Con un contratto iniziale, ovviamente simbolico, ci impegniamo, tutti e 35 per lo più sconosciuti l’uno all’altro, a vivere ciò che sarebbe avvenuto nella stanza di Villa S. Ignazio, ogni giovedì mattina, per dieci incontri, con la discrezionalità degna di un segreto, con la riservatezza che si deve alla condivisione di un momento unico e irripetibile. Beh, la libertà di espressione, si sa, ha bisogno di un patto di fiducia: tutti d’accordo, quindi, a proteggere le nostre parole all’interno di quelle quattro mura, a lasciarle lì, come privato del gruppo, per difendere strenuamente la necessità del nostro metterci in gioco con sincerità e apertura. Ciascuno sarebbe stato, da quel momento, responsabile per i suoi bisogni, il suo apprendimento, la sua crescita, nella consapevolezza di essere il solo capace di conoscersi, arricchirsi, cambiare.
Era il 25 gennaio e per me e Cristina è cominciato così il percorso di relazione d’aiuto.
Padre Livio Passalacqua, formatore e presidente del LED (laboratorio di educazione al dialogo) e Luisa Lorusso, psicologa, psicoterapeuta e sessuologia, co-fondatrice del LED, hanno guidato il percorso mirato alla valorizzazione e all’arricchimento di abilità e competenze relazionali utili in ogni situazione di vita sociale e familiare.
In che consiste dunque, nello specifico, un percorso di relazione d’aiuto?
Ricordo il primo incontro.
Sguardi curiosi, appoggiati su persone sconosciute e che in pochi tratti sembrano assomigliarci. Tante diversità: età, professione, passato, carattere, presente… sembriamo un acquario di pesci rari di diverse specie. Non saprei dire se ho provato più imbarazzo, tensione, o fastidio nel dover necessariamente aprirmi, indipendentemente da chi mi trovassi davanti e dall’umore che mi trascinavo da “fuori”. Se ci penso bene però, ci sono stati anche momenti in cui mi sono sentita a mio agio: avevo tempo per ascoltarmi, ore da dedicare a me stessa. Ho esercitato l’accettare me stessa e l’accettarmi all’interno di un gruppo. Mi sono accorta che non sempre il parlare è una forma di aiuto, o meglio, ho vissuto la centralità del momento dell’ascolto, spesso sottovalutato, anche se più difficile perché ci vede costretti a metterci da parte per accogliere l’altro.
Il corso nasce con il presupposto di insegnarci a dosare sapientemente il tempo del silenzio (ascolto) e il tempo della parola (consiglio). Certo che non pensavamo di diventare tutti eroi, capaci di essere preparati con certezza matematica ad ogni situazione difficile, a superare senza dubbi crisi di lavoro o familiari (anche perché in questi casi, i relatori ce lo hanno ricordato ogni giovedì, il coinvolgimento è tale da costringerci ad “uscire di scena”). L’intento quindi era semplicemente, facile a dirsi, di allenarci all’ascolto, all’accoglienza, per essere più pronti al momento necessario, in cui spesso improvvisamente ci viene chiesto aiuto.
Non a caso si parla di “percorso” di relazione d’aiuto, per sottolineare come sia indispensabile abituarsi a quegli accorgimenti che facilitano il rapporto, che non abbiamo innati, ma che col tempo permettono al “cliente” di crescere insieme al “terapeuta”.
Secondo il metodo adottato nel percorso, ovvero quello “non direttivo” di Carl Rogers, il terapeuta si avvicina al cliente non modificando la sua personalità, bensì affidandosi all’ empatia, intesa come “comprensione dell’altro che si realizza immergendosi nella sua soggettività, senza sconfinare nella identificazione”.
L’atteggiamento che produce un clima facilitante per la crescita psicologica è la congruenza: “saper essere liberamente e profondamente se stessi, cioè riconoscere e accettare con sincerità e onestà i sentimenti ed i pensieri che fluiscono nel momento in cui si sperimentano, rivelandoli se opportuno, senza nascondersi dietro ad un ruolo o a una maschera di convenienza.
Solo attraverso questi momenti è possibile giungere alla considerazione positiva incondizionata, ovvero “considerare l’altro una persona con delle potenzialità proprie e senza valutarla, giudicarla nei suoi comportamenti, accettare che l’altro sia veramente se stesso. Questa, in ultimo, la grande lezione di umiltà di Carl Rogers.
E il percorso è stato tale e di efficacia sia per noi ragazze del servizio civile (io e Cristina non eravamo le sole), che per le mamme, gli assistenti sociali, i divorziati, le pensionate… presenti in sala puntuali ad un appuntamento impedibile proprio per il suo carattere esperienziale.
Ogni giovedì tutti siamo stati coinvolti e chiamati in gioco, anche se l’affiatamento del gruppo è arrivato col tempo e nella libertà di ciascuno di decidere quanto scoprirsi e regalarsi agli altri, quanto raccontare di sé e quanto ascolto concedere. A detta di tutti, infatti, la prova più difficile è stata restare in silenzio (ma un silenzio attento, non distratto!), in attenzione al racconto di 5 minuti che uno di noi (che sceglieva o aspettava di essere scelto) sfruttava per parlare di sé o di una situazione particolare del passato o del presente, spesso suggerita dai relatori. Abbiamo anche avuto modo di relazionarci in gruppi d’incontro, di espressione libera di sentimenti o vissuti, in cui si creava una complicità non solo nello sfogo di un dolore, ma anche nel farsi partecipi di una gioia.
Questo corso non è solo diretto a figure professionali che si trovano in contatto con persone in difficoltà, ma a tutti noi, che nella vita siamo costantemente chiamati a migliorarci e migliorare le nostre relazioni d’aiuto. Tutti noi, che siamo sempre così esigenti con gli altri quando ne abbiamo bisogno, ma che tuttavia non perdiamo occasione per trascurarli o entrare in crisi di fronte a gravi problemi. Per come posso aver vissuto io questo percorso, posso dirvi di conservare in me che:
C’è un tempo per la parola
E uno per l’ascolto.
C’è un tempo per raccontarsi
E uno per arricchirsi.
C’è un tempo per godere dell’altro
E uno per rispettarne il silenzio.
C’è un tempo per immaginare
E uno che ci chiama ad aprire gli occhi e vedere.
C’è un tempo,
Unico e irripetibile,
Concesso per benedizione,
in cui ci è data la possibilità di
un incontro inaspettato e prezioso.
È il tempo della relazione d’aiuto,
della curiosità,
della comprensione,
della conoscenza,
della fiducia,
dell’autostima,
della relazione,
dell’apertura all’altro.
Ed è una grazia concederlo a se stessi e agli altri.