Ogni anno in Italia muoiono 10.000 persone per malattie legate all’inquinamento urbano. A fornire questo dato allarmante è l’indagine Misa-2, pubblicata come supplemento della rivista Epidemiologia e Prevenzione. L’inquinamento atmosferico è definito dalla normativa italiana come “ogni modificazione della normale composizione chimica o dello stato fisico dell’aria dovuta alla presenza di una o più sostanze, in quantità e con caratteristiche tali da alterare la salubrità e da costituire pericolo per la salute pubblica” (D.P.R. 203/88).
I principali responsabili della formazione dello smog cittadino sono i veicoli a benzina e gli impianti di riscaldamento. Molti sono i provvedimenti anti-smog nelle varie città italiane. Le famose misure di restrizione del traffico urbano sono state ampiamente adottate quest’inverno dalla stessa città di Trento per far tornare lo smog sotto il livello di guardia. Proprio durante il periodo invernale il rischio di superare questo livello aumenta notevolmente: l’aria fredda e immobile tende a far ristagnare maggiormente nell’aria gli inquinanti, si usa più la macchina e gli impianti di riscaldamento rimangono accesi per lungo tempo. A Trento, si è arrivati fino al divieto assoluto di transitare con autoveicoli “Euro 0”, divieto in seguito revocato grazie all’arrivo della neve. Ma purtroppo le sostanze tossiche non scompaiono con una nevicata o due. Come ha recentemente affermato l’assessore provinciale all’ambiente Gilmozzi: «Siamo come in una stanza senza finestre. Non possiamo aprire niente, solo smettere di fumare o migliorare il nostro comportamento. Ma solo il vento può togliere questo smog».
In realtà il vento non elimina del tutto le polveri sottili (proprio perché “sottili” sono leggerissime), le trasporta, magari fino al Polo Nord. Non è per niente rincuorante sapere cosa esce dal tubo di scappamento di una comune auto a benzina: monossido di carbonio, biossido di azoto, piombo, ozono e benzene sono solo alcune delle sostanze tossiche sfornate dalle nostre auto. Ciò che rimane nell’aria sono le famose “polveri sottili” e il particolato atmosferico. Secondo numerosi studi epidemiologici esiste uno strettissimo rapporto tra inquinamento atmosferico e malattie respiratorie. In particolare lo studio internazionale APHEA2 ha studiato l’andamento del particolato (residuo della combustione di benzina e gasolio, ha effetti irritanti e cancerogeni per le vie respiratorie) in 29 città europee tra cui Milano, Torino e Roma nel periodo che va dal 1990 al 1997. Si è riscontrato un aumento dello 0,6% della mortalità per ogni incremento di particolato. Inoltre nelle città dove il tasso di questa sostanza è più alto aumentano anche i ricoveri per asma e per altre malattie respiratorie. Una recente analisi della situazione italiana (studio MISA) ha riscontrato un’associazione statisticamente significativa tra inquinamento atmosferico e incremento dei decessi per cause respiratorie e cardiovascolari. Il monossido di carbonio, infatti, limitando il trasporto d’ossigeno nel sangue, costringe il cuore ad un superlavoro costante. Il biossido d’azoto invece provoca forte irritazione polmonare, danni renali e celebrali, e, secondo una recente scoperta, squilibri del sistema immunitario. Le persone più a rischio sono i bambini e i ragazzi sotto i 15 anni. Il loro apparato respiratorio si sta ancora sviluppando, si ha quindi maggiore predisposizione all’asma o ad altre malattie respiratorie. Nella città di Roma un bambino su tre soffre di disturbi respiratori. Il 10,3% dei bambini di età compresa tra i 3 e i 10 anni presenta fischi durante la respirazione. Le polveri sottili e quindi inalabili sono il più pericoloso tra gli inquinanti dell’aria. Quando queste particelle sono respirate, riescono a superare tutte le difese naturali del sistema respiratorio fino ad arrivare nei polmoni. Riducono la capacità di difesa verso le infezioni e possono causare o aggravare attacchi d’asma e bronchiti. Da qualche anno con l’ausilio della tecnologia, il settore automobilistico cerca di “limitare” la portata inquinante delle nuove vetture. I primi tentativi in questo senso sono stati la marmitta catalitica e la benzina verde, quella cioè “senza piombo”. Peccato che le compagnie petrolifere usino al posto del piombo sostanze come il benzene definito da Roger Perry, capo del Sydney Melanoma Unit: “un agente altamente cancerogeno, causa di tumori ai polmoni, al fegato, ai reni, alla pelle e di leucemia”. Anche le marmitte catalitiche non sono così ecologiche come si pensa dato che tendono a usurarsi in fretta ed emettono gas tossici dopo circa 15.000 chilometri. Rinunciare all’auto è forse chiedere troppo ma limitarne l’uso a quello che è lo stretto necessario sarebbe una scelta ragionevole. Se poi qualche magnate cominciasse a investire nel settore dei carburanti naturali e non inquinanti sarebbe veramente da gridare al miracolo.
Avete mai notato che alcuni tra gli spot pubblicitari più frequenti riguardano le automobili? Negli ultimi anni è molto pubblicizzata la monovolume. Spesso viene associata all’imminente espansione di una famiglia. Così, se la moglie è in dolce attesa, il futuro papà si fionderà ad acquistare una macchina più capiente. Associare una nuova auto a una nuova vita può essere un buon stratagemma commerciale ma è molto lontano dalla realtà. Ci lamentiamo delle nostre estati sempre più “tropicali” come se non sapessimo che l’innalzamento delle temperature dipende dall’inquinamento. Se, a questo, aggiungiamo che la principale fonte d’inquinamento atmosferico è caratterizzata dai gas di scarico (monossido di carbonio, ecc.) delle nostre automobili capiamo anche quanto la pubblicità possa essere ingannevole. Ma, associare una nuova auto ad una nuova vita, non è del tutto sbagliato. Le cosiddette auto del futuro non sono quelle volanti o super veloci. Sono auto che promuovono la vita perché non inquinano. Ma attenzione, queste auto esistono già, almeno in una certa misura.
Qualcuno starà pensando alle macchine a idrogeno. Questa soluzione non è attuabile su larga scala: richiede ancora studi, ricerca e investimenti. L’idrogeno è altamente infiammabile, esplosivo e difficilmente stoccabile. Per immagazzinarne una quantità sufficiente in auto, occorrono particolari bombole che lo mantengano allo stato liquido a –250°. I principali sostituti della benzina e utilizzati già da qualche anno, sono i gas (metano e GPL). La loro diffusione, però, è frenata da gravi carenze nella rete di distribuzione e dalla scarsa “spinta” statale e privata: gli incentivi all’acquisto concessi dal 1998 erano di 413 euro per ogni auto nuova e 600 euro per trasformarne una circolante al massimo da un anno. Dal 2001 i fondi si sono esauriti. Il metano è uno dei carburanti più puliti fra quelli già utilizzabili. Quasi tutte le auto lo possono usare con piccole modifiche: per i diesel servirebbero interventi più massicci. Molte case produttrici vendono modelli alimentati a benzina-metano o solo a metano. Per quello che riguarda i motori diesel, un sostituto veramente ecologico è il “biodiesel”. È ricavabile in gran quantità da oli vegetali quali girasole, colza e soia, possiede proprietà chimico fisiche simili a quelle del gasolio. Attualmente, in Italia, se ne producono 137 milioni di litri l’anno (lo 0,3% del gasolio commercializzato). La legge italiana lo penalizza: imposte alte e divieto di vendita nelle normali stazioni di servizio! È pulito perché privo di zolfo e aromatici (secondo gli esperti abbatte il 90% del benzene contenuto nei fumi). Garantisce un buon livello di prestazioni. Se usato miscelato con il gasolio, non richiede nessuna particolare modifica al motore abituale. Usato puro invece richiede qualche piccola modifica. Le grandi distese di terreno necessario alle coltivazioni (1 ettaro per fare 1 tonnellata di biodiesel) lo rendono poco competitivo col petrolio e solo una politica di forte defiscalizzazione potrebbe incrementarne la produzione. Soprattutto nel settore dei trasporti pubblici si vede l’adozione di macchine elettriche. Però non è corretto definirle “ecologiche”. Non hanno emissioni dannose, ma il processo di produzione prima e di fornitura dell’energia di ricarica poi, hanno un costo in termini d’inquinamento. E poi il prezzo è ancora troppo alto per favorirne una diffusione massiccia. Il vero problema dell’auto elettrica sono le batterie. Oggi sono ancora utilizzate quelle al piombo, troppo pesanti e ingombranti per assicurare prestazioni e autonomia paragonabili al motore a scoppio. Eppure la tecnologia per costruire batterie più efficienti (al nichel o al litio) esiste ma chissà perché è usata solo per telefonini, videocamere e palmari! A questo punto sorge spontanea una domanda: perché tutti questi carburanti ecologici e qui ne ho citati solo alcuni, rimangono delle eccezioni, spesso penalizzate sul mercato? Secondo dati recenti (fonte Cives) in Italia, il settore dei trasporti su strada è responsabile di oltre il 90% delle emissioni di benzene, una sostanza altamente tossica. La sensazione è una sola. Si sta aspettando di esaurire tutto il petrolio ricavabile dal Pianeta prima di lanciare sul mercato qualcosa di ecologico (che sarebbe già possibile). Nel frattempo, si continua ad inquinare perché, per adesso, rende bene.