Popoli Italici

Data: 01/10/06

Rivista: ottobre 2006

Puntualmente, nella scorsa estate (e tuttora!) abbiamo assistito a sbarchi quotidiani sulle coste italiane di esseri umani provenienti dall’Africa, Etiopia, Eritrea, Somalia e dall’Asia, Egitto, Pakistan, ecc.. Un’umanità affamata, ammalata e dolente in cerca, se non di una nuova patria, almeno di un pezzo di pane.

Il nostro governo, se non facilitato, non ha nemmeno ostacolato con forza quest’immigrazione, con rimpatri e caccia senza quartiere alle navi in avvicinamento alle coste. L’ accoglienza è stata da parenti poveri, con alloggi precari e sovraffollati che, però, hanno dato la possibilità a molti di poter sperare in un futuro migliore nel nostro paese e diventarne, magari tra cinque anni, cittadini a tutti gli effetti. Non sono mancate rimostranze e proteste perché è sembrato a molti che diventare italiani in un così breve lasso di tempo, sia troppo facile e soprattutto, che non possa essere ridotto a semplice faccenda burocratica da sbrigare davanti ad un pubblico ufficiale. I nuovi arrivati dovrebbero, prima, dare dimostrazione di attaccamento al nuovo Paese ospitante, di condivisione dei suoi ideali, delle tradizioni, di conoscenza della lingua e rispetto delle leggi. Qualcuno ha addirittura paventato il rischio di scomparsa degli italiani intesi come una popolazione dai sentimenti comuni, dei modi di pensare più o meno omogenei.

Tanto gridare al lupo ha un qualche fondamento? Impossibile azzardare una previsione! Un libro letto in spiaggia (126 pagine ricche di illustrazioni) può però essere d’aiuto per formarci un’opinione su questi nuovi italiani. Si tratta di “Popoli Italici” ossia le genti che popolavano l’Italia, in modo assolutamente indipendente una dall’altra, prima che Roma si imponesse su tutte.

A quel tempo la penisola era sede e meta da ogni angolo d’Europa e del vicino oriente di popolazioni definite spesso dagli scrittori greci e romani come barbare, selvagge, ignoranti, bellicose eccetera.

In realtà si trattava di civiltà con una propria storia, proprie leggi e propri modelli di vita che hanno lasciato tracce indelebili tanto nella nostra cultura quanto nel patrimonio genetico. Questi popoli prima di lasciarsi assoggettare, lottarono con tutte le loro forze e, una volta sottomesse, accettarono il dominio romano travasandovi la propria vitalità. Noi trentini, ad esempio, prima di Cristo eravamo un misto di Reti ed Etruschi con influenze di Veneti e Celti.

Lo stesso nome di Trento deriva dalla parola retica “trent” ossia “guado”, posto dove si può guadare un fiume (Adige). Su questi popoli si sovrapposero i Romani e poi i Longobardi di cui la città fu uno dei capisaldi. A partire dagli anni ‘20 iniziarono ad arrivare qui Italiani da ogni angolo del Paese e, da ultimi, a partire dai primi anni 90, gli extracomunitari. Tutti hanno portato idee, innovazione, abitudini e parole.

Oggi siamo tutti trentini: a chi verrebbe mai di pensare che il suo vicino sia un pezzetto retico, un altro romano, etrusco, longobardo, calabrese, moldavo, ecc.? Si ripeterà la stessa cosa anche con i nuovi venuti! Accogliamoli dunque: tra qualche generazione saranno ben amalgamati con noi. Alcuni avranno la pelle più scura e altri i capelli troppo biondi ma quelli saranno soltanto dettagli cromatici!

Se poi qualcuno vorrà accompagnare la polenta, invece che con il tradizionale “cunel” con pinne di squalo o cavallette arrostite, non resterà che assaggiarle!

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