“Vivo la mia sessualità come un dono” e “Desidero una casa mia, uno spazio che mi dia libertà ed indipendenza”. Affermazioni di un qualsiasi giovane del nuovo millennio. Un po’ graffianti, se vogliamo, o ribelli forse, ma esse descrivono abbastanza bene ciò che noi ragazzi di oggi stiamo cercando: autonomia e appagamento. Sono dichiarazioni che ho raccolto intervistando due ragazzi gay.
Quando prendono confidenza rivelano il loro doppio mondo, t’immettono in una realtà diversa. La loro vita prima del fatidico coming out, cioè della dichiarazione ufficiale al mondo della propria omosessualità, è fitta di momenti in cui si palesava la loro diversità, ma che hanno nascosto a tutti, a sé stessi per primi. Emergono gli alti e bassi della loro coscienza che ha lottato fino all’ultimo per non ammettere l’evidente, e la sua inevitabile sconfitta. Chi è dichiarato, cioè chi ha avuto la forza, il coraggio o forse l’ardire di confessarlo, generalmente vive in modo più naturale e sereno la propria “diversità”.
Cammino con uno di loro per un vicolo nella prima periferia di Trento, nell’oscurità della notte non passiamo inosservati. Le ragazze ci squadrano e io, tra me e me, sorrido. Mi racconta la sua storia: è stato difficile per lui dover ammettere a sé stesso la propria omosessualità. Dover portare un segreto dentro per troppo tempo. Dichiarare la cosa alla sua famiglia. Il dolore e la successiva comprensione della madre. “Forse quello che ha fatto più fatica ad accettarmi è stato mio fratello – dice. – Col tempo però abbiamo acquisito un rapporto che non avevamo mai avuto”.
Altra storia per l’altro ragazzo che ho avvicinato. È stato beccato a causa di alcune mail equivoche. I genitori dopo qualche tempo si sono separati: “Non è stato a causa della mia omosessualità, – dice. – Semplicemente la loro situazione coniugale non poteva più andare avanti. Ma mi sono sentito tremendamente in colpa”. La mamma sa che gli piacciono sia i ragazzi che le ragazze e dice di non aver problemi, “anche se, – afferma sconsolato, – quando alla TV vede due uomini che si baciano dice «che schifo!»“.
Sono due realtà difficili da mettere a confronto, vite di ragazzi cresciuti in ambienti diversi, con idee diverse, ambizioni diverse. Li accomuna la loro preferenza sessuale, che fa sì che le loro vite siano incanalate in binari per alcuni aspetti paralleli, per altri divergenti.
Continuo la mia intervista allargando il discorso al mondo omossessuale visto in modo più generale. Il primo ne sa al riguardo: “Fino a quattro anni fa facevo vita d’associazione. Prendevo e andavo a Milano, dicendo ai miei che partivo per lavoro. Invece ero con gli amici nei locali per gay. Ne ho viste un po’ di tutti i colori”. L’altro invece ha una brutta opinione del mondo associazionistico gay: “Facevo parte di un gruppo. Organizzavano cene e incontri settimanali. Si stava insieme e ci divertivamo. Quando questo gruppo è diventato un’associazione, per questioni sostanzialmente economiche, ha perso la maggior parte dei componenti. Credo che, soprattutto in città come Trento, ci sia tanto pregiudizio: prima di entrare in una sala con fuori il cartello «riunione associazione gay» una persona deve avere un fegato così!”.
“Tra gli omosessuali ci sono modi diversi di essere gay!” mi dice il primo. “Alcuni sembrano etero: desiderano un compagno fisso, sono tranquilli. Altri scadono nel volgare, devono farsi vedere, emergere: rincorrono il numero e provano soddisfazione nell’avere un uomo sposato. Altri ancora sono dei veri e propri maniaci di tutto ciò che riguarda il mondo gay: sono gli orgogliosi del gay pride”.
Chiedo loro la cosa più bella e quella più brutta della loro vita da gay. Uno mi dice: La cosa più brutta è la difficoltà ad innamorarmi perché non trovo la persona giusta, che vive di e per me. La cosa più bella invece è l’empatia, il fatto di riuscire a percepire il dolore delle persone senza che me lo dicano. Credo di essere così sensibile perché nella mia infanzia ho sofferto molto”. L’esperienza dell’altro è diversa: “La cosa più bella per me ora è potermi innamorare senza farmi problemi. Quella più brutta è non poter vivere il mio rapporto d’amore con la mia famiglia.
Parlando con loro mi rendo conto che forse Trento può essere una città che sta stretta a chi si manifesta così apertamente diverso. “La mentalità è chiusa: non c’è un giro o un locale gay. Per andare in discoteca si deve scendere a Verona, – dice uno. – Per assurdo Bolzano è più aperta. Il modo più facile di trovare persone omosessuali, per quel che mi riguarda, rimane la chat”. L’altro non è della stessa opinione: “Io a Trento ci vivo bene. L’unica pecca è il fatto di non avere ambienti, locali per gay. Questo fatto mi costringe a dover spostarmi, quando con gli amici si vuole passare la nottata a ballare. Non pretendo l’accettazione, so che è un passo ulteriore, a me basta star bene con me stesso”.
Se uno dei due ha trovato col tempo il proprio equilibrio e la soddisfazione, anche restando solo e aspettando l’amore vero senza affannarsi tanto, l’altro sta cercando un riscatto: Sono stato con un ragazzo per tre anni. Ma le cose nell’ultimo periodo non andavano più tanto bene: eravamo esausti della clandestinità, del non poter vivere la nostra storia con le nostre famiglie. Non potevamo stare insieme per le feste, pranzare con i genitori, fare le cose come tutte le coppie. Quando mi ha lasciato con un sms sono entrato in crisi. Per dieci mesi mi sentivo bloccato, incapace di amare. Da poco è iniziata una nuova storia. Sono contento e non ho problemi a dire che sono innamorato grazie alla chat.
Ci sono individui che vivono nel disagio la cui diversità è nascosta. Essi celano il loro modo di vivere, presentando una facciata di serenità che non darebbe motivo di dubitare. In questa categoria potremmo inserire i malati mentali lievi, le persone affette da disturbi dell’alimentazione, gli autolesionisti.
Anche gli omosessuali (per fortuna non tutti) rientrano in questo insieme di riferimento. Come ci ha detto Paola Dall’Orto, presidente dell’AGeDO (Associazioni Genitori di Omosessuali): “Le persone omosessuali sono soggetti di disagio, perché nella fase adolescenziale, dove prepotenti appaiono i segnali della sessualità, chi si scopre «diverso» non riesce ad accettare di venire additato come essere negativo, perverso, immorale, malato, spesso addirittura pedofilo”. Poi prosegue: “La famiglia non riesce ad accettarli, spesso li allontana da casa”. E sottolinea che “l’importante è non considerare l’omosessualità come una malattia: il disagio che molti – non tutti certo – soffrono è legato solo alla non accettazione sociale che viene insegnata e quindi spesso introiettata da loro stessi”.
Tolti coloro che vivono la loro inclinazione sessuale in tutta tranquillità e trasparenza, che sembrerebbero essere in numero sempre crescente, sono ancora molti quelli costretti (o che preferiscono) celare questo aspetto della propria personalità.
Non è condannabile il non sapere se un interlocutore occasionale, quale l’impiegato di un ufficio pubblico o la commessa del supermercato, sia etero oppure omosessuale.
Varrebbe la pena però aprire una parentesi sui pregiudizi: quante volte ci siamo trovati nella situazione di etichettare una persona come gay, sebbene non le si sia mai rivolta la parola? Gli epiteti che siamo in grado di affibbiare ai presunti trasgressori delle famigerate “leggi di natura” sono così colorati e pittoreschi che, dopo la prima fiammata d’orgoglio, anche l’oggetto dell’ingiuria li trova al limite dello spiritoso. Anzi alcuni omosessuali usano questi nomignoli tra di loro, quasi un modo per demonizzare la paura del prossimo, e la propria, verso una società che è ancora, purtroppo, incapace di accoglierli senza riserbo.
La bibliografia sul tema è molto vasta. Le tendenze sessuali sono state studiate sotto i più svariati punti di vista: sociologico, psicologico, morale, filosofico… Basta, però, incontrarli, senza accorgerti che sono “diversi”, se non lo dichiarano, appena dopo il nome di battesimo, per entrare in un mondo parallelo.
Persone solitamente disponibili e piacevoli, quando raccontano le loro storie, si rimane a bocca aperta.