Ucciso 76enne disabile: giustizia è fatta?

Data: 01/02/06

Rivista: febbraio 2006

Un minuto dopo la mezzanotte di martedì 17 gennaio 2006, le 9.01 in Italia, un’iniezione letale nella ex camera a gas del carcere di San Quintino (California) ha posto fine all’esistenza di Clarence Ray Allen, cieco, diabetico, cardiopatico e in sedia a rotelle. Aveva compiuto 76 anni il giorno prima. Indiano nativo d’America della tribù dei Chaktow, il suo vero nome era “Orso che corre”. Aveva iniziato la sua carriera al di fuori della legge come ladro per diventare poi assassino ed infine mandante di un triplice omicidio. Riconosciuto colpevole, era stato condannato nel ‘83 alla pena capitale ma, tra richieste di grazia, ricorsi e rinvii all’ultimo minuto, era riuscito a schivare l’esecuzione fino a gennaio 2006 allorché la sua ultima istanza di sospensione fu respinta.

I suoi avvocati avevano allora tentato la via della Corte Suprema degli Stati Uniti denunciando l’esecuzione come una punizione “crudele e inusuale”, considerata l’età del condannato, i 23 anni già trascorsi in cella e le sue condizioni fisiche. I giudici avevano però respinto il ricorso: l’età e lo stato di salute del condannato non sono un motivo per evitare l’esecuzione. Inoltre Allen aveva commesso i suoi reati a 50 anni, quindi in età matura. Per la Corte Suprema, infatti, è vietata soltanto la condanna a morte di minorati mentali o di soggetti minorenni al momento del delitto. Allen, dunque, condizioni intellettive normali e maggiorenne fin troppo, rientrava pienamente nei “termini di legge” legali per espiare fin in fondo la condanna: dunque a morte!

Senza dubbio “Orso che corre” non era quel che si dice uno stinco di santo, forse meritava la pena di morte, forse no, ognuno la pensa in proposito secondo la propria sensibilità! Il punto che vogliamo mettere in luce qui, però, è un altro! Il fatto inammissibile è l’aver consegnato al boia un uomo di 76 anni praticamente non autosufficiente, incapace di badare se stesso ed ammalato di un devastante diabete. Un uomo che, ormai senza una prospettiva di vita, privo di supporto familiare e solo, sentiva già per conto suo vicina la fine dei suoi giorni, fine che forse egli stesso si augurava per liberarsi dalle opprimenti condizioni fisiche.

Non c’è che dire, una straordinaria dimostrazione di malvagità! Impossibile, poi, non porsi domande su come gli zelanti becchini della California abbiano organizzato l’esecuzione: per trasferirlo dalla cella alla stanza della morte avranno chiamato un’ambulanza o l’avranno fatto accompagnare da un cane per ciechi? Per farlo salire sul lettino, gli avranno predisposto uno scivolo con l’8% di pendenza? Per evitare che il cuore gli “schiattasse” prima dell’iniezione, gli avranno somministrato un paio di cardiotonici? Per consentire alla sua mente offuscata dal diabete di rendersi conto in pieno del sopraggiungere della morte, lo avranno rimpinzato di insulina?

Ci dà poi un’idea di come sia morto il 76enne “Orso che corre”, il testimone di un’analoga esecuzione: in un’atmosfera di grande angoscia, gli è stato quindi iniettato il cocktail letale. [..] Poi la lunga, interminabile agonia: i respiri, all’inizio affannati, i suoi movimenti incontrollati, trattenuti a stento dalle persone che gli stavano vicino e infine un ansimare sempre più lento, fino al silenzio.

Quanta disumanità contro Allen: 23 anni dietro le sbarre non erano già di per se stessi una dura condanna? Vent’anni di richieste di grazia alternati ad altrettanti di rinvii dell’esecuzione, fino all’ultimo inappellabile, non sono forse stati una tortura malvagia? L’essersi ridotto in carcere ad un “rottame umano” non era una condizione sufficiente per fargli finire i suoi giorni, se non fuori dal penitenziario, almeno nell’infermeria?

Se, come pare, la condanna a morte è un rito pubblico mediante cui i “cittadini rispettosi delle leggi” si vendicano di chi ha messo in pericolo l’ordine costituito e, contemporaneamente, se ne riconfermano l’un l’altro il rispetto, quale garanzia di sicurezza potrà mai darci l’omicidio di un vecchio disabile (o, in senso lato, di qualsiasi essere umano!)?

Franz Kafka descrive nel racconto La colonia penale le sadiche macchinazioni escogitate da un militare per eseguire la condanna a morte di un detenuto. Allo scopo mette a punto una macchina che, prima di finire il reo, gli scrive sulla schiena, con il suo proprio sangue, la sentenza di condanna. Purtroppo (!), al momento dell’esecuzione, la macchina si inceppa e finisce per stritolare il suo inventore allorché, per riavviarla, vi si infila dentro. Ecco, se una cosa del genere fosse successa ai giudici della Corte Suprema, a noi sarebbe scappato da ridere, proprio come in un film di Fantozzi!

PS: Allen, alias “Orso che corre” (nella fotro sinistra), non è stato il più vecchio americano messo morte finora. Lo scorso dicembre era finito sul lettino un certo John Nixon, giustiziato alle 10,16 di giovedì 15 dicembre nel carcere di Parchman, Missisipi, dopo 20 anni di braccio della morte. Aveva 77 anni (settantasette). Non è dato sapere se ce l’abbia fatta da solo a mettersi a disposizione del boia…

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