Nek “la vita un dono per il quale gioire e ringraziare”

Data: 01/08/10

Rivista: agosto 2010

Oltre che un bravo cantautore, Nek si è dimostrato in tante occasioni un valido cittadino, impegnandosi numerose volte nel mondo del sociale. Grazie al nostro capo redattore lo abbiamo raggiunto ed intervistato affinché fosse lui a parlarci di queste sue esperienze.

Hai partecipato al Live8; sostieni enti come l’AISM (in lotta con la sclerosi multipla); Doppia Difesa (contro la violenza e le pressioni nei rapporti di lavoro); Nuovi Orizzonti (per togliere le persone abbandonate dall’infelice realtà della strada); aiuti a raccogliere fondi per l’Abruzzo ed Haiti nonché supporti il Telefono Azzurro. Da dove nasce una così grande passione per l’impegno sociale?

È qualcosa che mi è cresciuto con l’andare del tempo. Ho potuto apprezzare i tanti benefici che la mia professione mi ha regalato e al contempo ho visto e conosciuto attraverso i viaggi realtà difficili e tormentate… così dopo 20 anni di carriera, essendo io un privilegiato, ho sentito che potevo fare qualcosa: prima di tutto ho voluto accorgermi di chi vive peggio di me per poi passare all’aiuto materiale che attraverso la mia musica mi vede impegnato in diverse operazioni.

I tuoi brani musicali sono spesso caratterizzati da una forte passionalità e tenerezza verso la vita. Una dolcezza che non si mostra ne fragile ne arrendevole nei confronti di chi la percepisce. Come giudichi allora questa leggerezza verso l’amore da cui sembriamo essere stati circondati? Ed ancora di più come vedi il poco rispetto per la vita che, purtroppo, sempre più giovani manifestano?

A mio parere credo che tanti (anche giovani) considerino oggi l’Amore non più quel nobile sentimento che può veramente cambiarti la vita. Lo si maltratta e di conseguenza non lo si vive come si dovrebbe. Questa condizione è stata generata da un’educazione poco incisiva e fatta soprattutto di modelli fasulli. Il tutto ha poi dato origine inevitabilmente a una diversa considerazione della vita che è la forma di amore più grande essendo un “dono” per il quale dovremmo tutti i giorni gioire e ringraziare. Si è diventati indifferenti verso il vivere di chiunque e il nostro, oppure si mette in pratica il detto “mors tua vita mea” come se fosse ritornato il Medioevo. Sento di citare qualcuno di grande come Sant’Agostino il quale diceva: “l’Amore nelle avversità sopporta, l’Amore è vita di chi muore, tutto passa solo l’Amore resta”… dovremmo leggere di queste frasi più spesso.

Abbiamo visto tantissimi ragazzi che vivono in condizioni estremamente negative. Come far capire a giovani della stessa età, ma più privilegiati, che la loro condizione non è un dono da esigere e maltrattare ma una condizione da valorizzare? Troppe volte nei nostri incontri coi ragazzi percepiamo un certo fatalismo verso i rischi del sabato sera.

La domanda che mi si pone ha una risposta che ha del complicato. Io credo che si dovrebbe fare di più nelle case di questi ragazzi… deve partire tutto dalle famiglie. Forse non esiste una comunicazione tra genitori e figli o se c’è non è corretta o non sufficiente.
È anche vero che esistono casi di situazioni gravi in nuclei famigliari di tutto rispetto però è più raro trovare ragazzi disastrati la dove ci sono stati un padre e una madre che hanno lavorato sodo sull’educazione che è basilare per chiunque.
Penso che si debba anche insistere nel ripetere le stesse frasi, gli stessi slogan, portare esempi di persone rinate da fatti brutti, insomma continuare a fare senza fermarsi.

Hai scritto la prefazione al libro “Quello che gli occhi non vedono” di Irene Ciambezi. Si parla di prostitute, ancora una volta la tua persona si raffronta con il tema della vita in strada. Come hai conosciuto questo libro e cosa pensi di questo triste fenomeno?

Sono riuscito a leggere la prima stesura di quel libro grazie a un amico sacerdote della comunità Nuovi Orizzonti. Grazie a lui sono entrato in contatto con la giornalista che ha raccolto e curato le testimonianze riportate. Una volta entrato in possesso della versione definitiva del documento ha potuto scrivere la prefazione che fa riferimento al delicato quanto spietato mondo della prostituzione, argomento che avevo anch’io toccato in una mia canzone intitolata “Nella stanza 26”.

Sappiamo che conoscevi Pierangelo Bertoli (amico della nostra associazione ed emblema del fatto che avere limiti fisici non significa avere personalità di serie B), con lui hai diviso il palcoscenico e per omaggiarlo hai anche eseguito la cover del suo brano “Chiama piano”, un brano che oltre un inno di speranza è soprattutto un invito a non avere mai paura di chiedere aiuto alla persone vicine. Hai scelto tu la canzone? Come ti sei trovato a lavorare sul brano del tuo compaesano?

Cantare “Chiama piano” è sempre una grande emozione per me. Lo è stato quando per la prima volta la cantai con Pierangelo vicino a me e quando decisi di inciderla per un progetto di solidarietà.
Quella canzone è magica nella musica ma soprattutto nel testo e si capisce quanto sia importate non essere mai soli e di quanto sia vincente l’unione fra la gente… l’indifferenza è sempre stato il male più difficile da curare e questo pensiero non me lo leverà mai nessuno dalla testa ma per fortuna esiste la musica che fino ad oggi ha sempre unito e mai diviso.

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