L’Ordine dei medici ha approvato la costituzione del Consiglio sanitario provinciale, organo consultivo tecnico-scientifico della Provincia in materia di sanità. Si insidierà ai primi di febbraio e si occuperà di tutte le professioni sanitarie. Considerato come momento di effettiva partecipazione dei medici, e più in generale di tutti gli operatori, alle attività di programmazione e di gestione sanitaria, il nuovo organismo ha il compito di formulare proposte per l’elaborazione del piano per la salute, esprimere pareri sui progetti di legge della giunta e sui progetti di regolamento in materia sanitaria, nonché sui provvedimenti a carattere generale concernenti la programmazione dei servizi sanitari e la formazione del personale.
Nuove tecnologie sanitarie
Si è tenuto a Trento negli ultimi giorni di gennaio un Forum organizzato congiuntamente dall’Azienda provinciale per i servizi sanitari e dall’Università degli Studi di Trento, con la partecipazione del Network italiano di TA (Technology Assessment). Oggetto dell’incontro lo sviluppo delle tecnologie sanitarie, diventato negli ultimi anni estremamente veloce, a fronte di risorse che invece sono stabili o in diminuzione. Per questo è assolutamente necessario sviluppare un approccio organico e scientifico capace di orientare le scelte di politica sanitaria. L’aumento dell’offerta tecnologica non sempre si traduce in un miglioramento della qualità delle prestazioni sanitarie, a meno di un’attenta valutazione dell’impatto clinico, economico e organizzativo derivante dall’introduzione delle nuove tecnologie. Per “tecnologia sanitaria” si intendono farmaci, tecnologie, presidi medici, procedure medico-chirurgiche, sistemi organizzativi ecc.. La valutazione, pertanto, richiede il coinvolgimento di diversi profili, da quello medico e assistenziale a quello organizzativo ed quello economico, fino ad arrivare agli aspetti etici.
Assegno famiglia:2.600 domande
Sono state ben 2.630 le richieste effettuate per ricevere l’assegno regionale al nucleo familiare, previsto dalla legge 1/2005 «Pacchetto famiglia e previdenza sociale». Queste misure vanno incontro a quelle famiglie cui costi della vita e le conseguenze della precarietà del lavoro rendono difficile sbarcare il lunario. L’assegno regionale al nucleo familiare consiste in un aiuto economico destinato a nuclei familiari per i figli (ed equiparati) oltre al primo fino al compimento del 18° anno d’età o per figli (ed equiparati) disabili a partire dal primo figlio e senza vincoli d’età. Per accedere a questo intervento è necessario avere la residenza in Trentino Alto Adige e appartenere a determinate categorie professionali (lavoratore dipendente, disoccupato o iscritto alle liste di mobilità, lavoratore autonomo iscritto nelle gestioni speciali Inps o nella gestione separata. L’assegno terrà conto del reddito familiare e del patrimonio di ciascun membro, accertato attraverso il sistema Icef, considerato più equo e fedele alla realtà rispetto a quello tradizionale ancora utilizzato in Provincia di Bolzano. Dalle rilevazioni compiute sulle domande pervenute finora, si stima che oltre il 50% delle famiglie con due o più figli avrà accesso a quest’intervento di sostegno economico, Finora le domande sono state 16 mila domande presentate su base annua. L’importo mensile medio erogato sarà all’incirca di 102 euro per i nuclei familiari con entrambi i genitori, 111 in caso di presenza di un solo genitore e 236 in presenza di un figlio disabile, per un investimento totale di 25 milioni di euro. Le domande riferite al periodo compreso tra il 1° luglio 2005 e il 31 dicembre 2006 vanno presentate entro il 30 giugno e i benefici decorreranno dal primo giorno del mese successivo. Trascorso questo periodo di transizione sarà possibile presentare domanda in qualsiasi momento dell’anno in un ente del Patronato, negli uffici periferici per l’informazione della Provincia e allo sportello dell’Agenzia provinciale per l’assistenza e la previdenza integrativa, dopo aver provveduto alla dichiarazione Icef nei Caf accreditati e negli uffici periferici per l’informazione della Provincia. È possibile verificare anche on-line la propria idoneità all’indirizzo www.icef.provincia.tn.it.
Cresce la qualità scolastica
Aumenta in Provincia e nel nostro Paese il tasso di scolarità alle superiori (gli iscritti passano dal 63,5 all’89,7% negli ultimi dieci anni), ma non diminuisce il numero degli studenti che abbandonano lo studio prima di raggiungere il traguardo della maturità. Secondo una recente analisi, sia al nord che al sud, nella scuola primaria, la quasi totalità di chi consegue la licenza media si iscrive poi alla scuola secondaria superiore. Ne deriva così un netto miglioramento rispetto agli inizi degli anni ‘90, quando il tasso di iscritti si limitava all’83% degli studenti meridionali e all’88% di quelli settentrionali. Conseguentemente si è verificato anche un miglioramento del tasso di scolarità nella scuola secondaria superiore: è salito, specialmente nel Mezzogiorno, dove si è passati dal 63,5 per cento del 1991 all’89,7% nel 2003 (dal 71,7% al 92,5 per cento nel resto del Paese). Bisogna però dire che una non piccola parte di questi studenti abbandona la scuola prima della maturità, segno di un qualche disagio. Eppure, se molti abbandonano, altri manifestano la volontà di continuare a studiare: cresce perciò il numero degli iscritti ai corsi di laurea breve (soprattutto dei gruppi medico e politico-sociale) anche se il divario rispetto alle regioni settentrionali resta quasi costante. Nel confronto con altri Paesi europei la debolezza della scuola superiore italiana si rivela ancora di più se messa a confronto con altri Paesi: 88% nella Repubblica Ceca e 86% nella Repubblica Slovacca, l’81% a fronte di 46% in Italia (il 42% nel Mezzogiorno e il 51% nel Centro-Nord). Se poi si considerano i laureati, ci troviamo all’11% contro il Giappone (36%), gli Stati Uniti (38%) e la Svezia (32%).
Unicef, il dramma dei bambini “invisibili”
Ecco di seguito una lunga serie di dati davvero impressionanti sullo stato dei minori in giro per il mondo, ricavato dal rapporto annuale dell’Unicef. Se il resto del giorno si vede dal mattino, c’è veramente da nutrire poche speranze! Centinaia di milioni i bambini “invisibili”, orfani, affamati o sfruttati. Di questi 50 milioni, perlopiù nati nei paesi in via di sviluppo, non sono nemmeno registrati all’anagrafe e uno su due vive in povertà. Un esercito di piccoli esseri umani per i quali la lotta per la sopravvivenza è ancora più dura: non essendo riconosciuti come cittadini non hanno alcuna garanzia di istruzione o assistenza sanitaria. 143 milioni i bambini nei Paesi in via di sviluppo (1 su 13) senza almeno un genitore. Decine di milioni passano la loro vita per strada esposti agli abusi e allo sfruttamento; un milione vive in stato di detenzione e 15 milioni quelli resi orfani dall’Aids. Oltre 80 milioni di ragazze (una su tre) si sposano prima dei 18 anni e 171 milioni di bambini (di cui 73 milioni sotto i dieci anni) lavorano in condizioni rischiose e pericolose. Quasi due milioni sono sfruttati dall’industria del sesso e 150 milioni vivono con una forma di disabilità, senza possibilità di riabilitazione. Ogni anno tra i 250 e i 500 mila bambini diventano ciechi per carenza di vitamina A. Tra questi il tasso di mortalità è altissimo: un su sei muore prima dei cinque anni e uno su dieci prima di un anno. Inoltre un piccolo su tre sotto i cinque anni (42 milioni in totale) è sottopeso; un neonato su quattro non è vaccinato contro il morbillo, malattia che ogni anno uccide 500 mila bambini. Un minore sotto i 15 anni muore di Aids ogni minuto. Molti non frequentano la scuola, sono sottoalimentati o sottoposti a carichi eccessivi. Inoltre nei paesi più poveri 250 mila bambini vengono arruolati come soldati nei conflitti armati. Per ogni 100 bambini privati della possibilità di andare a scuola ci sono 117 bambine cui è negato questo diritto. In media una bambina su due non frequenta la scuola elementare.
500mila fumatori in meno
Da quando, un anno fa, è entrata in vigore la legge antifumo che ha imposto il divieto di fumare nei locali pubblici compresi bar, ristoranti e discoteche, in Italia sono “spariti” ben 500 mila fumatori. La contrazione riguarda, in modo pressoché equivalente, uomini e donne. Il 7% di quanti hanno smesso, infatti, l’ha fatto spinto dai numerosi divieti piuttosto che dai tanti ammonimenti scritti sul retro dei pacchetti o diffusi dai media. Lamenti invece, ma si fa per dire, dal ministero dell’Economia i cui ricavi provenienti dalla vendita di tabacco, nel periodo tra gennaio e novembre del 2005 si sono contratti complessivamente del 5,7 rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente.
Basta sordomuti
Il «sordomuto» diventa sordo preverbale: dallo scorso 15 dicembre è scomparso il termine «sordomuto» lasciando il posto al termine “sordo verbale”. Lo rende noto il sottosegretario al welfare riferendo l’approvazione della nuova terminologia in commissione lavoro, in sede deliberante al Senato. La modifica, attesa da tempo dalle associazioni attive nel campo, è un ulteriore passo avanti compiuto dal nostro Paese verso una sempre migliore tutela e verso la completa e sostanziale equiparazione di tutti i cittadini. La sostituzione del termine “sordomuto” con il termine “sordo preverbale” opera in tutte le disposizioni legislative vigenti. Eco in questo breve stralcio cosa prevede la legge: L’incapacità di acquisire il linguaggio per via normale, come é noto, discende semplicemente dall’impossibilità sensoriale di percepire i suoni e quindi di riprodurli. Tanto é vero che con le tecniche specialistiche oggi esistenti anche i sordi profondi, se tempestivamente e correttamente educati tramite una adeguata riabilitazione, possono acquisire il linguaggio verbale. Tecnicamente parlando dal punto di vista medico-fisiologico chi è affetto da questa invalidità può pertanto essere più propria mente qualificato “sordo e/o sordo preverbale”. Il termine “preverbale” meglio di ogni altro rende nella nostra lingua il concetto delle connessioni crono-funzionali intercorrenti fra sordità e linguaggio parlato: l’aggettivo “verbale”, infatti, ha la sua radice, come é noto, nel termine latino verbum, parola, e il prefisso “pre” specifica in modo inequivocabile che la sordità preesiste alla parola. La qualificazione di “preverbale” la si preferisce (anche prescindendo da ragioni estetiche) a quella di “prelinguale” da altri proposta. Quest’ultima, richiamandosi al concetto di linguaggio, investe un momento culturale più vasto rispetto a quello della parola, intesa come semplice funzione organica, cioé come modalità “parlata” del linguaggio. In effetti anche chi é affetto da sordità congenita o infantile può arrivare, quanto meno attraverso l’apprendimento della scrittura, a dominare tutte le significanze etnico-culturali di una lingua parlata, ma non potrà mai, per via normale, arrivare alla verbalizzazione di quella lingua. L’elemento discriminante, pertanto, non é tanto quello linguistico quanto quello verbale. Articolo 1. In tutto il sistema normativo italiano il termine “sordomuto”, come definito nel secondo comma dell’articolo 1 della legge 26 maggio 1970, n. 381, viene sostituito con l’espressione “sordo o sordo preverbale”; pertanto a tutti gli effetti di legge devono considerarsi “sordi o sordi preverbali” i cittadini italiani affetti da “sordità congenita o acquisita durante l’età evolutiva.
Studi illeciti su pazienti ignari
Screening non autorizzati condotti in strutture sanitarie pubbliche su neonati e adulti per individuare i pazienti con rare malattie genetiche (ad esempio, la SLA, Sclerosi laterale amiotrofica, 5000 casi in Italia) a cui poi poter vendere i medicinali prodotti dalla multinazionale Genzyme Corporation, società leader nel campo delle biotecnologie. La Guardia di Finanza di Modena ha scoperto un sistema di corruzione che la filiale italiana della multinazionale avrebbe messo in piedi fin dal 2001 con la complicità, in particolare, di un medico e di un biologo dell’ospedale infantile Regina Margherita di Torino. Secondo gli investigatori, ogni paziente affetto dalla rara malattia genetica individuato attraverso screening non autorizzati “valeva” potenzialmente per l’azienda farmaceutica circa 300mila euro di fatturato all’anno: ogni confezione di medicinale costa, infatti, tra i mille e i tremila euro e deve essere assunto mediamente ogni due settimane.