È solo da qualche mese che sono venuto a conoscenza della storia che vi presentiamo qui di seguito. Me l’ha riportata un amico e ne sono rimasto molto colpito anche perché riguarda una persona a cui siamo entrambi affezionati.
Spesso la forza di volontà di un singolo smuove mari e monti, e in questo caso può essere d’esempio per tutti noi. Insieme, ragionando su come darle la rilevanza che merita, gli ho proposto di raccontarla sul nostro giornale. Spesso le cronache locali raccontano di esperienze simili, cercando però di dare risalto solo allo scontro, all’accusa, il tutto a discapito della riflessione. L’articolo qui sotto è un appello sincero a ritrovare pazienza e capacità di ascolto in un mondo dove le soluzioni evidenti sembrano essere i nuovi oracoli.
Abbiamo dimenticato la capacità di analisi, la fiducia nelle persone e la perseveranza verso i nostri obbiettivi, forse è il momento di correggere la rotta; buona lettura.
Lorenzo Pupi
Trento – La vicenda nasce quasi un anno fa nel nostro Capoluogo, una giovane ragazza trentina inizia a soffrire di forti dolori alla testa e alla mano sinistra, con parestesie e alterazione della sensibilità, e decide di presentarsi in ospedale per una visita di accertamento.
In un primo momento i neurologi dell’Ospedale Santa Chiara avanzano un ipotesi diagnostica di sospetta sindrome del tunnel carpale e consigliano la paziente con dei farmaci specifici per il dolore neurogeno, con l’intento iniziale di alleviare i disturbi in attesa di un intervento chirurgico.
Una volta smentita l’ipotesi di tunnel carpale, attraverso ulteriori esami strumentali, i sintomi vengono collegati ad un momentaneo stato di stress psico-fisico. Con il peggioramento delle sue condizioni fisiche che portano alla parziale perdita di mobilità di un arto, vertigini, emicranie, disfasia, disturbi visivi; e conscia che il suo problema non sia in alcun modo legato allo stress, decide di sottoporre il suo caso ad altri istituti ospedalieri con la speranza di trovare risposte più convincenti ai suoi problemi.
Da qui parte un lungo viaggio tra ospedali italiani e stranieri, da Verona a Padova, da Milano a Bologna, passando per Barcellona, che la porterà a scoprire le vere cause dei suoi disturbi. Dopo una lunga serie di accertamenti, tra cui alcune risonanze magnetiche all’encefalo e alla colonna vertebrale, le viene diagnosticata una sindrome rarissima e molto poco conosciuta che prende il nome di sindrome di Arnold-Chiari 1.
La notizia è di quelle che sconvolgerebbero qualunque persona, visto che tale sindrome, oltre ad essere molto rara, è anche molto difficile da curare prevedendo una delicata operazione tra cervello e spina dorsale e che viene effettuata solo in presenza di un forte peggioramento di tutti i sintomi. La ragazza non si da per vinta e con grande determinazione riesce a trovare in Siena l’unica struttura ospedaliera in Italia che le da delle risposte concrete, offrendole la possibilità di sottoporsi ad un’operazione sperimentale, che risulterebbe essere molto meno rischiosa ed invasiva di quella classica.
A questo punto, dopo quasi un anno di paure e angosce, la ragazza decide di sottoporsi all’intervento chirurgico sperimentale che a mesi di distanza risulta perfettamente riuscito, con la totale remissione dei sintomi di cui lei soffriva. La conclusione della vicenda è per fortuna felice e la ragazza è potuta tornare ad una vita normale.
I motivi che oggi ci portano a raccontare questa storia sono molteplici e conducono ad una serie di riflessioni irrinunciabili.
Il principale intento è quello di fornire una fonte d’informazione a persone che soffrono o che potrebbero soffrire in futuro di questo disturbo, molto poco conosciuto e molto spesso sottovalutato, come la sindrome di Arnlod-Chiari 1. Se dunque la funzione divulgativa ricopre un ruolo centrale, ci sembra altrettanto doveroso denunciare l’atteggiamento negativo di alcuni medici coinvolti nella vicenda, soprattutto di Trento, Verona, Milano. Negativo non tanto nella loro incapacità di trovare una corretta diagnosi, vista anche la rarità di tale sindrome, ma nel loro atteggiamento schivo e poco umano nei confronti del paziente. Questo atteggiamento evidenzia una preoccupante mancanza di coraggio sia a livello umano che professionale che ha rischiato di lasciare la paziente spaesata e in balia del proprio destino.
Teniamo a sottolineare che tale presa di posizione non vuole essere un attacco indiscriminato verso una categoria professionale per la quale nutriamo il massimo rispetto e ammirazione, ma un’occasione di riflessione per tutti quei medici che dubitano in ciò che un paziente comunica loro. Il coraggio è anche quello di credere in un paziente, di assumersi responsabilità e di prendere decisioni difficili. Questa è una virtù rara ma necessaria per una professione così importante e delicata e che speriamo non venga mai dimenticata.
Cogliamo infine l’occasione per ringraziare i medici che hanno reso possibile il positivo esito di questa vicenda: Dott. Sardo e la sua equipe, Dott. Mohthadi, Dott. Clerici, Dott. Royo, Dott. Marsilli, Dott. Procaccio ed infine Dott.ssa Cerasa.