PANDEMIA 2020-2021: UNA CERTA OCCASIONE?

Nel tempo la disabilità è stata percepita in diversi modi, ognuno specchio del proprio tempo. Così, della preistoria non sappiamo altro che i neonati con qualche disabilità venivano semplicemente  “buttati” perché intralciavano il nomadismo del gruppo. Un po’ più moderni, si fa per dire, greci e romani: si liberavano giulivamente di quanti avevano un difetto fisico o mentale esponendoli sul monte Taigeto o lanciandoli dalla rupe Tarpea! Per così dire, li restituivano agli dei in cambio di uno “non difettoso”… un’eugenetica hitleriana verrebbe da definirla! Gran cambiamento con il cristianesimo: come figli di Dio, tutti hanno il dovere di riscattar il peccato originale per entrare in paradiso dalla porta principale! La disabilità era attribuita di volta in volta alla punizione di un familiare scostumato o depravato oppure, in caso di persone di specchiata moralità, di un qualsivoglia antenato disobbediente alla legge di Dio. Il Rinascimento con meno fatalismo religioso offrirà l’opportunità di mostrare la propria gratitudine al Padreterno per la buona sorte ricevuta offrendo elemosine ai sofferenti (vedi i quadri del 1500).

Le cose mutano alla fine del secolo scorso e ancor più dopo la prima guerra mondiale:  si fa largo l’idea di una sorte malaugurata, di una paralisi, di un ictus, una sindrome di Down eccetera come di una sventura, un’evenienza possibile. Il soggetto sfortunato pertanto andava rimesso in condizioni di vivere una propria vita più autonoma possibile.

A partire dal ’46 un vero crescendo rossiniano: si mette per iscritto nella nostra Costituzione che ogni cittadino della Repubblica deve contribuire con le sue capacità ad una miglior condizione sociale ed economica di tutti.

Una situazione cambiata, quasi capovolta rispetto a prima: la disabilità  tanto traumatica quanto progressiva o congenita non è più considerata una sventura voluta da forze superiori ma una evenienza sfortunata da rendere il meno dannosa possibile, un’evenienza parte stessa del rischio di vivere!

Tutto ok, tutto magnifico, ogni ostacolo in discesa, nuovi diritti all’orizzonte e così via? Macchè, dal cesto delle brutte sorprese ecco saltar fuori nell’inverno del ’20 la… pandemia: in occidente essa ha evidenziato prima di tutto l’incapacità dell’ente pubblico di proteggere vita, salute e diritti delle persone non autonome, disabili e anziani in primis.

Con ll lockdown (più comodo “serrata”!) di scuole, di case private o pubbliche, di residenze, di strade e stadi, i disabili scompaiono confinati nella solitudine, nella monotonia, nell’isolamento, frustrazione, irascibilità, quasi fossero stati travolti da una sindrome post traumatica!

Niente visite di parenti, solo saluti da vetrate o al telefono, abbracci incartati nel cellophane, niente interazioni vis a vis con i compagni di classe, il maestro di appoggio o il  caregiver, divieto di lasciare il centro residenziale, rischio di ammalarsi, hanno avuto un impatto terribilmente negativo. Definiti “soggetti fragili” sono stati vaccinati, internati e isolati subito per impedir loro di ammalarsi ed infettare gli altri. Era ipotizzabile una notevole contrazione della loro presenza  tra i normali, a scuola, sul lavoro o fuori, forse la scomparsa come soggetti pubblici….

 

E invece no! Guardando all’oggi, settembre 2021, con la pandemia in via di attenuazione (toccatevi qualcosa!) e la gente pronta a tirare il fiato, ecco gente a bizzeffe, l’autostrada mai così intasata, boschi e prati come a San Giuseppe, feste con secchiate di birra e spritz, assembramenti, campionati di ciclismo con spettatori addossati come sardine… e… e.. tra loro, in mezzo a loro, con loro anche disabili di tutti i tipi, da chi si appoggiava al bastone a chi arrancava in carrozzina, da chi passeggiava con il deambulatore a chi si aggrappava con determinazione a un braccio amico!

 

Ecco, uno degli aspetti più appariscenti, vera cartina tornasole della svolta è stata loro aumentata presenza in pubblico: per dire, esempio tra il 12  e il 18 settembre scorso, ne ho visti due al caffè del Palaonda, quattro o più nel centro di Trento, altre due anziane in via Aeroporto con girello e tanto da  raccontarsi, uno con gambe quasi incrociate e bastone in via Roma, un altro  con comando labiale, ossigeno e borraccia al Supercoop di Trento sud, ben 5 spasso per Riva e uno (!) infine dentro una manifestazione “no vax”!

 

Probabilmente una delle molle del mutamento è stato la considerazione: se oggi tiro avanti un’esistenza già scassata causa Covid, tanto vale che, pur con precauzione, mi butti a vivere!!

Tra gli effetti collaterali di un nuovo possibile lockdown c’è stato quello di non voler perdere d’ora in avanti occasioni di “esserci”, di uscire ad ogni costo, recuperare in meglio il tempo perduto, un lavoro, far ancora cose mai neanche pensate o. più semplicemente, pazziare un po’! Così, domandando ad un’anziana col girello, un vero salvavita per moltissimi prima parcheggiati  in poltrona, come andasse mi ha risposto: “…me la godo e basta!”.

Un nuovo modo per gli svantaggiati  di percepirsi ed esser percepiti tra gli altri, di vedere il proprio handicap non come un limite  ma la propria condizione di vita: essere conterà molto più di apparire!

 

Detto da uno in carrozzina dal ’70 “in solitudine”, poi accompagnato dal leggendario Natale Marzari e via via da pochi altri, vederne di colpo così tanti è stata una sorpresa e una soddisfazione: il segnale che anzianità, malattia o disabilità hanno perso forza come sinonimo di grama sopravvivenza e vita dalle ruote spompate per far largo ad una un’esistenza possibile e vivibile anche da disabili. La conferma dai centri di riabilitazione: le cartoline provenienti da posti esotici, spiagge, monti o località turistiche sono di gran lunga più di quelle provenienti  da Lourdes, da Fatima, dal Vaticano…

Auguriamoci continui così, niente pandemia e disabili a spasso! Per ora solo un auspicio ma, come al solito, chi vivrà vedrà!

 

precedente

successivo