Stranger than fiction

Data: 01/06/11

Rivista: giugno 2011

Questo incipit si rivela disarmante sia per la sua semplicità che per l’efficacia nel sintetizzare ciò che il regista Mark Forster “confeziona” con questa pellicola del 2006: non è esattamente una fiaba ma, in un modo o nell’altro, il paragone non appare così azzardato.

Harold (Will Ferrell) è uno scapolo casa e lavoro, ossessionato dai numeri tanto da arrivare a contare i colpi di spazzolino e i passi che separano la sua abitazione dalla fermata dell’autobus, ma capace anche di risolvere a mente calcoli estremamente difficili. Conduce un’esistenza piatta e solitaria: torna a casa da solo, mangia da solo e, alle 23:13 di ogni sera, va a dormire da solo. Tutto questo fino ad un mercoledì, in apparenza uguale a tutti gli altri, se non per una voce che si insinua improvvisamente nella sua testa. Una voce di donna, che solo lui può sentire, che racconta avvenimenti della vita di Harold con precisione maniacale e con un vocabolario decisamente ricercato. Questa oratrice “immaginaria” non parla con lui, ma di lui. È come se egli fosse il personaggio di una storia, che altro non è se non la sua stessa vita. Per di più, la voce narrante va e viene, raccontando solamente degli spezzoni della sua esistenza, lasciando il resto in sospeso. Harold, in definitiva, è il protagonista di una narrazione che si svolge nella sua stessa mente. In un climax di rivelazioni, il punto di rottura non tarda ad arrivare: la voce, infatti, rivela indirettamente al protagonista il suo imminente decesso. Curiosamente, da qualche altra parte in città, una famosa autrice di romanzi, ora afflitta dal cosiddetto “blocco dello scrittore”, non trova ancora il modo di “uccidere Harold Crick”. Questi è sconvolto e, consapevole di non essere pazzo, si rivolge a un luminare nel campo letterario (interpretato da Dustin Hoffman) che, a fronte di un’iniziale diffidenza, gli offre il suo aiuto più per curiosità personale nella vicenda che per sincera preoccupazione per la sorte di Harold. Secondo questo professore la cosa importante da comprendere è in che genere di storia egli sia il protagonista: se si tratta di una tragedia (di conseguenza dovrà morire) o, al contrario, una commedia (e vivrà “felice e contento”).

Cos’è veramente Stranger than Fiction? Anch’esso una commedia? Certamente, ma non una di quelle che vuol far “ridere”, ma piuttosto cerca di far “sorridere”, dall’inizio alla fine e nella quale si finisce inevitabilmente per fare il tifo per il protagonista, per l’eroe. Il tema di fondo non è poi così originale: a un certo punto della vita, improvvisamente, accade qualcosa che la stravolge e che mette l’uomo a “tu per tu” con la morte. Di qui la consapevolezza di non essere pronti ad “andarsene”, la sensazione di non aver impiegato il tempo che ci è stato concesso nel modo adeguato, il desiderio quindi di “vivere” al meglio gli ultimi momenti cercando di realizzare i propri desideri. E infatti, descritto così, si potrebbe obiettare come il plot non brilli per la sua autenticità, tuttavia il punto di forza della pellicola risiede nel “come” questo sia stato sviluppato: in modo estremamente semplice verrebbe da dire, senza picchi di eccellenza ma con la sensazione che tutto sia stato studiato per trovarsi al posto giusto nel momento giusto, mantenendo un’atmosfera allegra grazie a dialoghi intelligenti e interpretazioni molto ispirate da parte di un cast di ottimo livello.

Un film, purtroppo, decisamente sottovalutato e che avrebbe meritato decisamente miglior fortuna. Mirabile.

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