Trento è una città “amichevole”

Data: 01/08/07

Rivista: agosto 2007

La presentazione dei risultati

Ad un anno di distanza dall’approvazione del Progetto “Friendly City”, l’Associazione Prodigio, promotrice di questa ricerca sugli ostacoli creati da barriere architettoniche e culturali ancora presenti a Trento, annuncia alla sua città i suoi limiti, i suoi pregi e i suoi difetti rispetto all’attenzione che dedica all’handicap e alle problematiche che questo (motorio o sensoriale) porta con sé, legate al vivere quotidiano.

Il 27 giugno 2007, presso la Sala Stampa del Palazzo Geremia, sono stati presentati i risultati dell’indagine, con la redazione di “L’handicap e il suo specchio”, curato dal dott. Marcantoni e dalla dott.ssa Sara Guelmi. In presenza di: il sindaco di Trento Alberto Pacher, dell’Assessore alle Politiche Sociali del Comune di Trento Violetta Plotegher, del dott. Sergio Poli rappresentante dell’Assessorato alle Politiche Sociali della P.A.T. che ha seguito dal nascere il progetto, del Presidente della Cassa Rurale di Aldeno e Cadine dott. Luigi Baldo, che da anni sponsorizza il bimestrale “Pro.di.gio”, del sig. Ferdinando Cioffi in rappresentanza dell’Azienda Sanitaria.

Con “Friendly City” l’Associazione Prodigio regala alla città di Trento lo specchio di se stessa, di quello che offre e di quello che ancora non concede ai suoi abitanti, di quello che le manca e di quello in cui deve migliorare, per essere una città davvero accessibile, aperta a tutti sia dal punto di vista delle barriere architettoniche che delle relazioni interpersonali. Perché si sa che la diversa abilità pone di fronte a interrogativi che investono anche chi non ha dovuto soffrire e non soffre tale condizione. E spesso chi non conosce bene questa realtà è “spiazzato” emotivamente e non sa come comportarsi rispetto al contatto con sensibilità difficili, a volte problematiche. Al giorno d’oggi non è comunque ammissibile che sia pregiudicata la possibilità di accedere a tutti i servizi, come a coloro che vivono la “normalità”, a chi è costretto a convivere con l’handicap, di sognare le stesse possibilità di lavoro, di vivere allo stesso modo i rapporti con le persone e con le strade della città. La libertà di amare, lavorare, sognare, vivere è un diritto di ognuno di noi, un bene irrinunciabile che la città deve tutelare e responsabilmente garantire a tutti, indistintamente. La ricerca promossa dall’Associazione Prodigio indaga la realtà di Trento e le offre la possibilità di guardarsi allo specchio e restituire a se stessa un’immagine quanto più vera possibile per conoscersi e migliorarsi, per lavorare con impegno al superamento delle barriere architettoniche e culturali.

Il Presidente, Giuseppe Melchionna, fiero del forte lavoro di rete che ha permesso l’ottima realizzazione del progetto, nell’occasione della presentazione pubblica ha ringraziato della collaborazione che ha permesso un grande lavoro di squadra, nel coinvolgere: il dott. Mauro Marcantoni e la dott.ssa Sara Guelmi, realizzatori dell’indagine conoscitiva “L’handicap e il suo specchio”, ovvero della relazione finale; Unione Italiana Ciechi e Ipovedenti, Ente Nazionale per la Protezione e Assistenza dei Sordi, Cooperativa Sociale Is-Land che hanno collaborato con l’Associazione Prodigio alla realizzazione effettiva. Tanti i volontari, presenti in sala il 27 giugno, tanti che hanno collaborato, come le ragazze di Servizio Civile, tanti che hanno creduto e sostenuto l’iniziativa per un intero anno fino alla sua conclusione, in un successo garantito anche dall’interesse e dalla presenza delle autorità cittadine, che si sono sentite chiamare in causa dall’attualità e importanza delle tematiche.

In che cosa è consistito il progetto “Friendly City”

Il progetto è una sorta di “ricerca-azione”. Si configura infatti in due fasi e ha lo scopo di rilevare il livello di coerenza tra atteggiamenti e comportamenti effettivi che ognuno di noi ha nei confronti della disabilità. Molto spesso infatti, anche inconsciamente, crediamo di essere padroni della situazione o del nostro comportamento, delle nostre emozioni, senza fermarci a pensare che invece troppe volte i nostri pensieri non rispecchiano le nostre azioni. E questo accade particolarmente quando si tratta di gestire situazioni che ci imbarazzano, ci intimoriscono, ci mettono a disagio. È il caso dell’incontro con il diverso, con l’handicap, che non solo non conosciamo, ma con cui abbiamo difficoltà a rapportarci. Se si tratta poi di disabilità non immediatamente percepibili si creano oltre a ciò fraintendimenti, pregiudizi, reazioni fuori luogo (come nel caso della sordità o della disabilità psichica). Si è tentato quindi di fotografare il fenomeno puntando soprattutto alla possibilità di scorgere modalità per migliorare sia le relazioni tra le persone che con la città, che non agevola del tutto l’opera di integrazione, per intensificare l’impegno e proseguire con ciò che è stato già avviato.

I questionari

Sono stati somministrati quindi 153 questionari a impiegati di front-office per sondare:

  • L’accessibilità dei servizi per verificare l’attenzione posta alla presenza di barriere, al funzionamento ed alla gestione dei dispositivi atti al superamento di quest’ultima
  • Le relazioni con gli addetti ed il personale: per verificare la disponibilità, l’accoglienza e l’attenzione alla relazione oltre che alla tutela dei diritti di riservatezza, ove necessari.

Il questionario è composto da 27 domande, che sondano:

  • il livello di frequenza di incontro e contatto con i portatori di handicap, sia sul piano personale che lavorativo;
  • il livello di imbarazzo, paura, pena, indifferenza, simpatia, disagio… provato rispetto all’handicap;
  • il livello di possibilità di vivere o meno una vita “normale” ritenute possibili a seconda delle diverse disabilità;
  • il livello di discriminazione e di informazione sull’handicap;
  • il livello di intervento per migliorare le modalità di relazione.

L’intento di “Friendly City” è dunque quello di affrontare i problemi della vita dei diversamente abili in una prospettiva di miglioramento rispetto al percorso comunque compiuto nel corso di questi anni, nella produzione di norme sull’abbattimento delle barriere architettoniche e nella diffusione di informazioni sulle diverse abilità. Si ritiene tuttavia che la cultura dell’integrazione abbia la necessità di essere sostenuta e supportata per rimuovere diffidenze, imbarazzi ed ostacoli relazionali che spesso pregiudicano la qualità della vita dei disabili molto più di un ostacolo fisico.

Sono davvero importanti i rapporti relazionali per migliorare la vita dei diversamente abili, che se ostacolati da barriere architettoniche ancora presenti, devono poter contare tuttavia sull’accessibilità dell’incontro con gli altri, sulla disponibilità, sull’apertura.

Il progetto è teso a rilevare coerenza o discontinuità tra atteggiamenti e comportamenti reali tra le situazioni, per mettere in atto percorsi di sensibilizzazione e formazione specifica al fine di creare condizioni di più elevata qualità di vita e soprattutto di relazioni.

Gli attori coinvolti siamo dunque tutti noi cittadini, la comunità trentina e i suoi attori economici, politici, sociali, istituzionali. L’esito della ricerca può fare interrogare ognuno di noi sul proprio modo di vivere l’handicap, attraverso contatti che abbiamo sul lavoro ma anche nella vita familiare e di tutti i giorni.

Gli obiettivi possono in sintesi essere riassunti in:

  • sensibilizzare gli operatori coinvolti nel progetto e la cittadinanza alle tematiche relative alla disabilità ed alla qualità della vita, nella prospettiva della valorizzazione della relazione umana;
  • facilitare la partecipazione delle persone disabili ad ogni ambito e dimensione della vita della città e della collettività;
  • creare o migliorare le condizioni che consentano l’effettivo rispetto della dignità e del diritto di autonomia della persona disabile;
  • favorire la cultura della diversità come risorsa, anche attraverso specifici percorsi di formazione;
  • rendere la città più vivibile e accogliente per tutti.

Concretamente che cosa è emerso dal questionario di 27 domande somministrato a 153 operatori a diretto contatto con il pubblico, appartenenti a diverse tipologie di organizzazioni di servizio? E cosa dall’indagine partecipata, ovvero dalla seconda fase del progetto, la rilevazione sul campo, che ha visto impegnati venti portatori di handicap (sette non vedenti, quattro disabili motori, nove non udenti) che si sono resi disponibili a verificare concretamente l’accessibilità dei servizi e le relazioni con gli addetti di front office?

I risultati

Un terzo degli intervistati ammette di avere difficoltà nei rapporti con i portatori di handicap e le situazioni più frequenti di imbarazzo o di disagio si determinano nei confronti di disabilità di tipo psichico. La disabilità percepita come la più diffusa è quella fisico motoria, seguita da quella psichica, dalla cecità e dalla sordità. L’handicap psichico risulta sovrastimato rispetto alla realtà forse perché fa più paura. Tra i limiti legati ai diversi tipi di handicap quelli maggiori riguardano la vita lavorativa e, per i disabili motori, la possibilità di praticare sport. Per quanto riguarda la percezione soggettiva delle diverse disabilità, la maggior parte degli intervistati ha risposto di temere di più la limitazione psichica (60,8%). Al secondo posto, con valori dimezzati (34,6%), la disabilità visiva. Al terzo e al quarto posto si collocano invece la limitazione fisico-motoria (14%) e quella uditiva (8%). Il 71% degli intervistati ritiene che vi siano forme di discriminazione nei confronti dei portatori di handicap. In tutto questo gioca un ruolo decisivo anche il livello di informazione e di conoscenza che si ha del mondo dell’handicap. Quasi due terzi degli intervistati dichiarano di non essere sufficientemente informati e questo mette in luce un significativo vuoto da riempire con azioni adeguate e urgenti. I media e l’esperienza personale coprono in parte queste lacune e un ruolo positivo viene svolto anche dalle associazioni. Qualcosa in più invece potrebbe essere fatto dalle istituzioni e dalla scuola. Nella rilevazione sul campo si è inoltre avuto modo di rilevare la coerenza tra quanto emerso in linea teorica dai questionari e quanto si verifica nel vissuto del rapporto tra portatori di handicap ed erogatori di servizi. Nella nostra realtà locale sono stati compiuti molti passi avanti sul terreno di una maggiore integrazione dei disabili nella vita sociale e lavorativa e si è operato molto sul versante delle “barriere” architettoniche. Tuttavia, come dimostra la lettura delle analisi, i pregiudizi sono ancora duri a morire e gli ostacoli (da quelli fisici a quelli psicologici) sono ancora numerosi. Ad esempio, per i disabili motori i problemi nascono essenzialmente dalla presenza di scale, arredi non conformi, strettoie, porte inadeguate e sportelli bancomat alti. Per i sordi invece ciò che limita l’accesso sono barriere spesso non materiali come le chiamate sonore al proprio turno, gli avvisi vocali alla stazione e tutto quell’insieme di servizi a cui si accede esclusivamente per telefono. Per i ciechi, infine, gli elementi critici sono le porte rotanti, l’assenza di segnali acustici e di percorsi tattili, gli ostacoli non prevedibili, rumori assordanti. Sebbene nei rapporti prevalga la disponibilità nei confronti dei disabili, nella prima accoglienza sono state rilevate alcune difficoltà legate ad atteggiamenti specifici: tenere la comunicazione con l’accompagnatore anziché con il diretto interessato, scandire le parole e alzare il tono di voce anche quando non necessario, parlare con un non udente senza guardarlo in faccia e comunicare con l’addetto senza poterlo vedere, ad esempio perché lo sportello è troppo alto. Anche in questo caso, gioverebbe molto una più corretta informazione sulle caratteristiche di ciascuna disabilità e sul modo più opportuno per entrare in relazione con un disabile. Nella gestione dei problemi, come compilare un modulo o soccorrere nelle difficoltà di accesso, si è rivelata infine una generale disponibilità anche se accompagnata da una propensione a scaricare su altri i problemi.

Gli incontri tra i rappresentanti di Associazione Prodigio, ENS, UIC, Is-Land, che hanno scandito le fasi del progetto e messo in luce a cadenza regolare lo stato di avanzamento dei “lavori”, sono stati illuminanti proprio perché indice dell’importanza del comunicare. Differenti forme di disabilità, infatti, sedute tutte attorno allo stesso tavolo, per comunicare idee e confrontarsi. Persone affette da sordità, disabilità motoria e cecità hanno dialogato, si sono spiegate, si sono raccontate: una comunicazione a più voci, che supera barriere, che desidera fortemente l’incontro. Un modo anche questo per riflettere, concesso a tutti coloro che hanno reso possibile la realizzazione del progetto: tutti si sono messi in gioco in prima persona, riflettendo prima di tutto sulle proprie barriere e sui propri limiti…Da quanto è emerso dall’indagine partecipata, possiamo quindi dire che: da un lato si è confermata la diffusione dell’idea che il portatore di handicap trova difficoltoso condurre una vita “normale” a causa della sua menomazione, dall’altro che le persone “normali” sono a loro volta portatori di disagio nella relazione con il diversamente abile.

La città di Trento, attraverso il rapporto “L’handicap e il suo specchio”, risultato del progetto “Friendly City”, si è guardata allo specchio e ha risposto con sincerità ad una domanda: cosa faccio concretamente per migliorare l’accessibilità dei servizi e la qualità delle relazioni umane per i diversamente abili? Certo molto si è costruito, nel corso degli anni, ma la città deve essere un continuo cantiere: di conoscenza, di sensibilizzazione, di superamento di barriere…che spesso non solo fisicamente, ma anche attraverso imbarazzo e timore, minano la bellezza dell’incontro con gli altri…portatori di handicap o meno non ha importanza.

Infine…

Speriamo davvero che il lavoro svolto in questo anno possa diventare strumento per quanti, e coinvolti a queste problematiche lo siamo tutti, abbiano voglia di lavorare per crescere in sensibilità e consapevolezza, nel miglioramento dell’accessibilità delle nostre città e dei comportamenti nelle relazioni con l’handicap, nella vita quotidiana e lavorativa. Il lavoro finale proprio per questo, rimane a disposizione di quanti abbiano voglia di investire e spendersi per quello in cui l’Associazione Prodigio, con l’aiuto dei suoi tanti e preziosi collaboratori, ha creduto per un anno.

Perché non dobbiamo dimenticarci che l’accessibilità non è solo fisica ma mentale e del cuore.

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