Proiezioni distorte

Data: 01/12/06

Rivista: dicembre 2006

Tre espressioni diverse, “proiezioni distorte”, di storie che accomunano tanti, in un silenzio costretto, dettato dall’indifferenza, dal pregiudizio, dalla disinformazione. Tre modi diversi di far conoscere il mondo e il disagio delle malattie mentali: un libro, un film, un quadro. Un’arma potente, quella della voce, prestata all’arte; una concessione che le permette di essere, a dispetto del solito, un ponte tra uomo e realtà e non un rifugio anelato da chi, da quella realtà, vuole solo fuggire. Già, è vero, l’arte appoggia sulle cose un velo che spesso le rende invisibili ad un primo e distratto sguardo, conferisce loro una maschera, quella dell’incomprensibilità, della bellezza, della finzione. Oggi vorrei proporvi un viaggio nell’arte che, al contrario di sempre, cominci dalle opere per risolversi nella realtà, che sia una fotografia delle sue sfumature, un viaggio che invece di allontanarci dal mondo e condurci nell’illusione di una costruzione parallela e distante, ci guidi alla scoperta di quello che siamo. Oggi vorrei che l’arte diventasse uno strumento di conoscenza, testimone inconfessato di storie mai raccontate, ma vissute; vorrei usarla come ricerca di contatto, per vincere la lontananza, la solitudine, la desolazione dei tanti condannati a perdere la libertà e la voce. La voce di Renée, Susanna e Eduard ha potuto vibrare, dopo la prigione della malattia, ma quanti stanno continuando ad urlare la loro esistenza senza essere capiti o ascoltati?

Tre proposte, quindi.

Il libro: Diario di una schizofrenica, di M.A. Séchéhaye, 1957

Racconto della volontà di una ragazza che cerca disperatamente di “vincere l’irrealtà” che la obbliga a vivere in un “paese deserto, minerale, irreale e desolato”. Si è trasportati nel suo mondo con una semplicità di linguaggio e di descrizione disarmante, con una potenza che conduce le nostre emozioni all’isolamento più totale e attraverso un viaggio lungo poco meno di 100 pagine, ci spinge alla ricerca di contatto con la realtà e con l’uomo.
È un inno al “valore inestimabile della comunicazione umana”, come leggiamo nelle ultime righe del testo, che diventa unica ancora di salvezza per coloro che hanno vissuto la perdita della realtà, proiettati al di fuori del mondo e della loro vita.

Il film: Ragazze interrotte, di J. Mangold, 2000

Occhi magnetici trasudano paura, sospetto, terrore, stordimento all’arrivo in ospedale. Sono quelli si Susanna, gli stessi che il taxista curioso scruta nell’accompagnarla al reparto psichiatrico. “Sembri normale”, la rassicura. Ultimo contatto con la realtà per la ragazza, prima di essere inghiottita da un mondo in cui il confine tra normalità e non perde la sua ragion d’essere, in un alternarsi di silenzi e grida, un tunnel claustrofobico in cui le percezioni sono amplificate e la convivenza, con ragazze che soffrono per la maggior parte di mali più gravi dei suoi, diventa insopportabile. Un racconto di vita vera, tradotto prima in un libro e poi in un film, che trasmette un forte disagio e tanta sofferenza, che non concede tregua alle emozioni e spazio alla riflessione durante la visione perchè è un turbinio di tante, troppe sensazioni.

Il quadro: Pubertà, di Eduard Munch, 1984

Una figura di donna indifesa, sola, nuda, di una nudità non sensuale ma che la spoglia persino della bellezza. L’ombra che l’autore proietta sulla parete con delle pennellate nervose e intense, aumenta il senso di angoscia che la tela trasmette, simboleggiando un lato oscuro, sconosciuto e temuto del vivere: il futuro.
Tre ritratti, tre occasioni per riflettere, tre modi per “vedere” il disagio di un mondo che ci è vicino e che è riuscito attraverso l’arte a scoprirsi un pò. Un modo per ricordarci che la malattia, associata nel tempo all’idea di libertà di espressione e creatività, è in realtà costrizione al silenzio, se manca la volontà di riconoscerla, ascoltarla, capirla. Tre consigli per stimolare i nostri sensi e il nostro pensiero: affinchè al di là dell’interpretazione di Winona Ryder e Angelina Jolie, alla firma di Munch sulla tela, al successo di un libro, possiamo scorgere altri volti, altri nomi, altre storie. Quelle di tanti che soffrono di disturbi mentali e che, nel silenzio, nell’incomprensione, nell’indifferenza, chiedono di essere liberi di vivere.
Costanza Schiaroli

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