È un chiaro pomeriggio di novembre. Alle 14.30 ho un appuntamento con Arianna. Pino, il presidente dell’associazione Prodigio presso la quale presto servizio civile mi ha chiesto di scrivere un articolo su quello che lui considera un fenomeno quanto meno “originale”: i punk-a-bestia. Arianna è una mia amica, ha 26 anni e per un paio d’anni ha vissuto a Bologna dove incontra e aderisce al mondo punk-a-bestia.
Arrivo puntuale all’ appuntamento, mi accoglie contento Ade, il cane di Arianna. Lei mi prepara un caffè mentre discutiamo del più e del meno e dopo poco cadiamo sul motivo della mia visita. Le spiego che mi piacerebbe saperne di più riguardo ai punk-a-bestia, dei quali immagino le inclinazioni principali ma non ho mai parlato con nessuno che conosca bene questo modo di vivere perché lo praticava. Arianna si era trasferita a Bologna nel 1997 per studiare alla facoltà di lingue e letterature straniere.
Le chiedo come ha deciso di cambiare il suo stile di vita rispetto al passato e lei mi confessa che in realtà è successo tutto a causa di un ragazzo con cui si era messa quando aveva iniziato a frequentare il variopinto mondo studentesco bolognese. Questo ragazzo era un punk-a-bestia e questa cosa la affascinava particolarmente tanto da farla diventare a sua volta una punk-a-bestia. Arianna mi parla della sua vita a Bologna, della passione del suo ragazzo per la musica elettronica, in particolare per la tecno, un genere che accomuna molti ragazzi che si definiscono punk-a-bestia; lei mi dice che gli amanti della tecno spesso si uniscono in “tribe”, gruppi di persone accomunate dalla musica e dalla voglia di vivere la vita in modo diverso dallo standard comune.
Chiedo ad Arianna di specificare meglio questa caratteristica dei punk-a-bestia per capire meglio. Lei gentilmente mi fa l’esempio dei “ravers”, persone che per scelta hanno deciso di separarsi dalla comunità civile tradizionalmente intesa e di vivere viaggiando in continuazione e facendo feste molto ben organizzate durante le quali ognuno ha la possibilità di divertirsi in modo assolutamente libero.
Ci tiene comunque a precisare che ravers e punk-a-bestia non sono la stessa cosa ma come mentalità possono essere avvicinati. Infatti sia gli uni che gli altri vivono nelle aree abbandonate dal resto della società come vecchi capannoni o fabbriche abbandonate e, di conseguenza, c’è un affinità nel porsi ai bordi della vita quotidiana senza creare grossi problemi anzi sfruttando zone altrimenti abbandonate.
È chiaro che i due gruppi entrano frequentemente in rapporto tra loro viste le passioni in comune (vedi musica e libertà), di conseguenza non è difficile vedere dei punk-a-bestia ai rave party.
Vista l’attuale situazione mondiale per quel che riguarda la globalizzazione e la parallela forma di protesta che l’accompagna chiedo ad Arianna se vi sia da parte dei punk-a-bestia un interesse per quello che sta succedendo. Lei mi spiega che è implicito nella loro mentalità rifiutare la politica delle multinazionali e che si presentano anche alle manifestazioni ma la loro posizione rimane comunque separata da quella degli altri manifestanti visto che tendenzialmente la loro vita non subisce tanto l’influenza del quotidiano.
Le domando come era la sua vita prima di conoscere quel ragazzo a Bologna e se aveva posizioni simili già in precedenza. Ella mi risponde che ha frequentato la parrocchia fino a diciassette anni perché le interessava scoprire i perché della vita e perché soprattutto quando era a catechesi si sentiva in ambiente più libero rispetto a quello scolastico, dove non c’erano voti e non si rischiava niente ad essere se stessi. Racconta che era ad un passo dal diventare catechista ma che dopo i suoi interessi si sono indirizzati altrove. Ora non è più credente in senso cattolico un po’ perché ha conosciuto “i preti” e se n’è fatta un giudizio negativo ed un po’ perché ognuno in realtà si fa la propria religione senza il bisogno di paraocchi.
Le chiedo come si sente oggi dopo l’eperienza bolognese e mi confida che non è cambiata poi molto, non dorme più in capannoni abbandonati ma la voglia di libertà dalla vita delle convenzioni le è rimasta; spesso si accorge degli sguardi curiosi e talvolta malfidenti della gente e si domanda se avere la cresta e girare con un cane sia una cosa così strana. Conclude questa chiaccherata dicendo che se essere punk-a-bestia vuol dire poter essere se stessi allora è ancora una punk-a-bestia.