Mondo di Carne

Data: 01/12/12

Rivista: dicembre 2012

Un giorno come tanti nelle migliaia di stabilimenti sparsi per il nostro pianeta, fabbriche di carne a ciclo continuo. Sotto scala cinesi, capannoni industriali riconvertiti ad allevamenti nelle campagne dell’Est Europa, fino alle gigantesche hangar nel nord e centro America. Polli, oche, bovini e ovini, vivono la loro breve esistenza in funzione di uno schema, domanda-offerta, che nulla ha a che vedere con una cultura in cui uomo e animale dipendono uno dall’altro in un rapporto di reciproco rispetto.

Fast-food, diete caloriche e una diffusa ignoranza culinaria, oltre che una vera e propria speculazione finanziaria, traducono l’interdipendenza uomo- animale in un orrore senza fine.

Ogni anno si calcola che il consumo di carne, nei paesi occidentali, si aggiri ai 300 kg a persona. L’esigenza di garantire a tutti questo privilegio, necessita di un costo di produzione e distribuzione della materia prima molto basso, tale da garantire la vendita al dettaglio a un prezzo accettabile per tutti.

Ma tutto questo meccanismo, ben più complesso di come viene qui trattato, se può generare un vantaggio diffuso su larga scala tra produttore e consumatore, nasconde una realtà davvero inquietante.

Secondo l’ultimo rapporto del Worldwatch Institute “State of the World 2012”, dedicato al tema “Verso una prospettiva sostenibile”, il numero di polli destinati al consumo umano è cresciuto del 169% dal 1980 al 2010, portandosi da 7.2 miliardi di individui a 19.4 miliardi di individui. Durante lo stesso periodo la popolazione di capre e pecore ha raggiunto i 2 miliardi e la popolazione dei bovini è cresciuta del 17% raggiungendo 1.4 miliardi. Secondo i dati del Consultative Group dell’International Agricultural Research le stime di crescita al 2050 prevederebbero una popolazione globale di polli di circa 35 miliardi, di capre e pecore di 2.7 miliardi e di bestiame di 2.6 miliardi. La popolazione attuale di individui sottoposti ad allevamento umano tra bovini, capre, pecore, polli, maiali, dromedari, anatre, lepri, conigli, tacchini, oche ecc. è passata da i 9 miliardi del 1970 ai 26.7 miliardi attuali, come indicano i dati di FAOSTAT, il database statistico della FAO, sistematizzato dal Worldwatch Institute. I maiali, per esempio, sono passati dai 547 milioni del 1970 ai 965.

Questi dati sono a dir poco inquietanti e la dicono lunga sulla smisuratezza dell’uomo.

Tornare a stili di vita più sostenibili non è più un’opzione. Possiamo solo decidere se saremo noi a frenare il consumismo sfrenato o esserne assolutamente sopraffatti.

Le soluzioni esistono, e per il caso del consumo di carni sono abbastanza accessibili. Come ad esempio ridurne il consumo, dando valore alla qualità del prodotto e non alla sua quantità. In tutta Italia stanno fiorendo esempi di sostenibilità a KM 0, sono piccole fattorie, di solito a conduzione familiare e allevano gli animali in spazi sani e aperti. Non vengono somministrati tutti gli antibiotici e integratori alimentari come accade nelle grandi farm e, nel rispetto della salute dell’animale, si offre al consumatore attento, un prodotto sano e genuino.

Non bisogna pensare a soluzioni drastiche, del tipo, da domani basta carne. Ma inizia ad essere necessario che il cittadino si renda consapevole di ciò che compra e mangia.

Tutto ha un costo a questo mondo, ma chi sarà a pagare quello più alto? Per ora lo pagano gli animali da batteria, ciechi dinnanzi al loro breve destino, che dalle loro gabbie prive di dignità e speranza riempiono i nostri stomaci ingordi.

Informazioni: www.worldwatch.org, www.earth-policy.com.

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