Tre alberi con molte cose da dire

Data: 01/12/06

Rivista: dicembre 2006

Gli alberi parlano. Basta saperli vedere e mettersi ad ascoltare.

Anche a me è capitato. Così, girellando per Trento, mi sono imbattuta in tre alberi, tre tipi davvero singolari con molte cose da dire.

1° incontro- Ceppo di Ippocastano.

Lo si nota solingo sul Ponte dei Cavalleggeri. L’ho incontrato per la prima volta in una giornata di inizio di novembre, quando ormai sono nell’aria i profumi di caldarroste e di cera. Sorreggeva un vaso di crisantemi…niente di più appropriato considerato il periodo. È un tipo bassotto, piuttosto inquietante… irriconoscibile rispetto allo splendore di pianta che era stato. Dice che è stato il troppo amore per l’uomo a ridurlo così: smog, polveri di metalli pesanti, piogge acide lo hanno fatto ammalare. Poteva lasciarsi morire molto tempo fa, ma non poteva rinunciare a vedere il sorriso dei bambini che passeggiavano sotto di lui, i baci degli innamorati, i dolori e la dolcezza degli anziani… ecco, l’unica cosa che lo infastidiva erano quelle tiepide annaffiature canine: lo facevano delirare!
Ceppo Ippocastano mi ha confidato la sua preoccupazione: tutti gli alberi che vivono lungo l’argine del fiume Fersina sono messi male. La cameraria, un piccolo lepidottero, li sta lentamente consumando. Delle iniezioni di fitofarmaci li aiuterebbero a resistere, a sopravvivere. Preferisce di gran lunga avere a fianco un branco di drogati “fitofarmacomani” piuttosto che dei cadaveri!

2° – Ulivo Incatenato.

Altero sta, di fronte a Ceppo Ippocastano, l’ulivo incatenato.
Non sa se l’hanno legato per impedirgli di tornare nella sua Puglia natia e assolata o perché la pace, ormai, non riesce a volare nemmeno nel becco di una bianca colomba.

3° -Caco, lo Splendido

Dulcis in fundo, ecco apparirmi davanti agli occhi quel gran fusto di caco!
Splendido e luminoso e magico, visione surreale di piccoli soli giapponesi, svetta tra via Milano e via dei Mille.
Memoria di una Trento lontana, fatta di campagne e giardini segreti.

La cameraria, il parassita degli ippocastani

La cameraria è un lepidottero appartenente alla famiglia Gracillaridi. È una piccola farfalla la cui larva viene detta minatrice poiché si nutre del tessuto presente tra le due epidermidi della foglia, creando una galleria – detta mina – di forma caratteristica. La specie è stata rinvenuta per la prima volta in Macedonia nel 1985 (Simova-Tosic & Filev 1985), e descritta come nuova specie da Deschka & Dimic nel 1986, sempre in Macedonia. A causa del basso numero di predatori naturali gli studiosi concordano sul fatto che la cameraria sia stata introdotta in Macedonia a partire dal suo areale di origine, forse il nord America o l’Asia.

L’ippocastano deperisce progressivamente, in particolare se la pianta soffre anche di altre patologie, come il bruciore non parassitario dovuto all’azione di sale, metalli, inquinamento dell’aria. Difficilmente l’insetto porta la pianta a morte, cosa che è però segnalata in caso di attacchi massicci e reiterati. Dove la cameraria è presente in elevata densità, le foglie possono risultare completamente coperte dalle mine della seconda generazione (foto a fianco). Si può così avere una perdita della chioma del 100% in agosto: le foglie imbruniscono, seccano e quindi cadono.

I trattamenti insetticidi risultano onerosi (in bibliografia si parla di 5-30 euro/albero), di efficacia limitata nonché rischiosi data la collocazione urbana delle piante. Per quest’ultimo motivo si stanno effettuando prove di endoterapia tramite iniezione al tronco, in pressione o per assorbimento naturale. I vantaggi dell’endoterapia sono: 1) minor inquinamento ambientale; 2) maggiore efficacia fitoiatrica, per cui a volte è possibile trattare ad anni alterni.

Si ipotizza che nel futuro l’unico sistema di controllo economicamente e tecnicamente possibile sarà di tipo biologico. A tale scopo è però necessario identificare l’areale d’origine della cameraria.

(Fonte: http://et2.unipv.it/omp/cameraria/principale.htm)

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