“Prima di dire non sono capace, bisogna sempre provare”

Data: 01/10/19

Rivista: ottobre 2019

Ci siamo imbattuti, nelle ultime settimane, nella storia di Daniela Pierri. Nata priva della gamba destra e con un’ipoplasia congenita alla mano destra, da tre anni si è dedicata all’atletica, conquistando importanti risultati nella corsa e nel salto. Incuriositi dalla sua esperienza sportiva, l’abbiamo raggiunta al telefono per porle qualche domanda.    

Daniela, presentati…

Ho 37 anni, sono nata in Puglia, e lì ho vissuto fino al 2007. Poi mi sono trasferita in Friuli-Venezia Giulia per 12 anni, adesso vivo in Toscana. Faccio atletica ufficialmente dal 2018. 

Quando il tuo percorso si è incrociato con l’atletica? 

Tre anni fa, anche se era un sogno che avevo fin da piccola, solo che per il costo elevato delle protesi non ho mai potuto cominciare a praticare. Nel 2016 ho avuto un infortunio sul lavoro: questo mi ha portato ad avere contatti con l’INAIL. In quell’occasione ho potuto conoscere il vicepresidente del CIP del Friuli-Venezia Giulia, che mi ha convinta a iniziare questo percorso. E in ortopedia a Udine mi hanno fatto provare una protesi da corsa. 

Da lì le gare, le vittorie e la rincorsa a Tokyo 2020. 

Da quel momento mi sono attivata per trovare i fondi per l’acquisto delle protesi, ma solo ad aprile 2017 sono riuscita a trovare i soldi necessari. A marzo 2017 ho comunque fatto la prima gara, 60 metri piani, vincendo il titolo indoor. La protesi è arrivata a fine anno: da lì ho iniziato a gareggiare seriamente, grazie anche ad una lamina che mi permetteva performance migliori. Nel salto in lungo, la mia passione principale, ho vinto il titolo indoor e ottenuto due secondi posti. Quest’anno ho iniziato con il salto in alto: me ne sono innamorata. In passato non l’avevo mai considerato, ora è la mia disciplina preferita. Preferisco i salti alla corsa. Quanto a Tokyo: l’obiettivo rimane, ma è stato un anno difficile per una serie di problemi di salute legati al moncone. Dovrei operarmi per amputarlo un po’, ma al momento non me la sento. Oltretutto le protesi con cui mi alleno non vanno più bene. Ora come ora non sono nelle condizioni di poter arrivare a Tokyo, e non mi sono qualificata per i mondiali. Vedremo agli europei l’anno prossimo come va. Comunque si continua a lavorare. In Toscana, nonostante le difficoltà avute a livello di salute, sto migliorando tantissimo a livello tecnico e sono contenta dei risultati in gara. 

Nella tua vita, quanto la disabilità ti ha limitato? E quanto invece ti ha spinto a superare questi limiti?

Le mie condizioni non sono state mai un problema. Il fatto di essere nata con un certo tipo di disabilità mi ha fatto vivere sempre in modo normale. Ho sempre fatto tutto a modo mio, trovando il mio equilibrio nel fare le cose. Non ho dovuto adattarmi a nessuna situazione nuova, come succede invece a chi subisce un trauma. Riconosco di essere stata fortunata riguardo alle persone incontrate: a differenza di altri, non ho mai subito discriminazioni; anzi, ho sempre legato benissimo con tutti. Tutti sapevano delle mie condizioni, non sono mai stata un peso per nessuno. E ho avuto genitori che non mi hanno mai messo sotto una campana di vetro, trattandomi come gli altri cinque fratelli, senza alcun privilegio. Questo mi ha permesso di crescere nel modo migliore possibile.    

Oltre che un’atleta, sei anche testimonial. 

Sono testimonial SuperAbile da inizio anno. È un progetto che va nelle scuole a parlare di mobbing, discriminazione e inclusione. Ho collaborato con CONI e CIP, parlando, soprattutto ai bambini di elementari e medie, di inclusione. Sono temi per i quali lavoro da sempre e a cui tengo particolarmente. Sono anche segretario regionale FISPES per la Toscana. Voglio creare una stretta collaborazione con le scuole per parlare di bullismo e inclusione, anche attraverso lo sport. Ho poi contatti con YouAble e FormidAbili: se ho iniziato a fare atletica, lo devo a quest’ultima. Se ho bisogno di acquistare ausili per me o per altri atleti, mi rivolgo a loro. 

“Non ho mai detto non sono capace” è il tuo motto. 

Ho questa filosofia. Nasciamo tutti allo stesso livello, poi gli eventi della vita ci portano a fare determinate cose. Quindi prima di dire non sono capace, bisogna sempre provare. Se si tenta, prima o poi si riesce. Nel caso di persone con disabilità, non siamo fatti con lo stampino, non abbiamo tutti lo stesso bagaglio di esperienze, quindi non si possono applicare le stesse metodologie ad ogni persona. Se la soluzione non c’è, bisogna crearla.

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