Nell’inferno dei Laogai, i lager cinesi

Data: 01/12/09

Rivista: dicembre 2009

Che cos’è oggi la Cina Popolare? L’ultimo baluardo del “socialismo reale”, oppure l’esempio di un capitalismo rampante che non conosce remore ed ostacoli? Un Paese dove le libertà dell’individuo rappresentano un diritto consolidato, oppure un grande campo di concentramento a cielo aperto? A questi interrogativi ha bene risposto la serata organizzata a Trento dall’associazione “Libertà e Persona”, che ha invitato il dottor Toni Brandi, presidente di “Laogai Research Foundation Italia”, e padre Bernardo Cervellera, direttore dell’agenzia di stampa “Asia news”. I “laogai” sono i lager cinesi, una realtà tragica ben poco conosciuta dall’opinione pubblica occidentale. Toni Brandi, con il suo intervento, ha aperto un’autentica “stanza degli orrori”: i campi di concentramento, in Cina, furono istituiti da Mao Zedong nel 1950 seguendo l’esempio dell’Unione Sovietica dove erano in piena funzione i gulag. Nella Germania nazista i lager furono chiusi nel 1945, nell’Unione Sovietica alla fine degli anni Ottanta; i lager cinesi, invece, sono tuttora operanti e tristemente fiorenti, in questo inizio di terzo millennio tanto ricco di bei discorsi sui diritti umani. Sono circa millequattrocento i laogai, recinti di repressione dove sono rinchiusi milioni di uomini, donne e bambini, costretti al lavoro forzato in condizioni disumane a vantaggio economico del Governo Cinese e di numerose multinazionali che producono o investono in Cina. “I laogai – ha spiegato Brandi – sono strettamente funzionali allo Stato totalitario cinese per un doppio scopo: perpetuare la macchina dell’intimidazione e del terrore, schiacciando così ogni tentativo di ribellione democratica; fornire un’inesauribile linfa alla produzione industriale, permettendo così il cosiddetto miracolo cinese, quell’incremento iperbolico di prodotto interno lordo che stupisce il mondo. Il pubblico gli ha chiesto perché, di questa realtà, tanto poco si sappia in Occidente e perché quasi nessuno ne parli. La risposta è tanto semplice quanto agghiacciante. Troppi interessi hanno i poteri forti della nostra economia in Cina, proprio grazie al lavoro a costo zero che viene prestato dai forzati dei laogai. Il vecchio detto latino “pecunia non olet”, il denaro non ha odore, è dunque sempre attuale.


Padre Bernado Cervellera è intervenuto sul tema delle libertà religiose, non potendo che confermare i concetti già espressi da Toni Brandi. In Cina tutte le religioni sono illegali e dunque sono perseguitati i cristiani, gli islamici, i buddhisti ed i credenti di ogni altra fede religiosa. È ben nota la vicenda del Tibet, dove centinaia di monasteri sono stati distrutti e decine di migliaia di monaci uccisi o fatti sparire, nei laogai ovviamente. Stessa sorte anche per tantissimi cattolici o cristiani di altre Chiese, rapiti, incarcerati, ammazzati.


Eppure, nonostante tutto ciò, il numero dei cattolici in Cina continua a crescere: ogni anno centomila adulti chiedono il battesimo e la paura non basta a soffocare il sentimento religioso. È il segno della speranza, della voglia di un futuro diverso, che anima il popolo della grande Cina.

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