie attività, di copiare dalla lavagna, oltre ad essere impacciato in alcune attività pratiche, come allacciarsi le scarpe.
Il tutto spesso tende ad influire psicologicamente, causando perdita di fiducia in se stesso ed alterazioni nel comportamento.
Deleteria può essere l’azione di genitori ed insegnanti nel caso di una bocciatura o nel continuare ad imporre al bambino di leggere davanti alla classe.
I genitori si riservino di contattare uno specialista come il neuropsichiatra infantile, lo psicologo o il logopedista, per avere una diagnosi accurata grazie a test specifici.
Una volta diagnosticata la patologia è possibile far uso di tecniche riabilitative e di ausili, come computer e calcolatrici, oltre a prendere provvedimenti come la concessione di tempi di studio più lunghi.
I problemi con la crescita si accentuano. A causa della complessità delle operazioni richieste, le difficoltà, inizialmente centrate sulla lettura, divengono, in assenza di trattamento, globali.
Anche la scuola gioca un ruolo importante. In una classe non affollata e con un insegnante disponibile alcune piccole difficoltà potrebbero attenuarsi o svanire. Un ambiente pedagogicamente mediocre, invece, creerebbe nel bambino rifiuto scolastico, reazione catastrofica e inibizione.
Negli ultimi anni la ricerca si sta muovendo per riuscire a trovare una nuova tecnica diagnostica. Il Kings College in Pennsylvania ha condotto una ricerca su un campione di 50 studenti con lo scopo di individuare la dislessia in età prescolare. I ricercatori hanno dotato i ragazzi di cuffie con sensori posizionati vicino alle orecchie e agli occhi. Ai soggetti esaminati veniva inviato uno stimolo sonoro al quale dovevano rispondere battendo le ciglia. Ad ogni suono faceva poi seguito un soffio d’aria.
Dalla ricerca è risultato che, mentre i bambini sani hanno raggiunto una rapidità tale da evitare il soffio d’aria, i soggetti dislessici non hanno dato alcun segnale di risposta.
Se tale metodo, ancora in fase di studio, si rivelerà attendibile, “sarà possibile intervenire per correggere il difetto già in età prescolare così da non compromettere i futuri profitti scolastici di questi bambini”.