A fine giugno il TG3 regionale ha realizzato un servizio, poi passato anche in rete nazionale, su un ragazzo autistico di Ravina centrocampista nella squadra dell’omonimo sobborgo di Trento. È stato ripreso mentre giocava una partita sul campo di Sopramonte, felice dentro la sua maglietta sponsorizzata. Correva qui e là, cercava di smarcarsi, calciava, esultava complimentato dai compagni e applaudito dal pubblico. Intervistato ancora in campo ha espresso tutta la sua gioia commentando la propria gara e impegnandosi a fare ancora meglio. Anche dal padre espressioni di soddisfazione per il risultato a lui più a cuore, quello di aver portato il figlio a giocare alla pari con tutti gli altri ragazzi. In chiusura ha augurato a tutti i ragazzi portatori di qualsiasi difficoltà di avere successo su tutti i campi in cui mettono il loro impegno. Qui sotto, testimonianza contraria, riportiamo lo scritto del nostro preziosissimo collaboratore Tiziano, padre di Jacopo, ragazzo autistico. Protesta per il modo distorto con cui i media parlano dell’autismo e di chi ne soffre: “Noi dobbiamo testimoniare la vita” è il suo invito perentorio!
Come riferito dai telegiornali e ripreso da molti quotidiani si parla di autismo quando l’orrore è estremo. Si parla di autismo associandolo alla morte, alla “non vita” (Corriere della sera), alla “disperante solitudine” (Avvenire) di chi sta attorno al soggetto con autismo e si dimentica chi ha definitivamente subito questa assimilazione, questo disgustoso modo di intendere una sindrome.
Si parla con comprensione e pena dei carnefici, delle istituzioni che nascondono altre vittime, mentre si tace di chi subisce l’orrore nell’indifferenza di tutti. Come genitore e come rappresentante di molte famiglie chiedo un pensiero anche per loro, per i bambini, i ragazzi, gli adulti con autismo.
Noi dobbiamo testimoniare la vita.
La vita che meritano è possibile, così come è reale e quotidiana la meraviglia che con loro è realizzabile. Un vivere nella famiglia e nella società nonostante le istituzioni e forse meglio se le istituzioni tacciono facendosi da parte se non sanno essere migliori.
La gente dovrebbe sapere che di autismo non si deve morire specie in questi terribili momenti in cui un padre uccide un figlio… “autistico”. Spiegare con questo aggettivo, l’abominio che è stato compiuto, offende e mortifica tutti e annienta ogni nostro impegno, ogni possibile conquista.
Dietro alle palpebre mobili nasconde due telecamere, che monitorano il comportamento dell’interlocutore; i movimenti del collo sono accompagnati da ronzii meccanici; la pelle del viso in silicone si deforma in sorrisi ed assume espressioni vivaci di sorpresa, di curiosità. KASPAR (acronimo di Kinesics and Synchronisation in Personal Assistant Robotics), segnala Wired, è un bambino robot sviluppato nell’ambito del progetto europeo Interactive Robotic Social Mediators as Companions (IROMEC): promette di incoraggiare le interazioni sociali nei soggetti autistici, isolati da una scarsa consapevolezza della propria persona e dei propri sentimenti. Una realtà che si riflette negli atteggiamenti assunti con altri, dei quali il bambino autistico fatica a comprendere l’espressività multimodale, ricca di informazioni complesse da decodificare.
Al pari di “protesi software“ per facilitare la comunicazione, al pari del sensore emotivo sviluppato dal MIT, KASPAR si comporta come un compagno di allenamento sensoriale e comunicativo. Il robot formato bambino, che incuriosisce ed affascina proprio perché si propone dichiaratamente come macchina, tenta di schiudere alla socialità e alla cooperazione il gioco solitario e stereotipato dei bambini autistici, trasmettendo loro informazioni attraverso una gestualità accentuata e semplificata, più comprensibile rispetto a quella dei compagni di gioco umani.
Il bimborobot dell’IROMEC, in cui si sono investiti oltre tre milioni di euro, è strettamente imparentato con i suoi predecessori dell’Autonomous mobile Robot as a Remedial tool for Autistic children (AuRoRA): erano macchine semplici o con poche possibilità di movimento, accettate dai bambini, e capaci di incoraggiare l’imitazione e l’interazione basata su ruoli in un contesto ludico. Per questo motivo si è pensato di sviluppare una macchina più complessa, per stimolare lo sviluppo psico-affettivo del bambino attraverso la possibilità di interagire in maniera più varia e completa, ha spiegato il dottor Ben Robins, membro del team Adapive Systems Research Group presso l’Università dell’Hertfordshire.
I bambini, illustra un video BBC, vengono invitati a ripetere i movimenti del robot, un semplice gioco mimetico che li alleni a concentrare l’attenzione su qualcosa di esterno a loro, il primo passo per cominciare ad abbattere il muro che impedisce al bambino di relazionarsi con gli altri. Questo processo, però, è tutt’altro che lineare: le persone affette da autismo, spiega uno psichiatra intervistato da Wired, si dimostrano rigide nella generalizzazione e nell’applicare a situazioni reali quanto apprendono.
I ricercatori inoltre, riporta Computerworld, spingono i bambini a guidare l’espressività del robot con una sorta di telecomando, per fargli assumere gli atteggiamenti più disparati, riprodotti poi dal ricercatore che li affianca. KASPAR agisce in questo caso da mediatore per il contatto umano, rappresenta un’occasione per stabilire delle relazioni con persone reali.
Affidabilità e prevedibilità: sono questi i due pilastri su cui costruire una relazione con un bambino autistico, trasmettendogli tranquillità, senza confonderlo con stimoli confusionari e complessi da gestire ed interpretare. KASPAR consente di proporsi al bambino con un approccio morbido e graduale, che lo stimoli ad imparare l’alfabeto dell’espressività e a costruire una relazione con il mondo che lo circonda.
Gaia Bottà