Mugshots e violazione identitaria: uno scavo archivistico negli ex istituti psichiatrici

Data: 01/04/13

Rivista: aprile 2013

Uno scorcio nei manicomi

Era il 1978 quando la legge Basaglia, legge 180/78, proposta dallo psichiatra Franco Basaglia, impose la chiusura dei manicomi e disciplinò il TSO, trattamento sanitario obbligatorio.

Questa svolta legislativa testimoniò il cambiamento del punto di vista sanitario sull’assistenza psichiatrica ospedaliera e fu un’emancipazione dalla precedente logica manicomiale: il paziente non ricopriva più il ruolo del detenuto, da internare e celare ad occhi esterni, ma si volle curarlo nella comunità terapeutica per poi reinserirlo nella società.

Ma prima? L’istituto psichiatrico altro non era che una specie di carcere per persone ritenute socialmente scomode spesso portatrici di handicap fisici, malati di mente o presunti tali: basti ricordare che furono internati anche omosessuali perché tale “devianza” era ritenuta una patologia da trattare adeguatamente.

La mostra scuote lo spettatore proiettandolo in questo “prima”, accompagnandolo in uno scorcio manicomiale di qualche decennio fa, passante dal filtro dell’interpretazione artistica.

Non siamo lontani né come tempo né come spazio dalla tematica: i materiali recuperati derivano soprattutto dal noto istituto psichiatrico di Pergine.

Un istituto locale non estraneo alle pagine di cronaca nera, soprattutto durante il periodo della seconda guerra mondiale, e non esente da ombre poco approfondite sul trattamento degli ospiti.

La finalità sociale non è un risvolto analizzato dall’artista: il principale obiettivo della ricerca esposta in White verte sulla questione identitaria e se si è scivolati sul piano sociale è stato per un’inevitabilità presentata dall’argomento trattato, per il forte nesso intrinseco nella tematica, ma non per un’indagine volutamente condotta in tal senso.

White come le pareti delle stanze, come i camici degli infermieri, come le camicie di forza… Bianco.

La mostra White presenta due progetti di Christian Fogarolli: Lost Identities e Blackout, entrambe curate da Chiara Ianeselli.

I soggetti su cui si focalizza l’artista sono gli individui internati e la loro follia: Fogarolli è attratto dall’analisi della dimensione identitaria e propone allo spettatore un confronto diretto con queste personalità deformate sia partendo da loro ritratti, sia avvalendosi dei loro oggetti, mediatori indiretti che si prestano ad essere interpretati per raccontare stralci della loro storia.

Il visitatore è accolto da immagini fotografiche “multiple”: gli originali sono sovrapposti, in movimento, rendono le fattezze del “mad” calandolo nell’idea di diacronicità, restituendo quindi l’individuo ad una dimensione temporale.

L’attenzione è poi catturata da fotografie appese al soffitto, animate da un ventilatore, reperto recuperato da una stanza d’un istituto psichiatrico e creato da uno degli internati.

Se la finalità è istigare l’occhio a saltare da un’immagine all’altra incessantemente, parrebbe anche lecito scorgervi una sfida, un gioco proposto agli appassionati lombrosiani: quelle persone impresse su pellicola non sono solo utenti manicomiali, ma anche individui che vi avevano a che fare per altri motivi (infermieri, familiari…) sembra che stia allo spettatore additare dove possa risiedere la presunta patologia psichica.

Lost identities: citazioni di esistenze

Lost identites è il risultato di una ricerca d’archivio: in un prodotto di video-arte è presentata un’analisi identitaria dei detenuti partendo dallo studio di cartelle cliniche, lettere e documenti fotografici rinvenuti nei faldoni degli ex istituti psichiatrici.

Tale opera parrebbe un punto d’arrivo, il naturale compimento di una ricerca nata con l’analisi di fotografie derivanti dall’ambito criminale e giuridico di fine Ottocento-metà del Novecento ed il risultato è una galleria di identità dinamiche che, con forti caratterizzazioni, sfidano lo sguardo dell’interlocutore ricordando che il confine tra profilo biografico e diagnosi può non essere sempre ben definito.

Profanare una collezione: Blackout

Altro esperimento degno di nota è quello di considerare l’individuo partendo non direttamente da una sua rappresentazione, ma dal suo contesto e dalle testimonianze reperite dalla sua quotidianità.

La protagonista di blackout è un’esperta collezionista per alcuni, o una pazza accumulatrice per altri: Fogarolli prende a braccetto lo spettatore e lo scorta con sé a scavare nella vita di Miss Swann: un video in pov, Hôtel Dieu, mostra le mani dell’artista che rovistano in cassetti, sfogliano libri, cercano foto, vagliano pacchetti di nazionali… violano l’identità della persona, attenta “fautrice dell’archivio di se stessa”.

Il contesto si conclude con una complementarietà regalata da oggetti appartenuti alla donna e drugs: un sunto farmacologico che immortala le scatole di medicinali che assumeva la donna.

Se a un occhio profano potrebbe sfuggire il nesso tra i progetti, ci pensa Fogarolli a palesare il filo rosso che le collega: entrambi racchiudono individui trasformati, alterati e controllati da un sistema esterno.

L’impressione è che ci sia un qualcosa di salvifico nel profanare la vita di persone rigettate a suo tempo dalla società per dare loro una dignità postuma.

Sezionare identità non è solitamente considerata un’attività oggettiva ma, in questo lavoro, non pare esserci pietas da parte dell’artista: l’impressione è che stia offrendo ai soggetti la possibilità di riscattarsi, di emanciparsi dai ritratti fotografici che, proseguimento dell’istituto psichiatrico, sembrerebbero di nuovo imprigionarli per renderli innocui.

La Galleria d’Arte Contemporanea Boccanera di Trento

Una protesi tra il territorio locale e il contesto internazionale per ricerca e promozione di cultura.

Dal maggio 2007 la Galleria d’Arte Contemporanea Boccanera è una solida realtà culturale nel panorama trentino: l’idea che la direttrice, e fondatrice, Giorgia Lucchi Boccanera persegue è promuovere e supportare i giovani artisti che, con linguaggio fresco e competitivo, riescono a imporsi nel panorama artistico internazionale.

Gli spazi Boccanera hanno accolto le opere di giovani talenti emergenti, come la mostra White di Christian Fogarolli, che con Lost Identities s’è conquistato la visibilità a Kassel, in Germania, e Valentina Miorandi, premiata ad Arte Fiera Bologna con il premio Euromobil per 175 ettari. Trento come Auschwitz.

Ma non è uno spazio esclusivo per gli artisti locali: la Galleria Boccanera ha la sensibilità di vagliare le opportunità oltreconfine mantenendo un occhio di riguardo su quel che succede nel territorio.

La sperimentazione coinvolge, quindi, anche esponenti stranieri con trascorsi prestigiosi, come Richard Loskot che è stato ospitato nei locali di via Milano 128 con Open System.

L’idea di fondo che sostiene i progetti è quella di fare ricerca e cultura facendo interagire il contesto italiano con gli stimoli esterni, aprendosi alla globalizzazione: la Galleria Boccanera è una protesi culturale che valorizza quei testimoni talentuosi che operino con passione, originalità ed entusiasmo.

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