SEMPRE AVANTI MAI INDIETRO

Buongiorno Paolo. In molti ancora non la conoscono, vuole presentarsi?

Certamente. Mi chiamo Paolo Vezzani, sono un emiliano romagnolo e ho 40 anni. Nel 2014 ho scoperto di avere questo tumore osseo, chiamato condrosarcoma, che mi ha costretto in ospedale per i due anni successivi. 

 

Da cosa nasce l’idea di scrivere “Sempre avanti mai indietro”?

L’idea nasce sotto consiglio degli stessi medici che mi seguirono durante il mio periodo ospedaliero. Mi suggerirono di scrivere un libro sulla mia esperienza, perché notarono che, rispetto ad altri pazienti, avevo delle capacità ed un modo di reagire a questa difficoltà totalmente differente e positivo.

L’idea c’era, il difficile stava nel realizzare il libro. Dopo mille peripezie, assieme ad Andrea Cangiotti, siamo riusciti a trovare questa casa editrice a cui è piaciuta la mia storia e ha creduto in me.

 

Perché la scelta di questo titolo?

La scelta del titolo ha riguardato l’editore, non è stata una mia scelta. Hanno preso spunto da una frase che avevo allegato ad una foto di un omino in carrozzina, pubblicata sulla mia pagina facebook, che riprendeva una citazione del presidente colombiano Barco: “Sempre avanti, mai indietro! Quello che c’è da fare lo faremo!”.

 

Nel suo libro parla più volte dell’Associazione ARCS ONLUS, da Lei fondata. Può dare un’anticipazione ai nostri lettori su cos’è e come è nata?

Sì, diciamo che l’idea di istituire ARCS ONLUS è nata il giorno dopo la mia prima operazione, il 9 aprile 2015, perchè, da paziente, ho notato delle lacune all’interno dell’ospedale. Ho percepito che c’era qualcosa che non andava, fin da subito.

Quando sono entrato, mi sono sentito catapultato in mondo che non conoscevo, senza paracadute. In tale situazione si passa dalla “normalità” di tutti i giorni, a ritrovarsi in un tunnel buio, come in una sorta di strana dimensione. Allora lì ho pensato, assieme al mio medico, di creare una specie di paracadute per i pazienti. L’obiettivo, infatti, di ARCS ONLUS è di dare un supporto umano a tutte quelle persone che, dopo varie visite, arrivano all’interno del reparto. Si cerca di evitar loro l’ansia del “Oddio mi devono operare, ho un tumore…”, di rassicurarli e di trasmetter loro positività. 

Io non sono uno psicologo, come dico sempre, e perciò vengo chiamato ad aiutare i pazienti successivamente al lavoro svolto dallo psichiatra. Visto i buoni risultati che ottengo, spesso mi contattano su Facebook, o mi chiamano, per andare ad intervenire anche in altri ospedali, oltre a quello in cui sono stato operato e seguito. Così mi sono reso conto che è una realtà che manca in ogni ospedale, perchè va oltre l’eccellenza delle cure mediche. Si tratta di un bisogno che le persone hanno e che va affiancato al supporto psicologico, ed è per questo che come Onlus abbiamo il progetto di creare una rete di persone come me, che aiutino i malati a combattere la paura della malattia, del “lupo che non si conosce”. L’istinto ci direbbe di difenderci attaccandolo, perchè non conosciamo, e questa ignoranza è data anche dal fatto che non c’è nessuno che viene a spiegarti che cosa significhi il tumore. Manca la conoscenza di base. Io infatti sto cercando di andare anche nelle scuole per spiegare cos’è il cancro e specificatamente il condrosarcoma, perchè è il nome di ciò che ha colpito me. Se dicessi solo “malattia” o “tumore” avrei detto tutto e niente. Dietro queste parole c’è un mondo, un intero universo, purtroppo ancora in gran parte sconosciuto, a causa della mancanza di finanziamenti nella ricerca. Per questo, assieme ad ARCS ONLUS, cerco di investire negli studi scientifici in tale ambito. Vorrei un giorno poter sentire alla radio o in televisione l’annuncio “Abbiamo sconfitto il condrosarcoma”.

 

Sappiamo che Lei ha compiuto un record non da poco, a cui ha dedicato un intero capitolo del libro: Bologna – Monaco in sedia a rotelle con ruota servoassistita. 

Come ci è riuscito?

Partiamo dalla ruota servoassistita. L’idea è nata da un mio caro amico, Federico Dall’Oglio, che possiede un negozio di ortopedia sanitaria. Dopo l’operazione mi chiama e mi dice: “Ho già tutto in mano. So già tutto. Preparati, che quando arrivi a casa ho la sedia per te con un’aggiunta da mettere davanti”. Perciò vado da lui, e mi fa subito vedere la carrozzina assieme all’attrezzo pensato da applicare anteriormente: una ruota servoassistita. La prima cosa che ho pensato è stata: “Come mai non se ne parla? In questo modo tutti possono andare in bicicletta!”. Infatti, non tutti sono fortunati e riescono ad andarci e/o a permettersi un handbike, poiché, come nel mio caso, se la persona è disabile ASL, non le viene coperto il costo totale, ma solo una piccolissima percentuale. Tutti, però, hanno una sedia a rotelle e possono accedere ad una ruota servoassistita. Ho così deciso che dovevo fare qualcosa per far conoscere a tutti l’utilità di questa possibilità e dimostrare che, con una ruota di questo tipo, si possono fare anche lunghi viaggi senza problemi. Da lì l’idea di andare da Bologna a Monaco, che sono circa 600 km. Un record che nessuno aveva ancora compiuto. Sono partito assieme al mio fisioterapista, al mio meccanico e ad un amico pilota che mi dava supporto alla guida. Facendo tappa ogni 100 km, siamo arrivati a Monaco in 5 giorni.

 

Attraverso la promozione di tutte queste sue iniziative, qual è il messaggio che vuole trasmettere?

Voglio trasmettere maggior conoscenza e consapevolezza. Le persone devono sapere, come proprio bagaglio culturale, cos’è un condrosarcoma e cosa significa essere disabile, così da poter essere in grado di agire nel caso accada. 

Cerco di infondere la speranza, quella che tanti pensano si perda il giorno in cui ti diagnosticano una malattia. Se ce l’ho fatta io, ce la può fare chiunque!

 

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