Si pensa spesso al carcere come il luogo in cui le persone che vengono rinchiuse passano anni a fissare le sbarre, aspettando di tornare in libertà. Questo luogo comune del detenuto nullafacente non rispecchia fortunatamente la realtà del sistema penitenziario attuale.
La riabilitazione dei detenuti si fonda principalmente su istruzione e lavoro; il tempo da trascorrere nell’istituto può in questo modo essere sfruttato per proseguire gli studi o imparare un mestiere. Una volta terminata la pena, l’impegno spesso può fare la differenza, tra coloro che hanno usufruito dei corsi scolastici o professionali durante la detenzione, e chi al contrario non ne ha approfittato. I primi, sono avvantaggiati nel reinserimento lavorativo, anche grazie alle cooperative sociali che offrono loro queste opportunità. Mentre gli altri, al termine della pena, rischiano di ritrovarsi in libertà in una situazione simile a quella precedente alla carcerazione, esponendosi nuovamente ai comportamenti delittuosi e di conseguenza ha maggiori possibilità di diventare recidivo e tornare tristemente all’interno di un istituto di pena.
La situazione italiana presenta però delle peculiarità che risaltano particolarmente se analizzate comparandole con i dati sul carcere provenienti da altri paesi europei: ricorriamo maggiormente alla pena detentiva, senza concedere molte misure alternative. Se nella maggior parte dei paesi UE i detenuti sono la metà dei condannati alle misure alternative, in Italia, questi ultimi sono al massimo un terzo di coloro che affollano le carceri. Si va così contro la tendenza ad utilizzare la privazione della libertà del soggetto solo in via residuale, ed esclusivamente per quei soggetti colpevoli di reati particolarmente gravi.
L’elevato numero di detenuti rende difficile la distribuzione del lavoro infatti oggi solo uno su cinque riesce a lavorare. Mentre negli anni ‘70 quasi un detenuto su due lavorava durante la detenzione, ma questo era favorito dalla legislazione dell’epoca che retribuiva questi lavoratori in misura molto minore, rendendo perciò molto appetibile per le aziende l’utilizzo di mano d’opera proveniente dal carcere. Con gli anni si è preferito garantire maggiormente i diritti di questi individui, che ora hanno diritto ad uno stipendio più equo per il lavoro offerto. Certamente questo ha portato ad un inevitabile calo dell’offerta di lavoro da parte delle imprese.
Il fondamento della rieducazione del condannato sta anche nell’insegnamento, infatti un detenuto su quattro segue dei corsi scolastici. I corsi di alfabetizzazione sono quelli maggiormente frequentati da stranieri, ma solo un terzo viene promosso. Vi sono poi la scuola primaria e secondaria di primo grado, dove il numero di stranieri iscritti supera ancora quello dei compagni italiani, e infine la scuola secondaria di secondo grado che viene frequentata da un elevato numero di detenuti italiani.
Nel complesso sono 15.000 coloro che provano a trarre il meglio da questa esperienza, tentando di migliorarsi sul piano scolastico o professionale, con buone speranza di reinserimento nella società.