Obesità è invalidità

Data: 01/10/04

Rivista: ottobre 2004

I chili in più, si sa, sono all’origine di disagio estetico e soprattutto complicazioni fisiche con ripercussioni dirette sul piano esistenziale. A volte questi chili sono davvero troppi, legati a disfunzioni organiche oppure ad un metabolismo fuori controllo o ancora, a cause psicologiche. In tal caso si parla di obesità.

Questa disfunzione è correlata con numerose malattie degenerative, diabete, ipertensione arteriosa, ischemia miocardica, insufficienza cardiaca, colecistopatia, nefropatie e danni osteoarticolari, in particolare a carico della colonna vertebrale e delle articolazioni sottoposte ad un carico eccessivo. In via generale poi, gli individui obesi hanno un speranza di vita significativamente ridotta rispetto alla media.

Ne parliamo qui perché fino ad una recentissima sentenza della Cassazione (settembre 2004), chi soffriva di obesità, anche grave, si vedeva riconoscere dallo Stato un ridotto grado di invalidità, compreso tra il 31 ed il 40%, ben lontano dalla soglia di quel 74% oltre il quale si ha diritto all’assegno di invalidità.

La Corte Suprema di Cassazione ha ora cambiato completamente le cose stabilendo che non sono più vincolanti le tabelle usate per misurare il punteggio di invalidità adottate nel 1992 con Decreto Ministeriale, quelle che non concedevano in nessun caso agli obesi una percentuale di handicap superiore al 40%. Fin alla sentenza, un obeso grave, ad esempio un soggetto di 200 chili con gravi limitazioni di funzionalità e mobilità, non poteva vedersi riconosciuto l’assegno di invalidità per il quale ci voleva, come detto sopra, almeno il 74%.

Per la Suprema Corte, anche l’obesità grave va considerata a tutti gli effetti una malattia invalidante, specie nelle forme gravi di accumulo adiposo. Pertanto in sede di valutazione della percentuale di invalidità, bisogna andare oltre i limiti tabellari del decreto del ’92 e dare punti più elevati, superiori al 40%, a chi ha un rapporto molto squilibrato tra altezza e peso corporeo.

Tutto era partito dal ricorso di una signora piemontese che, vistasi rifiutato dal Ministero il riconoscimento del 74% di invalidità per i suoi 150 centimetri per 130 chili, era ricorsa al Tribunale di Torino. Neanche qui però era riuscita a far valere le sue ragioni e i giudici, attenendosi burocraticamente ai valori tabellari, le avevano attribuito un punteggio non superiore 40%. La signora però tenne duro e si rivolse alla Suprema Corte di Cassazione!

Qui i Giudici, nonostante un parere di inammissibilità da parte della Procura Generale, hanno affermato che le attuali tabelle non tengono nel dovuto conto le nuove forme di obesità e quelle più gravi e invalidanti. Senza riferire i tecnicismi e le formule per il calcolo dell’indice di massa corporea indicati nella sentenza, la Corte, ha stabilito che una «situazione» come quella della ricorrente «richiede una indagine diretta ad acclarare il grado di invalidità, svincolata dai limiti specificati dalle tabelle».

D’ora in poi le persone gravemente obese potranno ottenere un punteggio di invalidità superiore al 40% poiché, nel definire il livello di obesità, i periti dovranno tenere presente, oltre le tabelle, la reale situazione «invalidante» di chi è afflitto da questa malattia.

Chi volesse saperne di più, clikki il sito dell’Associazione Italiana dell’Obesità, www.sio-obesita.it

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