C’è chi tollera la stereotipia, chi la interpreta, chi la valorizza offrendola come bene rifugio, senza rendersi conto che è un impedimento, che non serve offrirla come “premio”, poichè riaffiora spontanea e comunque sempre al coincidere con il vuoto propositivo. Perchè preoccuparsi di favorirla se il soggetto che ne soffre se la confeziona prontamente. Per dare una ragione a questa infinita esperienza interpretativa ci insegnano come studiare ciò che precede l’emissione (antecedente) e come essa si conclude (conseguenza), per giungere alla definizione della comunicazione che nell’emissione disadattiva si nasconde. Gi stessi esperti dicono che, se si riesce a trasformare questo comunicato improprio, in una forma utile e sociale, non ci sarà più bisogno di performare il comportamento in analisi. Ma purtoppo, sembrano dimenticare, che non esistono specifiche stereotipie per richieste diverse (es. flapping per bere; corsetta per il bagno; battere le mani per passeggiata…) Giurano di sì. Ma aggiungono “poi hanno smesso”, oppure, “lo fanno a periodi”. Costoro hanno mai notato che tra coloro che soffrono di questa sindrome c’è chi parla, chi si esprime benissimo verbalmente o per scritto, persino ad alto coefficiente intellettivo, eppure presenta stereotipie. Hanno anche questi ultimi richieste inesprimibili?
Quello che universalmente si vede è che questi bambini speciali preferisco permanere in stereotipia improduttivi anzichè partecipare.
I comportamenti problema, vale a dire le sporadiche azioni dirompenti (ma non sempre tali), le azioni malversative, oppositive, di fuga, rifiuto, estraniazione, di autolesionismo-non-stereotipato, ecc., emesse di tanto in tanto, (sono invece emissioni “reattive” od” operative”, usate in modo competente (e non per questo consapevole come spiegheremo più sotto) in quanto “funzionano” nel riconsegnarli alla stereotipia o alla condizione migliore per ritrovarla.
Comportamento problema “reattivo” (dare uno schiaffo, urlare, scalciare, colpirsi, rompere oggetti…) e/o “operativo” (fuggire, estraniarsi, rifiutare persino verbalmente, opporsi, provocare, immettere controlli ambientali, sensorialità strane; intolleranze ad hoc, ecc.) sono modalità diverse che hanno in comune l’esito, la capacità-efficacia del comportamento emesso per il ripristino della condizione patologica abbandonata o minacciata di interruzione: la condizione stereotipata.
Qualsiasi forma di rifiuto è comportamento problema se ha come unico esito la possibilità di rientrare o permanere in stereotipia. Questo è il criterio distintivo dai “comportamenti impropri” ma con significato. Un soggetto in difficoltà psicologica può usare comportamenti disadattivi per comunicare in modo alternativo. Alla fine della performance si isolarà in passività, oppure si impegnarà in un’attività adattiva (spontaneamente o suggerita dalla situazione, o attivamente offerta) ma mai patologica. Egli comunica attraverso comportamenti inadatti, non consoni alle regole del sociale a cui appartiene, non educati o poco proporzionati o pertinenti (ma esprime una scelta consapevole) e la sua comunicazione di “rifiuto, di difficoltà, ansia, stanchezza…” è leggibile da chiunque. La conseguenza del suo comportamento non sarà mai una stereotipia. L’analisi funzionale del comportamento, nel caso di detto individuo in difficoltà psicologiche, funziona e allo stesso tempo funzioneranno le sue strategie e le sue proposte terapeutiche (ad es. ignorare per estinguere; spiegazione; contrattazione, ecc.).
Per contro, nel caso delle persone con Disturbo Pervasivo dello Sviluppo, le cose sono molto più difficili. Non c’è ricerca spontanea di esperienze alternative, non c’è mai stanchezza evidente nel permanere in stereotipia. C’è l’usare un comportamento per un unico fine: il patologico.
Questo significa esprimere un solo comunicato “voglio patologia” e non come si vorrebbe far credere “voglio essere compreso, voglio uscire a giocare, ecc.”.
In realtà, quando ci vogliono far credere che le cose non stanno così, che il patologico contiene l’adeguata contestualizzazione inespressa, la volontà, la richiesta del disabile, è l’operatore che elabora l’ipotesi comunicativa sulla base della conosciuta quotidianità o del fatto che conosce la percorribilità di quell’esperienza. Se si offrisse al ragazzino un’altra opzione alla passeggiata (che si vuole essere la sua richiesta attuale) e gli si accendesse il televisore “andandosene” (atto fondamentale perché la proposta funzioni patologicamente), il comportamento si esaurirebbe e la richiesta ipotizzata, la passeggiata scomparirebbe. In realtà non è nemmeno il televisore l’oggetto del contendere perchè dopo poco si troverebbe il ragazzino in stereotipia. Se si spegnesse il televisore ci sarebbero ancora problemi ma non perchè il messaggio è ora “non spegnere la TV”, ma perché è stata avviata la minaccia che cessi la condizione che autorizza la performance stereotipata. Il funzionamento del televisore non è usato per sperimentare, vedere, godere, ma semplicemente perchè certifica il permesso al comportamento patologico, stereotipia visava a cui seguono le altre. Se l’operatore accendesse una radio e togliesse il volume al televisore non cambierebbe nulla per il ragazzino… Se l’operatore accendesse poco dopo una lampada luminosa rotante potrebbe togliere anche il video al televisore e non succederebbe nulla, ecc. È ciò che garantisce il permanere in stereotipia che funziona e niente altro.