Perchè compatire un’istituzione? (parte 2)

Data: 01/08/04

Rivista: agosto 2004

Riportiamo la seconda parte dell’articolo. La prima parte è stata pubblicata sul numero scorso.

C’è però un tipo nuovo di sentire

Non si tratta di tornare ad un tipo di abilitazione individuale, spontanea, opposta al protocollo aspecifico e stereotipato, dell’istituzione; non il ritorno ad una sorta di intervento terapeutico incidentale, tipico di una società comunitaria, pre-moderna, anche se forse più giusta e con un senso profondo dell’integrazione, delle proporzioni e delle conseguenze.

Ma sarebbe bene non dimenticare che le poche reali normalizzazioni “definitive” dell’autismo provengono da esperienze individuali, locali, familiari divenute solo poi universali e capaci di spazzare via il mondo delle formule preconfezionate tradizionali e istituzionali.

Il messaggio che non si vuol riconoscere in queste esperienze singolari, é di una forza straordinaria perché scaturisce dalla “responsabilità individuale” e non dall’istituzione: è la “madre”, o il genitore, che sceglie l’adozione, che decide di rifiutare la delega in bianco ma sceglie di utilizzarla con saggezza, con misura, liberandosi da attese esorbitanti, dalla lotteria dei comportamenti preconfezionati, i soli autorizzati e “quasi” obbligatori. È la madre che sceglie se accetterà, e fino a che punto, quanto già determinato, per lei e per quel figlio, dal sociale legiferato.

“Sto di fronte a un problema medico, l’autismo, che più studio e più mi appare difficile, ma anche gestito confusamente, incomprensibilmente e inadeguatamente. Credetemi non ha paragoni con nessuna altra patologia, e vedo declamare “assiomi” che io non trovo in nessuna altra branca medica”.

“Noi vogliamo, come i nostri figli, apprendere per “imitazione” e non legittimare nostro malgrado l’escatologia di un fasullo sistema sanitario e scolastico per il disabile”.

L’inumano (il “mysterium iniquitatis”), l’iniquo, la degradazione non sta nei piccoli con autismo ma in quello che ad essi si impone, fondando le certezze di un intero apparato sull’immagine di adolescenti e di adulti autistici, mai abilitati, sui “fallimenti viventi” di coloro che ora sono i responsabili di questo apparato. Delegando ogni responsabilità e non solo per il passato, ora parlano di “scolarizzazione”, meglio se precoce, come unico momento terapeutico-abilitativo, forniscono nessuna preparazione al personale specifico, guidano un’integrazione ad orologeria, si armano per risolvere con sedativi sperimentali i sintomi dei loro pregiudizi inscalfibili e prescrivono cicli aspecifici ovviamente per delega di logopedia e psicomotricità, scadenziati (fra non molto semestrali), impegnati strenuamente nella configurazione dello “stereotipo”, utile appunto alla logica istituzionale, anziché alla soluzione del problema.

Istituzionalizzazione greve seppur senza mura; un silenzioso e perdurante tradimento.

Vuoti culturali da parte della società che fagocita la famiglia inebetita dalle ordinanze dei “corsari”, in questo caso dell’autismo, e che pertanto spesso non avvia nemmeno la più banale critica alla gestione “per delega” dei propri figli. Deleghe a cascata per dilavare le responsabilità del nulla e di fiumi di denaro per soddisfare i dotti del tempio e per farci tacere.

E infine queste madri e padri, per evitare lo scontro con chi rinnova loro l’obbligo di essere “solo genitori” e non terapeuti, smettono di sperare nelle “soluzioni per delega” e in modo eroico e solitario, dimenticati e isolati come ciurma appestata e reietta, riprendono, privi di conoscenze specialistiche di terapia e riabilitazione, ad accudire i loro figli in quella maniera amorevole la cui forza misteriosa è la antitesi dell’autismo di stato di cui siamo testimoni e che di quella abilitazione si sarebbe dovuto occupare.

Bisogna de-istituzionalizzare l’autismo

Bisogna farlo specialmente per quei giovani genitori che si affidano speranzosi ai Servizi, a quelli che credono per legge nelle figure professionali deputate.

Bisogna che il nuovo sociale divenga “preferenziale” e non obbligato e sappia consigliarli, formarli, ridando loro la competenza per tornare ad essere buoni ed informati genitori. Serve autorevolezza e non autorità.

Bisogna riconsegnare “ruolo abilitativo” alle famiglie, rispettare quanto di immenso potrebbero fare ed allearsi in un confronto quotidiano in parallelo, in continuità, in reciprocità.

Bisogna che l’istituzione si faccia carico realmente del problema, alleggerendosi dai fardelli, e cominci ad affrontarlo in maniera diretta, forte, imponente con un intervento abilitativo subito. Bisogna entrare fisicamente nella scuola, nelle case, nell’intera giornata con esperti che fanno e che siano in grado di smettere di parlare. Bisogna essere esempio di un recupero non semplicemente l’altare della sua definizione.

Bisogna che sia riscritto e sia concretizzato il momento “medico” dell’autismo, oltre la diagnosi, oltre la scuola, verso la migliore normalizzazione possibile della condizione disfunzionale che il medico ha ricevuto in carico.

Bisogna battere l’autismo quando si è in tempo per un futuro non-istituzionalizzato.

Patrizia & Tiziano Gabrielli Genitori in Prima Linea Autismo Italia genitori.inprimalinea [@] cr-surfing.net Tel. 0461706500

precedente

successivo