Pino, il presidente di pro.di.gio. si reca spesso nelle scuole superiori per incontrare gli studenti, giovani di 16- 19 anni, ormai prossimi al definitivo incontro con la vita. Ne spiega loro il valore, l’importanza di tenersela ben stretta, di non giocarla in un’ avventata corsa in macchina, magari dopo aver ingurgitato l’ennesimo bicchierino di troppo! Spesso, in presenza di fatti tragici che vedono coinvolti giovani, i media lo interpellano per un’opinione, per cercare di capire il perché attraverso la sua esperienza di vita vissuta in prima persona. Il mese scorso è stata la volta del quotidiano Avvenire parlare di lui, tramite la penna di Diego Andreatta, notissimo giornalista di Vita Trentina. L’intervista è apparsa sul supplemento domenicale del giornale: buona lettura!!
Gli studenti che lo ascoltano in classe sono dapprima colpiti dalle sue mani prive di forza, poi restano scossi dalla sua fortissima voglia di vivere. Perché in Giuseppe “Pino” Melchionna – 48 anni, di cui 26 passati su quella carrozzina – riconoscono una storia comune, la strada di tanti.
Fu un testacoda terribile, l’Alfa degli amici impazzì per l’asfalto viscido di pioggia. Nell’abitacolo c’era ancora l’euforia di una festa d’addio al celibato. Poi lo estrassero con la pinza idraulica. Gambe e braccia non rispondevano più, la corsa in rianimazione e subito la diagnosi inesorabile: “Tetraplegia post traumatica”. «Vedete? Basta poco, basta davvero poco… Non mettete mai a repentaglio la vostra vita», ripete Pino da un quarto di secolo, nelle classi dove lo invitano a portare la sua testimonianza di sopravvissuto. Maestro di vita su una cattedra a due ruote, più
credibile di tante statistiche sulle stragi del sabato sera. «Di fronte alla morte e al dolore delle famiglie il rispetto non può mai venire meno, ma non dobbiamo nascondere le responsabilità di ciascuno – riflette Melchionna, trentino, all’indomani dell’ennesimo incidente mortale registrato sulle strade della provincia nelle notti del fine settimana – Si possono eliminare tutte le curve delle strade, perfino gli alberi, ma il “titolare” del rispetto della propria e altrui vita resta comunque chi si mette al volante. Non è sufficiente ripetere di andare piano con l’auto, di non bere troppo, di non fare tardi. Non è sufficiente se nessuno ha insegnato ai giovani il valore sacro della vita».
E loro, gli studenti, cosa le rispondono? «Qualcuno si rifugia dietro una preoccupante forma di fatalismo: “Se deve accadere, accade”. E io dico di no. Non si deve arrivare alle estreme conseguenze di perdere la vita o l’uso delle gambe, per capire quanto la vita è sacra. E unica, irripetibile. Ed è fatta anche di limiti. Che i giovani devono imparare a conoscere prima che questo senso di onnipotenza, sotto forma di acceleratore, li trascini verso la morte». Altri chiamano in causa l’effetto branco, la fatica di tirarsi fuori dal gregge, rifiutandosi di salire sull’auto se l’autista è ebbro oppure intimandogli di diminuire la velocità: «Io spiego che i passeggeri hanno il diritto e il dovere di costringere chi sta guidando a moderare la velocità, a fermarsi, a farci scendere».
A tirare il freno della responsabilità non aiutano i modelli di giovani campioni delle corse motociclistiche fin troppo esaltati dai media: «I vari Valentino Rossi o Max Biaggi sono idoli dei ragazzi – riprende Pino -; e sempre negli incontri che promuoviamo nelle scuole medie e superiori ricorre il mito della velocità, del fare le ore piccole per sentirsi grandi, del bere per vincere la timidezza. E così le strade diventano luoghi di una sfida incosciente. Ai giovani dico: non date credito al bulletto, a chi non ha paura di nessuno. Fermatelo, non giocate con il rischio. La vita vale molto di più». Quando gli chiedono dove abbia attinto il coraggio e la pazienza – 5 mesi in rianimazione, altri 7 in reparto, un anno di ricovero per la riabilitazione, poi altri interventi – Giuseppe non nasconde la verità. «Se prima ero un cristiano appena praticante, in seguito Dio è diventato il filo conduttore della mia vita. Attraverso la famiglia e gli amici ho ritrovato la fiducia. Questo itinerario spirituale mi ha aiutato ad accettare il misterioso disegno di Dio su di me. Un passo importante è stato scendere a un compromesso con il mio limite; gli ho permesso di impadronirsi del mio corpo, ma non gli ho concesso la vittoria su di me». A Pino arrivano molte lettere, email, confidenze. «Non ci avevo mai pensato prima, ma ho scoperto che Dio può servirsi di una persona qualunque come me per raggiungere altri giovani. Per dare speranza nelle prove difficili. Vedo troppi giovani zombie in giro, mi fanno tanta tristezza. La mia storia colpisce gli studenti, ma non voglio che sembri una paternale. Io desidero incontrare i loro bisogni più autentici, testimoniare che è possibile uno stile di vita diverso, positivo, allegro, senza dover ricorrere alla birra». Assieme ad altri amici, Melchionna ha fondato qualche anno fa una cooperativa per il trasporto di disabili e l’associazione che pubblica il periodico “pro.di.gio.” sui temi dell’handicap. Gesti e parole che escono distillate dalla sofferenza e arrivano a toccare il valore altissimo dell’esistenza: «Non è come un videogioco, dove anche dopo la scritta “game over”, gioco finito, puoi sempre ricominciare. La vita ci è stata donata una sola volta, non dobbiamo buttarla via».
“Mi dispiace molto per il signor Giuseppe perché in un momento tutta la sua vita è cambiata e non ha trovato nessun amico vicino a lui quando aveva bisogno di loro. Questa cosa non è facile perché gli amici veri devono stare vicini a te nei momenti difficili.” (Atika)
“Con la sua visita abbiamo sicuramente imparato che la sicurezza sulle strade non è mai troppa. Un’altra cosa che mi ha colpito è che ha avuto il coraggio di apprezzare la vita nonostante tutto… Spero con tutto il cuore che riesca a far capire soprattutto ai ragazzi che della vita bisogna farne un gioiello e non bisogna arrendersi davanti alle difficoltà, anche se gravi”. (Massimiliano)
“Secondo me il signor Melchionna ha avuto una forza incredibile, perché se io fossi stata al suo posto non saprei se ce l’avrei fatta anche perché, con gli amici che lo hanno tradito, la sua sofferenza è stata ancora maggiore. Se io fossi stata in lui, penso che non avrei fatto la sua stessa scelta, invece avrei sbagliato perché la vita bisogna viverla fino in fondo”. (Maria)
“La cosa che più mi ha colpito è stato che durante la sua lunga degenza in ospedale il suo amico, oltretutto quello che guidava quel fatidico giorno, non si è fatto più vedere. Forse perché si sentiva troppo in colpa? Oppure perché del suo amico non gli interessava più di tanto? Questa è una cosa che non riesco a capire, ma che però fa riflettere….
Cosa avrei fatto io al suo posto? Sarei stata capace di superare il problema? Queste domande, secondo me, non avranno mai una risposta finché non ci si trova in mezzo. Io dico sempre che divertirsi va bene, ma prima di fare delle cose che potrebbero portare a dure conseguenze, bisognerebbe pensarci due volte”. (Martina)
“Riguardo al consumo di alcol, mi ha fatto riflettere molto: avevo preso sempre sotto gamba questa questione, ma lui mi ha trasmesso quel qualcosa che mi ha fatto riflettere. È impossibile non consumare alcol in discoteca il sabato sera, ma bisogna stare attenti alle quantità, bisogna darsi un limite. Mi sento in dovere di dire un grandissimo GRAZIE per la sua preziosissima testimonianza, anche perché credo che non sia facile parlare di una propria esperienza così delicata.” (Martina)
“È stato un racconto molto forte che rimarrà indelebile nella mia memoria credo per sempre. Mentre lo ascoltavo facevo fatica a trattenere la commozione per il modo che ha usato nell’esprimere e trasmetterci le sensazioni e le emozioni di quel tragico momento e le emozioni che tuttora prova in modo davvero reale.
Secondo me è un’iniziativa che gli fa molto onore quella di comunicare la sua esperienza facendo questi incontri con noi studenti per indurci ad essere più prudenti sulla strada sia per la nostra vita, che è molto preziosa, sia per la vita degli altri che, magari senza colpa, si ritrovano con dei danni irreversibili”. (Maria Grazia)