Autori: Camilla Ravaioli
Mi chiamo Camilla Ravaioli, ho ventisette anni e sono sorda dalla nascita.
Mia mamma scoprì che non sentivo facendo la prova delle pentole. All’epoca aveva già qualche dubbio, per cui si mise dietro di me e il mio amico di infanzia che stavamo giocando e batté le pentole. Il mio amico – che aveva nove mesi, si prese un colpo. Io invece continuai a fare ciò che stavo facendo come se nulla fosse.
Controlli, ospedali e accertamenti confermarono ciò che mia mamma temeva: sorda profonda!
Per la mia famiglia fu un lutto. Eppure, non si arresero, tanto che a neanche un anno facevo già logopedia e portavo gli apparecchi, anche se essendo piccola e non capendo cosa fossero, li lanciavo un po’ ovunque. La mia famiglia, soprattutto la mamma, fu molto presente. Mi portava a musica, a danza, al parco e mi metteva il più possibile a contatto con la frenesia del mondo, invece di costruirmi intorno una campana di vetro. La cosa ironica – passatemi il termine – è che si pensava che probabilmente non avrei parlato, che avrei fatto fatica a integrarmi e avrei avuto poca indipendenza. Invece, oggi ho una mia compagnia di circo contemporaneo chiamata “I(L)LIMITATI”, da quattro anni vivo fuori dal mio paese, da sei ho una relazione fantastica con l’amore della mia vita e non sto mai zitta.
Al mondo del circo mi sono avvicinata a diciassette anni. Era un periodo buio, perché in classe subivo bullismo verbale. Ero vicina alla depressione. L’unica cosa che mi faceva restare in piedi erano gli amici fuori dalla scuola e la mamma, che mi raccomandava ogni mattina di non dargliela vinta. Poi arrivò l’incontro con l’acrobatica aerea. Iniziò tutto da un volantino pubblicitario di una palestra che proponeva un corso di questa disciplina. La mamma mi portò, sostenendo che dovevo provare. E aveva ragione. Quella che pensavo fosse una valvola di sfogo, divenne una grande passione, a cui mi attaccai con tutte le forze. Non smetterò mai di ringraziare la mia insegnante per avermi fatto scoprire questo mondo e avermi dato una fiducia che al di fuori della mia famiglia non trovavo quasi mai assegnandomi il compito di aiuto-insegnante. Così, passai dall’allenarmi una volta alla settimana all’andare in palestra tutti i giorni. Col passare del tempo iniziai a lavorare nel mondo dello spettacolo, a lavorare in più palestre (sempre con la mia insegnante ) e ad avere un corso mio come insegnante di cerchio amatoriale livello base concluso con grande soddisfazione.
Però avevo ancora fame di imparare e, su consiglio della mia insegnante, iniziai a fare danza contemporanea. Senza aspettarmelo, divenne una seconda passione che continuai a coltivare fino a quando non decisi di voler intraprendere un percorso professionale. Dopo varie audizioni venni presa all’accademia Kataklò di Milano, dove feci il percorso triennale professionale. Per me fu molto difficile, ma “non mollare mai” era ed è il mio motto. Per fortuna, la mia classe si rivelò bella e unita e anche il mio compagno mi sostenne sempre. La mia sordità è sempre stata presente e non farsi incasellare in etichette e pregiudizi non è facile. All’inizio, il mio obiettivo era arrivare al livello delle altre persone in tutto, ma col tempo ho capito che il mio obiettivo dove essere raccontarmi e affrontare le cose a modo mio, trovando il mio tempo per imparare senza sentirmi difettosa. La musica, poi, per me è incredibile, perché ogni volta sento qualcosa di nuovo. In accademia, ho scoperto di essere molto musicale nonostante sono sorda. La musicalità, infatti, non è andare a tempo ma stare nel tempo della musica, viverla e accompagnare il tuo corpo in una danza con i suoni che senti. La musica la sento a modo mio. Amo la batteria, perché mi arriva di pancia e mi dà ritmo. Sento bene il pianoforte e a volte la chitarra, mentre la musica classica, a volte, mi sembra tutta uguale.
Come se non bastasse, mentre finivo i corsi per diplomarmi, è arrivata pure la pandemia. Seguire le lezioni online è stata un’avventura perché non capivo quasi mai quello che mi dicevano e molte volte annuivo anche se non capivo. Poi chiedevo al mio ragazzo di fare da interprete o scrivevo a parte ai miei compagni che mi spiegavano. Finita l’accademia, sentivo la necessità di tornare al circo per migliorare ancora con l’aerea e capire come potevo raccontarmi. Così, decisi di provare a entrare per fare l’anno tecnico alla Flic di Torino e venni presa. Mi trasferii con il mio compagno e mi innamorai della città. Nella scuola, la mia sordità fu accolta a braccia aperte tanto da farmi venire ancora più voglia di raccontarmi. Così preparai un numero con danza, tessuto e lingua dei segni – quel poco che so perché ho sempre parlato – ma quel poco che so l’ho preso, fatto verificare da persone sorde che conoscono la LIS e poi rivoluzionato a modo mio. Io non mi vergogno della mia sordità né dei miei apparecchi e rispondo a tutte le domande che mi fanno perché ritengo giusto che la gente comincia a conoscere la sordità, quello che rappresenta e soprattutto ciò che sento o sentiamo. Per quanto riguarda l’impianto cocleare, ho deciso di non farlo dopo averci pensato molto, perché ho capito che sto bene così e finché non ne sentirò il bisogno continuerò a danzare nella mia sordità. Non sentirò mai le cicale, non parlerò al telefono e non distinguerò mai alcuni suoni, ma – a differenza degli udenti – le cose, i suoni, le voci, i rumori e la musica io non li ascolto, però li percepisco. Il bello della sordità è che convivi con il silenzio assoluto ogni volta che togli gli apparecchi. E non hai paura, anzi, ci trovi pace e rifugio quando serve.
Arriviamo così al gennaio 2021, quando ho fondato la compagnia I(L)LIMITATI. Se prevale la concezione di limite o quella di risorsa lo lasciamo decidere a chi viene a vederci. Il 20 agosto scorso, io e le mie quattro – oggi cinque – colleghe abbiamo portato in scena lo spettacolo “Geometrie di vita”. Ognuna si è raccontata a modo suo, valorizzando i propri “limiti”, perché nessuno è normale né perfetto e va benissimo così. Sono dell’idea che bisogna abbracciare i propri limiti, farci la pace e chiedersi scusa quando si pretende troppo da se stessi, anche se non è facile. Spero che raccontarvi un po’ di me possa aiutare qualche sordo a ricordare che non dobbiamo avere paura di farci “sentire” né di provare a fare cose che a prima vista sembrano impossibili, perché fuori dalla nostra comfort zone. Agli udenti, invece, vorrei dire: non abbiate paura di scoprire il mondo dei sordi. Vedrete che è più rumoroso e vivace di quello che vi aspettate e soprattutto, ricordate che non c’è peggior sordo di chi non vuol sentire!