Sfruttamento del territorio e sostenibilità ambientale

Data: 01/10/14

Rivista: ottobre 2014

Dal 20 agosto il pianeta è in debito e nessuna manovra finanziaria potrà risanarlo.

Ciò che è stato consumato fino a tale data sono le risorse rinnovabili, calcolate su base annua e a livello globale dal Global Footprint Network, organizzazione che compie studi sull’impronta ecologica prodotta dalle nazioni e dalle singole persone.

Un sistema chiuso come la Terra sopravvive grazie ad una serie di fattori che in milioni di anni di adattamenti hanno creato un equilibrio perfetto per la nascita e l’evoluzione di forme di vita come la nostra, ma la velocità la quale produciamo, consumiamo e scartiamo oggi non tiene conto della capacità delle risorse naturali di rigenerarsi e quindi di sostentarci in futuro.

Stiamo vivendo sulle spalle di chi verrà dopo, consumando come non ci fosse un domani risorse che non ci spettano.

La causa di questo risiede nel nostro stile di vita influenzato dal consumo e dallo spreco. I nostri oggetti hanno vita sempre più breve, basti pensare all’abbigliamento o alle apparecchiature elettroniche in continua evoluzione e aggiornamento. Molti di questi beni non verranno mai usati al massimo del loro potenziale e finiranno quindi in un cassetto o gettati, per fare spazio ad altri più nuovi.

Questo ciclo è troppo veloce per poter essere perpetrato a lungo e riciclare in questo caso non basta, in quanto ogni processo di trasformazione dei rifiuti richiede enormi quantità di energia e ciò che viene recuperato è solo una piccola parte di quello che è stato immesso nel processo produttivo.

Il discorso riguardante il cibo è più complicato; secondo uno studio sulle perdite alimentari condotto nel 2011 dalla FAO, l’Organizzazione delle Nazioni Unite per l’alimentazione e l’agricoltura, un terzo del cibo prodotto va perso lungo il processo produttivo e la commercializzazione. Dai dati emerge che una gran parte dello spreco avviene durante le fasi di coltivazione, raccolta, stoccaggio, lavorazione e selezione dei prodotti, in quanto le aziende impongono standard restrittivi riguardanti le qualità fisiche di questi, come la dimensione, la forma e il colore delle verdure, prima che vengano messi sul mercato. A dare il colpo di grazia a questo processo è il consumatore finale, che contribuisce producendo scarti da prodotti scelti e lavorati appositamente per lui.

Quindi, nel momento in cui decidiamo di gettare della carne avanzata, non stiamo solo sprecando quel cibo, ma anche l’acqua e il mangime usati per allevare quell’animale, senza contare i costi in termini di tempo ed energie impiegati per il trasporto di un cibo che non verrà nemmeno consumato, determinando anche un incremento del prezzo finale. Non è tutto, perché serviranno altro tempo ed energie per raccogliere questi rifiuti, lavorarli, trasportarli e stoccarli.

A fronte di quasi un miliardo di persone denutrite, si è calcolato che in Europa e in Nord America lo spreco alimentare raggiunga i 100 kg di cibo pro capite all’anno, più del doppio rispetto a cinquant’anni fa, e sono proprio i costi occulti creati dai nostri gesti quotidiani che stanno causando l’erosione delle risorse e una sempre più marcata disparità nell’allocazione di queste ultime.

Responsabilizzarsi riguardo al cibo quindi non vuol dire solo consumare meno, ma soprattutto consumare meglio e con più attenzione.

Il sito del Global Footprint Network dà la possibilità di calcolare il proprio impatto sull’ambiente rispondendo ad un questionario dettagliato sul nostro stile di vita.

Non avendo un’automobile, facendo la raccolta differenziata e non consumando eccessiva elettricità, mi illudevo di essere “eco-compatibile”, o quanto meno di non essere poi molto impattante sulla salute del pianeta. Il risultato (vedi grafico in alto) non mi ha lasciato dubbi, difatti se tutti al mondo consumassero quanto me, avremmo bisogno non di uno solo, ma di ben 2 pianeti. Questo significa che non tutti potrebbero permettersi una casa con acqua corrente, gas naturale ed energia elettrica, essere serviti da tutti i servizi pubblici di cui beneficiamo, o ancora acquistare beni di consumo con i ritmi attuali.

“Quando avrete abbattuto l’ultimo albero, quando avrete pescato l’ultimo pesce, quando avrete inquinato l’ultimo fiume, allora vi accorgerete che non si può mangiare il denaro”. Queste parole di un grande Capo tribù nativo americano dovrebbero essere un importante monito per il presente, perché ci ricordano di non perdere di vista ciò che è più importante per la nostra sopravvivenza. Rivalutare le risorse significa consumare con rinnovata consapevolezza, abbandonando la superficialità, gli eccessi e gli insostenibili ritmi di consumo che hanno caratterizzato l’atteggiamento dei paesi industrializzati nell’ultimo secolo.

Fonte: www.footprintnetwork.org

 

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