Quattro passi tra le droghe

Data: 01/02/01

Rivista: febbraio 2001

L’ultimo scorcio di fine secondo millennio ci regala la coraggiosa dichiarazione dell’attuale ministro della sanità, scienziato medico di fama mondiale, dottor Umberto Veronesi. Dati statistici alla mano afferma che, a fronte di mille morti all’anno per eroina, cocaina, ecstasy, ecc., si registrano in Italia ben 80.000 morti per patologie correlate all’abuso di tabacco e altri 30.000 a quelle dell’alcool. Il velo dell’ipocrisia è tolto, le droghe che flagellano la sanità pubblica in termini di patologie, morti, incidenti stradali – quindi morti procurati a terzi – sul lavoro ecc. sono proprio quelle legali, ed in quanto legali ancor più pericolose poiché è mistificata e misconosciuta la loro reale dannosità. Andremo pertanto oltre il concetto di legalità.

Si fa presto a dire droga ed a fare di ogni erba un fascio, agitandolo come moderna incarnazione del diavolo. In realtà c’è droga e droga, ognuna con i suoi diversi effetti, fisici e psicologici, con differenti corredi simbolici e gruppi sociali interessati.

Qualcuno sostiene che il problema delle sostanze psicoattive sia generato principalmente dall’incontro tra domanda ed offerta e dei fattori che creano la domanda. Quindi prima di attribuire al tossicomane qualche maturità caratteriale e/o disastro biografico, sarebbe opportuno e più ragionevole capire quali sono gli effetti gratificanti delle diverse sostanze psicotrope. Effetti – si badi bene – che influiscono anche su usi impropri e sugli abusi di sostanze non considerate droghe.

Partiamo con il nostro viaggio dai psicofarmaci. Se presa con scrupolo per qualche mese, diventa sempre più difficile rinunciare al sollievo e al benessere offerti da un’onesta benzodiazepina come il Valium, nome commerciale di uno dei calmanti più usato. Interrompere bruscamente l’assunzione fa si che il sollievo guadagnato si vanifichi. L’angoscia, una difficoltà a prendere sonno, le piccole ed immotivate paure o l’irrequietezza ansiosa, cacciate dalla finestra, rientrano dalla porta, dando vita prima al cosiddetto effetto rimbalzo e poi alla crisi d’astinenza.

Siamo ora ai dimagranti. Se si è preoccupati di un corpo non proprio apollineo per qualche chilo di troppo, si può rimanere irretiti dagli effetti secondari indotti dall’uso di un anoressante a base di anfetamina come il Plegine, ora non più prescrivibile, che sfrutta le sue proprietà per togliere l’appetito. Ma le anfetamine danno anche altri piacevoli effetti.

Così invece di incontrare il dio della bellezza Apollo si finisce per apprezzare Dionisio, il rapinoso dio del piacere, dell’eccitazione e dell’euforia.

Dice Michael Liebowitz, studioso della biochimica delle emozioni e docente alla Columbia University: “Vorrei si sapesse che dal punto di vista della biochimica del cervello a prescindere da un approccio religioso, legale o anche medico, è stata esagerata la distinzione tra stati d’animo naturali e quelli prodotti da droghe.” Come dire che gli “stati endorfinici” dei maratoneti hanno qualcosa in comune con quelli degli eroinomani.

O sentirsi lucidi, vigorosi e per niente affaticati, pieni di iniziativa e fiducia in se stessi, non è un’esperienza diffusa ma neanche insolita. Un’analoga condizione è facilmente ottenibile come una dose modesta di cocaina ma dura solo un paio d’ore.

Sorge a questo punto una domanda: perché mai dovremo possedere i recettori ed i circuiti nervosi sensibili al Valium, alla Plegine, all’eroina o alla cocaina? Se questo è possibile vuol dire che esiste qualcosa di simile nel cervello. Di fatto oggi si sa che l’assunzione di una qualsiasi sostanza psicotropa non innesta nella testa delle persone un’azione biochimica nuova ed insolita. Le droghe non agiscono direttamente ma attraverso preesistenti e specifiche sostanze neurochimiche, i neurotrasmettitori ed i predisposti neurorecettori. Ciò significa che noi possediamo già le buche (recettori) per le lettere chimiche con cui i neuroni si influenzano tra loro.

Sembra che nel cervello ci siano molti dei benevoli o pericolosi, a seconda dei punti di vista. Differenti possono essere le strade per incontrarli e scoprirne l’esistenza. Un dio nascosto e riluttante quello che in certi momenti rende splendente, sicura ed euforica la percezione di se e del mondo, può essere propiziato offrendoli una dose di cocaina o una pasticca di anfetamina. Quando non è possibile ci si accontenta, bastano due robuste tazzine di caffè e quattro sigarette. Allora può esserci concesso, in alternativa, uno sbiadito raggio di sole capace di fugare i torpori depressivi.

Volendo fare a meno dell’opinione dei moralisti e dei psicopatologi, non si può che concordare con i dati degli epidemiologi che dimostrano come drogarsi sia un’attività in piena espansione, sia che si tratti di sostanze illegali, come la marjuana, o legali come il tabacco. Tutto questo nonostante divieti e rischi.

E’ evidente che ogni droga consente di fare certe esperienze positive. Per capire la natura di questi effetti è necessario dare un’occhiata all’azione delle diverse droghe sull’organismo. I farmacologi dividono le droghe in quattro grandi famiglie in base agli effetti che producono sull’organismo.

Nella prima troviamo gli stimolanti del sistema nervoso centrale tra cui la caffeina, la nicotina, la cocaina, psicofarmaci come le anfetamine e qualcuno degli antidepressivi.

Nella seconda vi sono le droghe che generano allucinazioni e sinestesie e che modificano gli stati di coscienza. Sono dette psichedeliche: tra queste la mescalina del fungo peyote, la psilocibina dal fungo psilocibe e la dictilamide dell’acido lisergico nota come L.S.D..

Altre sostanze come la marijuana o l’hascish, pur essendo considerate allucinogene, hanno effetti prevalentemente euforizzanti e sedativi. L’hascish secondo Baudelaire non dà quello che promette di dare o per meglio dire concede a un lato quanto sottrae dall’altro.

La ragione è semplice: è vero infatti che l’hascish stimola l’attività della mente, accende la capacità di stabilire analogie, fa vivere nell’ebbrezza esperienze di sinestesia (il suono dei colori, i colori ed i numeri della musica) impossibili nello stato di sobrietà, potenzia notevolmente la creatività e, in una parola può dare a chiunque per qualche ora, l’illusione di essere un artista; ma, anche a voler trascurare la provvisorietà di questa condizione esaltante, resta il fatto che l’hascish privando l’uomo della volontà di fare, di realizzare le sue idee, vanifica i suoi stessi effetti, e regola l’immaginazione senza la facoltà di approfittarne. Uno sterile e puramente immaginario paradiso artificiale. Oltre al danno poi di slatentizzare le proprie nevrosi.

Per concludere la seconda famiglia di droghe ricordiamo che alcuni derivati delle anfetamine come l’ecstasy, fortemente neurotossica, vengono collocati in questa categoria pur avendo effetti prevalentemente stimolanti.

Un terzo gruppo abbastanza variegato nei suoi effetti, è quello delle sostanze DEPRIMENTI del sistema nervoso centrale. L’alcol è la sostanza più nota. Bastano 45/60 grammi di alcol puro, pari a 3 robusti bicchieri di vino, perché si riduca di molto la vigilanza, la reattività sensoriale ed il controllo motorio: tutti effetti mascherati da un iniziale stato di euforia e di disibinizione.

Farmaci come gli ansiolitici, ipnotici, anestetici, barbiturici rientrano tra i deprimenti il sistema nervoso, divenendo droghe in caso di abuso.

Gli stupefacenti analsegici come l’oppio ed i suoi derivati, la morfina, l’eroina o sostanze di sintesi come il metadone, costituiscono il quarto gruppo di droghe, quello forse più noto. Antidolorifiche per eccellenza estendono i loro effetti in varie direzioni, divenendo veri e propri “paraurti psicologici”. Questi stupefacenti immettono la coscienza in una rosea nebbia di benessere distaccato dalle difficoltà dell’esistenza.

Ovviamente questa schematizzazione è didascalica. Ciò che fa classificare una sostanza psicoattiva come droga è dato dal suo uso illegale, improprio, voluttuario e dalle conseguenze tossiche dovute al suo abuso.

Personalmente non sono favorevole all’uso di droghe, ma da quando l’uomo ha imparato a manipolare l’equilibrio instabile del suo sistema nervoso, a modificare i suoi stati di coscienza o ad ascoltare il suo cor inquietum, l’ha fatto con ogni mezzo a sua disposizione. Per esempio attraverso l’ascesi e la preghiera, la solennità dei riti o l’abbandono estatico alla danza di possessione, l’avventura vitalistica e rischiosa, o concedendosi con passione alle proprie illusioni. Ma tutto questo richiede fede e disciplina, menti e corpi allenati, credenze culturalmente consolidate e una forte immaginazione.

In alternativa, per le persone di poca fede e scarsa sensibilità – il popolino – , cosa c’è di meglio delle rapide e comode scorciatoie offerte dalla droga?

Grazie alle diverse sostanze psicotrope, da sempre è stato possibile moltiplicare le disposizioni delle anime all’estasi profana (o anche religiosa), sostenere l’esaltazione artistica, ludica o guerriera o, al contrario sedare i corpi e dare accesso alla serenità contemplativa.

Tra tutte le droghe, l’oppio e la coca vantano una storia più che millenaria: se una acquieta e/o deprime il sistema nervoso, l’altra lo stimola e lo eccita. L’oppio risponde al bisogno del sereno distacco da ogni dolore dell’esistenza, mentre la coca consente di realizzare il benessere pieno e vitale di sé. Se l’oppio è il padre benevolo di tutti i vizi, il capostipite delle droghe palliative, l’aerostato leggero per evasioni dalle carceri costrittive del corpo e della mente, la coca è invece la madre stimolante ed euforica di ogni esaltazione e vigore. Ma l’uno e l’altro assomigliano a certe divinità indù dalle due teste e dalle quattro braccia, come la dea Kalì, che offre al devoto un volto sorridente ed uno terrificante. Se due mani della dea porgono il nettare ed il fiore di loto, le altre due brandiscono una spada ed una testa mozza. Dunque cautela con tutte le droghe e attenzione, a partire proprio da quelle legali come l’alcool e nicotina ancora oggi “scandalosamente” ampiamente pubblicizzate ed incentivate.

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