Tutti insieme come una famiglia

Data: 01/08/19

Rivista: agosto 2019

Marco, puoi raccontarci l’esperienza vissuta in questi anni nell’associazione?

Il progetto Mai Più Soli di FM, nato nel 2017,  risponde al bisogno di strutture specifiche per l’accoglienza di minori stranieri non accompagnati, così da evitare che vengano ospitati nelle grandi strutture insieme ai ragazzi maggiorenni, spesso calamite per situazioni critiche o comunque influenze potenzialmente negative.

Il tutto è organizzato in modo da favorire l’autonomia e l’autogestione dell’alloggio da parte dei giovani, che cucinano e fanno la spesa indipendentemente, mentre noi supervisioniamo, monitoriamo e aiutiamo a risolvere eventuali problemi.

La mia esperienza è stata molto positiva, ho sentito la voglia di vivere dei migranti che lottano per costruirsi un futuro, ognuno a modo suo, in base all’esperienza, alla conoscenza della lingua e all’attitudine personale.

C’e chi entra in sintonia immediatamente e chi invece deve essere aiutato per trovarla, cerchiamo di creare una rete sociale di amici e che aiuti anche nella ricerca del lavoro, per alcuni è più difficile per il loro carattere, la voglia o la timidezza.

Questo lavoro l’ho trovato bello e creativo, il fatto che lavoriamo in equipe ci aiuta a gestire il tutto al meglio, anche con grande fatica, ma ne vale la pena, per le nuove esperienze vissute sia da noi che dai ragazzi.

 

Quanti ragazzi sono stati gestiti e in quanti hanno lavorato al progetto?

Al progetto hanno lavorato 6 persone, per poter sempre coprire le 24 ore di presenza, aiutare nell’accompagnamento, nella documentazione, nelle commissioni e nelle attività sul territorio.

Per quel che riguarda i ragazzi abbiamo 22 posti nella struttura, una volta compiuti i 18 anni restano ancora 2 mesi e poi la lasciano per entrare nel mondo del lavoro in totale indipendenza. In questi 2 anni abbiamo ospitato 54 ragazzi nella rotazione normale, ma abbiamo avuto anche 20 ragazzi che facevano volontariato e 2 ragazzi del servizio civile ad aiutarci, i quali sono parte integrate del progetto.

 

Quali esperienze positive hanno potuto sperimentare i ragazzi?

Dai loro racconti, tante! Lo scorso mese abbiamo proposto un concorso letterario, e molti ragazzi hanno proposto un tema, chi in italiano, chi in inglese, chi in albanese e chi facendosi aiutare da qualche operatrice. La maggior parte dei temi erano positivi. Le esperienze che descrivevano erano, ad esempio, di quando dimenticavano dei documenti a scuola e noi aiutavamo a riaverli, oppure le varie attività delle feste di quartiere, il coinvolgimento in progetti cittadini come i laboratori teatrali, tra cui il teatro degli oppressi, che è servito ai giovani per potersi esprimere e raccontare le loro storie e i loro viaggi in vari modi, non solo con la voce, importante, soprattutto per i legami col territorio, anche il progetto trampoli che i ragazzi vedevano come un modo per cambiare la propria opinione sulla gente, iniziativa per la quale venivano coinvolte anche altre strutture.

 

Se la struttura verrà chiusa, dove andranno i ragazzi?

I ragazzi ancora minorenni andranno a vivere allo SPRAR del Trentino o nello SPRAR di altre regioni. Essi sono sistemi di accoglienza dei minori previsti dalla legge, che quindi non possono essere chiusi, mentre la nostra è una CAS, cioè una struttura di accoglienza speciale e quindi secondaria. Verrà chiusa a causa delle nuove politiche, secondo le quali, non essendoci più sbarchi, la nostra attività diventerebbe superflua.

Dei ragazzi arrivati ad avere 18 anni, alcuni li aiuteremo ad uscire e diventare autonomi, a cercare un lavoro e una nuova casa, anche se si tratta di un compito assai difficile. Altri verranno portati nelle strutture per maggiorenni.

 

Di che nazionalità sono questi ragazzi?

Provengono soprattutto da Africa e Asia. Alcuni, da Albania e Tunisia, sono arrivati in questi mesi, in molti vengono da Senegal, Mali, Nigeria, ma anche dall’Est, come Pakistan e India, quindi in tutto si tratta di una quindicina di nazionalità diverse.

Ognuno ha la propria storia e in tanti restano poco, proprio perché hanno già ben precisi i loro desideri e i loro progetti di vita. 

Abbiamo ascoltato molte storie di guerra, di povertà e sfruttamento, molti di questi giovani sono fuggiti in Europa per cercare fortuna.

 

Che attività avete svolto?

Le attività variavano a seconda dell’età e di ciò che piaceva ai ragazzi, abbiamo fatto diversi progetti sportivi come cricket, calcio e pallavolo.

Un caso particolare è quello del progetto trampoli, all’inizio nato spontaneo sul territorio e poi sviluppatosi in teatrampoli, che ha visto uniti italiani e migranti. Svariati anche gli eventi organizzati con altre associazioni, come ad esempio il murales realizzato in via Gramsci con la collaborazione dell’associazione Anfass, e del polo sociale, il teatro degli oppressi ogni 15 giorni, e vari laboratori per imparare sia a scrivere che a parlare in italiano, oltre all’aiuto nello svolgimento dei compiti. Sono stati organizzati anche vari giochi di ruolo per aiutare i ragazzi a parlare dei propri percorsi di vita.

 

“Un ragazzo ci ha confidato che questo è un punto di riferimento per loro, sia per i giovani ancora ospitati qui, sia per coloro che hanno ormai finito il loro percorso all’interno del progetto”.

 

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