Il 21 maggio scorso Vicchio e il Mugello ha accolto la partenza della quinta edizione della Marcia di Barbiana, per ricordare l’insegnamento di Don Milani.
La marcia ha riunito tutti quelli che credono nell’ideale di una scuola democratica, di una scuola per tutti, di una scuola che non escluda nessuno. Erano presenti anche il Ministro alla Pubblica Istruzione, Giuseppe Fioroni, e il Presidente della Camera Fausto Bertinotti.
I promotori dell’iniziativa sottolineano come nel corso degli anni la marcia sia riuscita a diventare “uno dei punti più alti di impegno e lotta contro le derive liberiste e populiste sull’educazione” e come abbia “fatto rifiorire attorno all’esperienza di Don Milani le radici dell’utopia educativa democratica che ha cambiato la scuola italiana”.
Tra il ‘50 ed il ‘64, il nostro paese stava vivendo il boom economico. Ma il benessere non era certo equamente distribuito e diffuso. Cominciavano a mettersi in evidenza due Italie: quella della città, dell’industria, della ricchezza, del Nord, e quella delle campagne, delle montagne, degli stenti e del Sud.
Barbiana, piccolo borgo sulle colline del Mugello, in Toscana, era una realtà difficile e problematica. I ragazzi erano perlopiù figli di contadini, molti avevano avuto nella scuola di Stato una serie di esperienze negative. Qui, un coraggioso sacerdote, Don Lorenzo Milani, fondò e diresse la scuola di Barbiana fino alla sua morte.
Più che una scuola, quella di Barbiana è stata definita, a ragione, una comunità scolastica molto particolare: un posto in cui si studiava trecentosessantacinque giorni l’anno, mattino e sera, un posto in cui l’aiuto reciproco è un dovere e non una colpa. Un posto in cui s’insegnava a tutti a possedere un linguaggio comune per riuscire ad esprimere le proprie idee, desideri ed esigenze e per riuscire ad essere parte responsabile della società in cui si vive.
Don Milani era convinto della necessità, anzi del dovere per chi la faceva, di una scuola per tutti, che non escludesse nessuno e che non perdesse nessuno.
Questo deve essere un imperativo anche per la scuola e la società di oggi, “non solo”, riprendendo le parole dell’intervento del Ministro alla Pubblica Istruzione, “per quella pietà, che in una società segnata per tanti aspetti dall’empietà è certamente una laica e nobile virtù, ma per un interesse reale che comprende, ma supera i sentimenti: fare l’interesse della Repubblica di formare il maggior numero possibile di giovani all’impegno di una vita e di un lavoro degni di essere vissuti e tali da costituire una base di certezze umane e produttive per il futuro del nostro paese.”