Di fronte alle prove scientifiche sempre più schiaccianti circa l’effettiva nocività del fumo, David Kessler, responsabile della Food and Drug Administration (ente americano di controllo sulla sicurezza di alimenti e farmaci) mette in moto a fine anni ’80 un’indagine sui metodi utilizzati dalle multinazionali statunitensi per produrre e lavorare il tabacco. Scopre così che da tempo seminano in Brasile piante con foglie ad alto contenuto di nicotina per esportarle negli Stati Uniti dove è severamente vietato coltivare ed impiegare simili piante per confezionare sigarette. La dipendenza dal fumo viene infatti acutizzata da alti livelli di nicotina: a 10 secondi dai primi “tiri” essa arriva al cervello facendogli liberare la dopamina, (il neurostrasmettitore del piacere) che manda al cervello un messaggio analogo a quello inviato dalle cellule di chi assume eroina, cocaina, anfetamine e alcol.
Le rivelazioni di Kessler sugli espedienti usati allarmarono ed indignarono l’opinione pubblica americana ed un tribunale intervenne ingiungendo alle aziende di rendere pubblica la lista di tutte le sostanze non contenute naturalmente nelle foglie ma aggiunte al tabacco durante la lavorazione.
Saltò così fuori un elenco di ben 599 additivi che sottoposti all’analisi dei chimici della FDA misero in luce un’incredibile realtà: gran parte di essi erano usati al solo scopo di aumentare la quantità di nicotina assorbita dall’organismo del fumatore (un esempio: ammoniaca aggiunta alla miscela dei tabacchi per liberare dalle foglie anche quella nicotina che normalmente vi rimarrebbe “imprigionata”).
Ne seguì un diluvio di polemiche durissime, martellanti campagne antifumo e leggi restrittive che nei Paesi avanzati portarono alla contrazione di 800.000 fumatori al giorno.
Per frenare l’emorragia ed alleggerire il colpo da KO alla propria immagine ed ancor più alle casse, le compagnie di tabacco ricorsero a trucchi meno sporchi ma più subdoli: nicotina resa più pesante per aumentare la dipendenza, tentativo di sostituire la nicotina con sostanze alternative (che però danno ancora dipendenza), produzione di sigarette con la stessa quantità di catrame e nicotina ma più corte o più sottili, aromatizzate a vari gusti o senza fumo (Eclipse), pubblicità rivolta a clienti di età sempre più bassa, ricerca di nuovi mercati in Asia ed Africa: nel terzo mondo, negli ultimi 25 anni, il consumo di sigarette è cresciuto del 70%.
Ma il vero colpo da maestro fu la messa in commercio di sigarette etichettate per i propri clienti come “light” (leggere) quasi a lasciar credere “innocue”: stando alle rassicurazioni, avrebbero contenuto notevolmente la quantità di catrame che va ad intasare gli alveoli polmonari mentre un sistema di raffreddamento avrebbe reso “non pericoloso” il fumo.
Nei fatti però il tanto decantato salto di qualità si ridusse alla sostituzione dei filtri con altri più sofisticati ed il trucchetto mostrò ben presto le sue gambe corte: uno studio condotto in Svizzera dall’Università di Losanna evidenziò che il consumatore delle presunte “leggere” aspira dalla sigaretta con boccate più frequenti e profonde per compensarne la leggerezza. Risultato: i casi di tumore sono rimasti invariati.
A questo punto, per non tirarla troppo per le lunghe, vi facciamo vedere chi fa la pacchia affumicando i vostri polmoni. I dati sono del ’97 ma in questi 4 anni è cambiato ben poco:
Sempre in tema di salute, le sei multinazionali produttrici di sigarette (American Brands, BAT, Hanson, Philip Morris, Rembrandt, RJR Nabisco) mettono in saccoccia ogni anno una cifra 60 volte superiore al bilancio annuale dell’OMS, l’organizzazione dell’ONU che si occupa di salute a livello mondiale.
Come annotazione finale, lo spendere due – tre euro (4 – 6 mila lire) al giorno per un pacchetto di sigarette può sembrare una spesa ammissibile. Ma proviamo a fare il conto su un anno intero. Ecco qualche cifra:
Philips Morris. Costo per pacchetto: 5.700 lire. Spesa annua 5.700 x 365= 2 milioni e 80 mila.
Marlboro. Costo per pacchetto: 5.800 lire. Spesa annua 5.800 x 365= 2 milioni 117 mila.
Ad occhio… lo stipendio di un mese di un impiegato medio e, letto da un altro punto di visto, il sudore di un mese di lavoro adoperato per scassarsi di proposito la salute!!
Infine ci eravamo lasciati la scorsa numero con l’interrogativo: riuscirà Rosy a fumare entro mezzanotte del 31 dicembre l’ultima sigaretta della sua carriera? Ebbene, ve lo diciamo subito: NO! Il proposito è rimandato a data da stabilirsi…