«Dobbiamo chiederci chi è un clandestino, uno che non ha il permesso di soggiornare in un paese. È una persona senza futuro perché non ha un’identità da rivendicare. Diventa una presenza illegale, illegittima. È qui, ma al tempo stesso non è qui. Vive su una soglia. È una “non persona”.»
Nadir Gordimer
L’antefatto: nel febbraio 2009 passò il disegno di legge proposto dalla Lega che prevedeva una tassa sui permessi di soggiorno (dagli 80 ai 200 €), legalizzava le ronde non armate di cittadini, istituiva un registro dei senzatetto ed infine offriva la possibilità ai medici di denunciare i clandestini che si servissero delle strutture sanitarie pubbliche.
Quest’ultima disposizione sopprimeva il comma 5 dell’articolo 35 del decreto legislativo del 25 luglio 1998, n. 286, ossia «L’accesso alle strutture sanitarie da parte dello straniero non in regola con le norme sul soggiorno non può comportare alcun tipo di segnalazione all’autorità, salvo i casi in cui sia obbligatorio il referto, a parità di condizioni con il cittadino italiano».
Tale decreto poneva quindi delle gravi problematiche: innanzitutto era possibile che una persona in pericolo di vita non andasse a farsi curare per paura di essere denunciata. Altro problema etico riguardava i medici che sentissero stridere la nuova disposizione con i dettami del loro Codice Deontologico, che recita “giuro di curare tutti i miei pazienti con eguale scrupolo e impegno indipendentemente dai sentimenti che essi mi ispirano e prescindendo da ogni differenza di razza, religione, nazionalità, condizione sociale e ideologia politica”.
Potrebbe sembrare inumano “costringere” individui a non sottoporsi a delle cure necessarie per paura di una denuncia, ma altrettanto rischioso è allontanare dal controllo sanitario persone che potrebbero aver contratto malattie nel paese d’origine ed, infine, palpabile è pure il rischio d’incentivare una medicina alternativa ed illegale.
Al tempo dell’uscita del ddl, a parte lo sdegno temporaneo suscitato, gli scontri verbali in aula scemarono con un vicendevole uso del termine “razzista” tra maggioranza e opposizione utilizzandolo chi nei riguardi degli stranieri, chi nei confronti dei connazionali italiani.
Agli inizi del 2013 sembra che, pur in termini ristretti, questo provvedimento sia in via di ridimensionamento. È recente la notizia che sia stata revisionata una norma che mira almeno a tutelare i più piccoli. Fino ad ora i minori stranieri non in possesso di un permesso di soggiorno venivano portati in consultori, in ambulatori per adulti oppure in altri istituti che offrivano servizi diversi: ciò comportava l’inevitabile continuo cambio di medico e la diretta conseguenza di limitare così la possibilità di avere una storia sanitaria organica del piccolo paziente. Tutto ciò senza tener conto che il servizio offerto a livello qualitativo, non essendo mirato all’infanzia, peccava di qualità.
Non era previsto un disegno organico che prevedesse l’assistenza a livello nazionale dei minori clandestini: ogni regione gestiva da se la situazione in base all’impostazione politica locale.
Con il recente accordo derivante dalla conferenza Stato-Regioni si sono raccolti in un unico strumento le disposizioni normative nazionali e regionali, rendendo così più efficace l’organizzazione del sistema sanitario rivolto agli stranieri.
Nella pratica saranno investiti 30 milioni a favore della salute dei giovani immigrati non in regola: dovranno essere obbligatoriamente iscritti al servizio sanitario nazionale rispettando così i dettami dell’articolo 32 della Costituzione.
Altra modifica: sarà prolungato il periodo di permanenza sul suolo italiano per puerpera e nascituro finché il neonato non abbia compiuto un anno. Fino ad ora la legge prevedeva la loro espulsione al compimento del sesto mese d’età.
Il diritto al pediatra è così garantito anche ai bambini clandestini.
Il testo integrale dell’accordo è reperibile sul sito del Cinformi.