Ogni giorno buttiamo più cose di quelle che consumiamo, praticamente ogni cibo comperato è contenuto in almeno due confezioni. Plastica, cartone, metalli come alluminio e ferro riempiono i nostri bidoni della raccolta differenziata. Sì, un passo avanti rispetto a soli pochi anni fa quando era norma comune buttare tutto in un unico contenitore, e questo finiva a rimpinzare discariche e inceneritori. Preciso che la situazione descritta si riferisce a un contesto regionale ben definito. In Trentino il sistema della differenziata è abbastanza radicato, nonostante ciò, c’è ancora chi getta la spazzatura nell’ambiente e chi brucia plastica nelle stufe durante l’inverno.
Oggi il dogma del riciclo è entrato nelle nostre menti dopo anni di sensibilizzazione da parte delle amministrazioni pubbliche, gruppi di ambientalisti e in generale una cittadinanza che si è scoperta attenta a questa tematica divenendo più responsabile.
Bene tutto questo progresso non è abbastanza.
Questo dato è lampante: in un paio di giorni, forse tre, nonostante si stia attenti a comprare cibo meno confezionato possibile, riusciamo a riempire i bidoni colorati dedicati a carta, plastica, lattine e vetro. È veramente difficile evitare questo accumulo regolamentato di differenziata. È vero che tutta questa mole verrà riciclata, ma inevitabilmente parte di essa ripercorrerà le solite rotte. C’è qualcosa che non funziona nel sistema. Poche norme restrittive sugli imballaggi, e troppe norme dedicate alla conservazione dei cibi e forse troppi cibi conservati. Il problema è, a detta di molti, enorme e bisogna esserne consapevoli, ma soluzioni funzionali a risolverlo esistono: come ad esempio l’acquisto di cibi e liquidi sfusi. Si ha sempre un ottimo prodotto e magari anche a km 0 al quale si può accedere sempre con uno stesso contenitore senza creare alcun rifiuto da imballaggio. D’altronde non è mica un’invenzione dei tempi contemporanei. Anche se qualche ben pensante cerca di rivendicare la novità ecologica, cinquant’anni fa era normale recarsi in drogheria a prendere saponi sfusi, farina, pasta, pane, carne e verdura con un semplice sacchetto di tela, un cestino in vimini, insomma un normale contenitore casalingo, senza dover utilizzare sacchetti, sacchettini, strati su strati di plastica.
Spesso però uno spunto lo si può trovare nei posti più impensati, lontano da dove cade l’attenzione comune. È il caso di Miroslav Tichy artista europeo, originario di Kyjov in Repubblica Ceca che prima di tutti ha saputo trarre beneficio dai rifiuti che l’uomo gettava. La sua pulsione nell’immortalare la realtà intorno a lui l’ha portato a crearsi da solo negli anni ‘60 una macchina fotografica perfettamente funzionante con la quale è stato in grado di immortalare momenti di vita urbana che raccontano di disagio sociale e di emarginazione.
Da giovane studiò all’accademia d’arte a Praga, si estraniò prima dalla vita politica e poi da quella sociale; da metà secolo smise di dipingere e iniziò la sua vita da closhard. Rimasto completamente sconosciuto al pubblico fino ai primi anni del 2000, nel 2005 le sue opere sono state riscoperte ed esposte. Istanti crudi della realtà di strada che raccontano la vita di una piccola cittadina dell’Europa dell’Est sotto il regime filo-sovietico. Prostituzione dilagante e povertà hanno ispirato Tichy fino a portarlo ad una sensibilità che ci fa riflettere.
Un esempio come questo, ci mostra come l’ingegno umano, lo stato di necessità e la voglia di esprimersi possono essere una grande opportunità per vedere il rifiuto non più come qualcosa di negativo, ma anzi una risorsa inestimabile.