È stato da poco pubblicato il libro “Sopravvivere in strada” primo studio sui senza dimora nella città di Trento, scritto da Charlie Barnao, dottore di ricerca in Sociologia e ricerca sociale.
Il metodo utilizzato per l’indagine è quello dell’osservazione partecipante, vale a dire che il ricercatore diventa anch’egli strumento di ricerca ed è portato a filtrare, selezionare e mediare ciò che rileva.
Palermitano d’origine, Barnao arriva a Trento per studiare alla Facoltà di Sociologia e trova ospitalità a Villa S. Ignazio, struttura di accoglienza ed assistenza, dove tuttora abita. Qui conosce Said, Pedro e Fabrizio membri del gruppo di Piazza Dante e protagonisti del suo primo libro, “Hotel Millestelle”, dove si racconta la vita di persone spesso senza un documento d’identità.
“Sopravvivere in strada” inizia illustrando precedenti ricerche sul fenomeno, soprattutto statunitensi, si sofferma su quelle italiane condotte nelle grandi città metropolitane e passa poi allo studio condotto a Trento.
La parte operativa della ricerca comincia dopo una lunga ed accurata preparazione (individuazione dei siti dove i senza dimora vanno a dormire di notte; contatti per accedere a zone controllate ecc.) e il conteggio viene realizzato nella notte del 9 dicembre 2002 monitorando 39 siti.
Sono 126 i senza dimora contati. Se aggiungiamo le persone ospitate quella notte dalle strutture dei servizi pubblici e del privato sociale arriviamo a 232 soggetti. Applicando a questi numeri il “metodo Wright”, che stima 1 a 3 il rapporto tra popolazione senza dimora presente in un contesto urbano in una notte e popolazione presente in un anno, si può calcolare intorno ai 700 i senza dimora passati per Trento in dodici mesi. A questi possiamo aggiungere altri dati: sono 770 gli uomini ospitati nel 2002 al dormitorio della Fondazione Comunità Solidale (dormitorio maschile) e 836 le donne accolte dall’Associazione cattolica Internazionale al Servizio della Giovane (dormitorio femminile). Si può dire, come scrive Barnao, che a Trento nel 2002 sono passate almeno 1606 persone.
Forniti i dati, l’autore illustra le tipologie di senza dimora (vagabondi; alcolisti; barboni ecc.), il rapporto con le istituzioni e i “lavori ombra” svolti per sopravvivere. Dedica l’ultimo capitolo al gruppo di Piazza Dante, analizzando le risorse presenti nelle reti di relazioni, accessibili e/o mobilitate dagli attori per il raggiungimento di determinati scopi. Piazza Dante situata davanti alla stazione è il primo luogo dove le persone che arrivano a Trento vanno. Il gruppo di Piazza Dante manteneva i contatti, stabiliva relazioni, acquisiva informazioni e le faceva circolare.
Il libro ben si addentra in tutti gli aspetti accennati, fornendo un quadro inedito della realtà dei senza dimora di Trento, interessante per chi vuole approfondire il fenomeno o saperne un po’ di più.
Intervista all’autore
- Nei dormitori di Trento le persone senza dimora non possono rimanere per più di 20 giorni, nel resto d’Italia invece?
Il problema specifico dei senza dimora a Trento è dovuto “ad una vera e propria chiusura della città nei confronti delle persone che vivono su strada”. Questa affermazione si spiega con l’esempio dei dormitori. “Trento è l’unica città in cui tutti i posti a bassa soglia sono vincolati alla regola dei 20 giorni. In altre città esistono dormitori con questa regola, ma anche altri nei quali è possibile rimanere per periodi di tempo più lunghi, a Trento no”.- A suo giudizio questa situazione da cos’è determinata?
- “Gli amministratori comunali vogliono evitare che la città diventi un polo d’attrazione: se i servizi dovessero funzionare troppo bene tantissime persone verrebbero anche da altre zone d’Italia. Trento attira molto i senza dimora per varie ragioni: si trova più facilmente lavoro; la persona che vive di elemosina riesce a sopravvivere meglio che in altre città; i servizi mensa per senza dimora funzionano. Il blocco è sul dare un posto dove dormire: non ce ne sono a sufficienza e hanno regole restrittive. Molti, nonostante tutto ciò, si fermano e vivono in condizioni di vita estreme: dormono per strada con un clima rigido e cercano rifugi d’emergenza come la ex Sloi, territorio altamente inquinato dove i senza dimora vanno a dormire con il tacito consenso dell’amministrazione comunale e della città”.
- È data la residenza anagrafica?
- “La residenza anagrafica è un caso generale per tutta Italia: è davvero difficile ottenerla e vi è una fortissima discrezionalità nel darla. Se aggiungiamo che molti non sanno nemmeno di avere questo diritto, è chiaro che la residenza anagrafica rappresenta uno dei tanti ostacoli nel contatto con i senza dimora; il più emblematico è il fatto che la sede dei servizi sociali sia condivisa con la polizia. Ci sono difficoltà, come l’assenza di operatori di strada, cioè figure che creino contatti tra la gente di strada e la “società normale”, che dimostrano l’incapacità dell’amministrazione comunale di entrare in contatto con queste realtà.”
- È importante che siano “mediatori laici” ad instaurare i contatti?
- “La mancanza di un mediatore incide molto, in quanto è una cosa banale, ma se si vuole intervenire su un fenomeno prima si deve conoscere. Finché non ci sono delle figure che vanno su strada con strumenti di comunicazione vicini alle culture rappresentate, fra cui culture di appartenenza etnica diversa, sarà difficile comprendere il fenomeno e poter intervenire. Quando ci saranno dovranno avere questi strumenti: il presentarsi come persona religiosa, nel contatto con culture altre, magari appartenenti a religioni differenti, a volte diventa un ostacolo alla comunicazione.”
- Come funziona il volontariato di strada?
- “Ho fondato nel ‘99 l’associazione “Volontari di strada”. L’associazione nasce con l’obiettivo di inserirsi nel vuoto di comunicazione tra la strada, la “società normale” e i servizi sociali. Ciò non toglie che il vuoto di comunicazione rimane. La critica che faccio al Comune è di non aver fin’ora strutturato nessun intervento di questo tipo: tutto è affidato al mondo del volontariato”.
- Perché a Trento tra le persone di strada vi sono più stranieri rispetto alle statistiche nazionali?
- “Per diversi fattori: Trento è una città ricca, di passaggio per chi va al Nord, con possibilità di lavori stagionali. Queste sono le motivazioni di partenza. Poi, per contro, per quanto riguarda le politiche associative vi sono notevoli difficoltà: gli affitti sono elevatissimi e le case popolari hanno norme altamente discriminanti nei confronti degli stranieri (ci sono due graduatorie distinte per le case popolari, una per gli stranieri e una per gli italiani). Questo fa si che alla fine le domande soddisfatte siano al massimo del 4%. Lo straniero che arriva a Trento ha notevoli difficoltà a trovare alloggio. Molte persone giunte per lavorare vanno a confluire nella popolazione dei senza dimora ed intasano i servizi impostati per l’accoglienza al barbone classico”.
- Tra i senza dimora ci sono persone disabili?
- “A livello di handicap fisico le storie sono diverse. Parliamo della storia di Said, magrebino, senza gambe, che ho seguito fin dal ‘95 e ho visto in due momenti: a Villa S. Ignazio, accolto all’interno del circuito assistenziale, e fuori, leader di un gruppo che gestiva le relazioni di Piazza Dante. In qualche modo, ma questo non è generalizzabile, fuori aveva un’identità che gli piaceva di più. Non era il portatore di handicap che a Villa S. Ignazio aveva bisogno degli altri. Su strada era visto di là dallo stigma del portatore di handicap. La parte negativa diventava un vero carisma, era considerato una persona eccezionale, che nonostante la gravissima malattia, il morbo di Burger, riusciva a sopravvivere in una situazione estrema.
- Nella stragrande maggioranza non c’è nessuna scelta nel vivere per strada. Lui comunque preferiva quella condizione al dormitorio e al farsi assistere da qualcuno: la medicina l’ha trovata su strada. È diventato un tossicodipendente da eroina per sostituire le sue medicine a base di morfina e uno dei più grandi spacciatori di strada di Trento. Non so se si poteva evitare, ma lui è vissuto in questo vuoto di comunicazione tra strada e servizi.”