Ciao Federico, ci ritroviamo a parlare delle tue esperienze in giro per il mondo dopo il Vietnam , la tua ultima impresa senza barriere è stata l’Argentina. Da dove nasce l’idea per questa meta?
È argentino il mio amico Abner, unico ragazzo disabile con l atassia di Friedreich che raggiunse me e mio fratello 10 anni fa’ per la corsa da Milano a Napoli in handbike per promuovere la ricerca sull’atassia. Siamo rimasti sempre in contatto e dopo tanti inviti a vuoto questa volta non mi sono tirato indietro. In questo “Rolling” volevo parlare della mia patologia andando a intervistare altri ragazzi coinvolti e raccontare le loro storie di resilienza. Abner è presidente dell’Associazione Argentina Gpatax (gruppo paziente con Atassia) chi meglio poteva indirizzarmi ai vari ragazzi per il mio nuovo lavoro? È così Argentina fu.
In Vietnam ci hai raccontato di come fosse stato ai limiti dell’assurdo muoversi nel traffico caotico tra motorini e macchine che sembravano seguire la logica del caos e tu hai dovuto fare molti slalom per evitare ostacoli e macchine. In Argentina come ti sei trovato rispetto al tema della mobilità?
L’Argentina è molto ben coordinata, traffico parlando, è molto simile a tutte le nostre realtà europee. Anche i servizi per accedervi spesso non mancavano a Buenos Aires.
Purtroppo però si parla di una disabilità accompagnata, esattamente come in Italia, dove l’accessibilità esiste in molti posti ma non è un accessibilità autonoma.
Sono due tipi di accessibilità a cui tengo molto precisare la differenza: la prima che io definisco accompagnata o assistita, esempio per poter superare i piccoli gradini o rampe impervie impossibile da fare autonomamente, la seconda ti permette autonomamente di vivere la tua libertà senza dover chiedere costantemente aiuto a qualcuno. Purtroppo questa qui, né in Italia, né nel resto del mondo esiste se non in qualche raro caso o in qualche rara realtà come in paesi del Nord Europa, Stati Uniti, Germania o Singapore. Ma questo a molto a che fare con la mentalità delle persone e del rispetto sociale. Noi siamo indietro anni luce… .
Quando viaggi, se non erro, ti piace portare le tue esperienze e condividerle con la popolazione o con le organizzazioni e associazioni locali…chi ti ha colpito maggiormente in questa ultima tua esperienza e cosa hai potuto scambiare con loro?
Sono partito convinto di dare la mia visione invece ho ricevuto molto più di quanto mi aspettassi. Ognuno con la loro storia fa fronte a questa patologia adattandosi i vari problemi che a mano a mano incontrastati avanzano.
Credo che nella vita di ognuno di noi, disabile o normodotato che sia, è proprio questo quello che ci permette di andare avanti: adattarsi alle varie situazioni per poi in capirle e superarle ognuno a proprio modo.
Rappresenti forse un modo di viaggiare diverso, talvolta estremo rispetto ai limiti che ti imponi di superare chilometro dopo chilometro. Penso alla disidratazione, alla stanchezza, al fatto di essere sempre in sedia a rotelle e questo per chi non è tenace come te potrebbe essere un grosso ostacolo. Qual’è stato il più grande limite o difficoltà che ti hanno quasi fatto desistere dall’impresa e se c’è stato come hai fatto a superarlo?
Adattandomi stringendo i denti ma soprattutto era la curiosità di vedere cosa c’è dietro l’angolo che mi spronava. Logisticamente parlando, molte volte chiedo aiuto, mi fido molto del prossimo e negli anni ho capito come saper comunicare agli altri il modo in cui possono essermi d’aiuto per superare un ostacolo. Mentirei però se dicessi che non ho mai pianto e non mi sono sentito terribilmente solo, ma fa parte del viaggio, è normale.
L’importante non è viaggiare, forse viaggiare come lo faccio non lo consiglierei quasi a nessuno e soprattutto non potrei mai permettermi di dire che se ho viaggiato io allora tutti devono e possono farlo… il viaggio come in tutti i miei “Rolling” è una metafora della difficoltà che ognuno di noi nel proprio si ritrova a fronteggiare.
Mi chiedo sempre se hai una stella guida, qualcuno che ti dia motivazione e ispirazione.. è così?
Spero di sì…ciao Max!
Il tuo viaggiare non è fine a se stesso e se si leggono le numerose interviste che hai rilasciato, si capisce che c’è uno scopo di fondo in quello che fai, hai voglia di condividerlo con noi e spiegarne il motivo ?
Partire per tornare più ricco di esperienze da poter condividere con la società è il mio modo per contribuire a una rivoluzione sociale che per quanto ne riconosca la utopia credo e voglio raccontarla.
L’ultima domanda la dedichiamo all’abbattimento delle barriere. Quali sfide ci aspettano in futuro e pensi sarà possibile, anche grazie a esperienze come le tue, raggiungere un’inclusione delle persone con disabilità a livello globale?
Più’ viaggio e più mi rendo conto che anche nel nostro paese la disabilità è accettata, ma non è ancora condivisa al punto tale da creare una vera e propria integrazione. Troppo poche le realtà dove il “normodotato” si siede, viaggia, lavora, fianco a fianco non la persona disabile, non è integrazione la nostra, è segregazione.
Abbiamo ancora molto da fare, siamo però sulla strada giusta, dipende soprattutto da noi. E’ la nostra guerra!