Un amore… mortale

Data: 01/10/12

Rivista: ottobre 2012

Ha suscitato molto scalpore l’intervista ad una Contessa comparsa sul quotidiano locale L’Adige del 2 settembre scorso, la quale descriveva con ardore il suo personale rapporto con la caccia, descrivendolo come un atto d’amore.

A molti sarà sembrato normale, avrà riportato la mente a suggestioni di altri tempi, a cene di famiglia a base di ottima cacciagione, il tutto condito da quell’istinto che contraddistingue l’essere umano da altri predatori e cioè cacciare solo per il gusto di farlo e non per esigenze di sopravvivenza.

A molte altre persone invece è sembrata un’affermazione del tutto anacronistica e soprattutto diseducativa. Per essere più precisi ci si riferisce ad un passo dell’intervista in cui si chiede se esiste una contraddizione nel dire che si prova affetto per gli animali sparandogli e uccidendogli.

La risposta lascia a dir poco sorpresi:”Un antico filosofo diceva: se tu uccidi ciò che ami, e ami ciò che uccidi, non domandarti il perché: questa è la caccia”. Piacerebbe capire chi fosse il filosofo per comprendere al meglio il suo messaggio. Troppo comodo contestualizzarlo a proprio favore e in ogni caso si potrebbe rispondere con altra citazione, questa volta di Leonardo da Vinci:” Verrà un tempo in cui considereremo l’uccisione di un animale con lo stesso biasimo con cui consideriamo oggi quella di un uomo”.

La caccia oggi è del tutto fuori misura, e la testimonianza più recente si riferisce alla notizia che in Alto Adige fino a poche settimane fa vigeva una deroga per l’abbattimento delle marmotte considerate in soprannumero, che ne avrebbe permesso un abbattimento sconsiderato. Per fortuna il Tribunale Regionale di Giustizia Amministrativa, Sezione autonoma per la Provincia di Bolzano, su ricorso della Lav (Lega Anti Vivisezione) ha sospeso il decreto assessorile ed il piano di abbattimento con cui era stata autorizzata, per tutto il mese di settembre, la caccia a 1227 piccoli mammiferi.

Pare che la cultura della caccia sia indissolubilmente legata alla nostra tradizione, ma sempre più spesso dietro a questa scusa, si nascondono grandi interessi commerciali e propagandistici. In una società occidentale che sta attraversando un periodo di relativa pace, una delle grandi preoccupazioni e aghi della bilancia politica sono rappresentati dalle concessioni dei periodi di caccia che ogni anno lasciano col fiato sospeso molti animali selvatici.

Una vera e propria cultura della morte, per alcuni e folclore per altri, che in ogni caso alimenta l’industria degli armamenti e che propone ogni anno nuove, efficienti e leggere armi. Uno sport, come alcuni lo definiscono, che ha notevoli ricadute sul piano ambientale e sociale. Non solo un danno diretto quindi alle specie faunistiche che oltre ad avere sempre meno spazio a disposizione, vista la vorace urbanizzazione del nostro territorio, devono pure vedersela con le canne dei fucili. Ma anche un danno indiretto a tutta la collettività che trova ragion d’essere nelle minaccia di inquinamento da piombo protratto negli anni passati. Ricordiamo che l’uso dei pallini è dal 2007 proibito grazie all’adesione della Repubblica italiana all’Accordo sulla conservazione degli uccelli acquatici migratori dell’Africa – Eurasia, fatto a L’Aja il 15 agosto 1996; è recepito con L. 6 febbraio 2006, n. 66. Il piombo è infatti uno dei quattro metalli più tossici. Causa danni ai reni, al sangue, al sistema riproduttivo e, soprattutto, al sistema nervoso centrale. Il piombo risulta dannoso anche se si è esposti a bassi livelli ma in modo costante nel tempo. Il pericolo aumenta se si parla di bambini o addirittura feti (il piombo riesce a penetrare la placenta) poiché il loro sistema nervoso è ancora in fase di costituzione ed è quindi particolarmente sensibile agli effetti nocivi di questo metallo, che possono provocare danni alla crescita e allo sviluppo neurocognitivo già a concentrazioni inferiori a 10 g/dL.

Il danno resta, questo è certo, e anche se adesso il materiale usato per i pallini è l’acciaio, poco cambia, si continuerà comunque a sparare. La cultura delle armi si adatterà pure alle circostanze e alle istanze ambientali, ma infondo rimane tale e quale.

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