E’ possibile vivere la disabilità in maniera più serena, senza inibizioni, creandosi spazi di realizzazione personale e di partecipazione, come accade per la generalità degli esseri umani? In questo senso la mia esperienza è sostanzialmente positiva, ma ritengo opportuna una premessa: quando si leggono storie simili, occorre ricordare che la realtà del singolo non è mai paragonabile a quella degli altri; nell’ambito della disabilità questo concetto assume un’importanza basilare, perché ogni soggetto è diverso e non andrebbe omologato ad altri.
Sono nata con gravi problemi visivi, tanto che mi è stata riconosciuta la cecità legale. In pratica il mio residuo visivo è utile semplicemente per l’orientamento, ma non per altre importanti necessità della vita quotidiana, come ad esempio la lettura o l’identificazione delle persone o degli oggetti, specialmente se a distanza o in caso di scarsa luminosità degli ambienti. Dopo aver frequentato le scuole, parte in strutture speciali lontano da casa e parte in istituzioni comuni, ho conseguito il diploma magistrale, con il quale non avrei potuto insegnare, se non specializzandomi per il sostegno a persone minorate della vista.
Non mi sentivo portata e preparata per un simile percorso formativo, anche perché specialmente alla scuola superiore ho utilizzato strumenti e metodi di studio inadeguati alle mie esigenze: in particolare non sono stata aiutata ed invogliata ad accettare ed apprendere adeguatamente l’utilizzo dell’alfabeto tattile Braille; a quel tempo l’informatica era agli albori e gli ausili speciali di questo genere alla portata di pochi. Per lo stesso motivo non ho continuato gli studi iscrivendomi all’università. Oltretutto mi spaventava il fatto di dovermi organizzare anche a livello pratico (alloggio in città più grande, spostamenti, frequenza alle lezioni, reperimento testi, disbrigo pratiche, attività di studio, rapporti con i compagni, partecipazione ad attività culturali o ricreative per studenti, ecc.), considerando che la mia autonomia di spostamento si limitava al piccolo paese della valle di Non, dove abitavo con la mia famiglia.
Ero in contatto con alcune persone che si erano inserite nel mondo del lavoro ed anche se in merito nutrivo molti timori, ho deciso di seguire questa strada. Mi sono iscritta ad un corso annuale per centralinisti telefonici presso un istituto per ciechi di Padova. Nel 1986, dopo aver conseguito il relativo diploma, ho sostenuto l’esame per l’iscrizione all’albo professionale dei centralinisti telefonici ciechi.
A questo punto avevo tutte le carte in regola per poter lavorare in questo settore. Nel 1987 ho iniziato il mio servizio presso un ufficio pubblico a Trento; qui ho trovato un appartamento in affitto, che ho acquistato alcuni anni dopo e per me è finalmente iniziata una nuova vita. Infatti mi sono inserita in alcune realtà, anche non strettamente legate alla categoria dei non vedenti ed ho realizzato il mio desiderio di essere utile agli altri. Il cammino che ho compiuto non è stato sempre facile e non sono mancati i momenti in cui avrei desiderato mollare tutto.
Mi sono guardata intorno ed ho notato che tutti hanno i loro problemi, specialmente nel mondo di oggi, nel quale niente sembra dovuto. Così ora sono portata a credere che, se noi disabili desideriamo essere e diventare cittadini a pieno titolo, conquistare e migliorare la nostra dignità di uomini, dobbiamo modificare il nostro atteggiamento.
E’ inutile, ad esempio, protestare sui giornali, anche se a volte questo è l’unico modo per risvegliare l’attenzione sulla nostra condizione.
E’ più utile invece cercare un’occupazione dopo aver completato gli studi, inserirsi in realtà culturali, magari impegnarsi in politica o a livello sindacale: in questo modo siamo più visibili a un maggior numero di persone, alla fine saranno costretti ad accorgersi di noi. Vivendo nel mondo anche la nostra personalità si ammorbidirà ed il nostro atteggiamento verso la vita diverrà quello di molti altri individui.
Personalmente vi garantisco che è più utile litigare con un collega e sentirsi trattare normalmente, piuttosto che averla sempre vinta; mi accorgo di essere più matura quando riesco a risolvere inconvenienti domestici o ad accettare con una certa elasticità disguidi o cambi di programma, perché si tratta di situazioni in cui tutti prima o poi incorrono.
Cambia il modo di risolvere i problemi, ma siamo noi e non gli altri a dover decidere della nostra esistenza ed ora che l’informatica ed i vari ausili e servizi possono aiutarci ad essere più autonomi, questo traguardo non è poi così irraggiungibile.