Un “test” per scoprire se è ancora così

Data: 01/10/00

Rivista: ottobre 2000

La maggior parte delle persone considera le barriere architettoniche l’unico ostacolo che impedisce ad un disabile funzionale di affrontare la propria quotidianità alla pari con gli altri e ad esse attribuisce la causa della sua ridotta presenza nella vita pubblica.

Basti andare con la mente allo spazio dedicato dai media locali in agosto, all’inaugurazione di un (uno!) autobus per 5 fermate predisposto per il trasporto di «non – deambulanti» (orrenda terminologia burocratica: e perché non utilizzare dei «non – bipedi»?) e alla marcia di protesta denominata “Vergogna day”: la prima illustrava una prima soluzione al problema del trasporto disabili, la seconda contestava la lentezza con cui si applica la Legge del ’91 per il superamento delle barriere.

In effetti, la barriera architettonica, condiziona pesantemente gran parte dei tentativi di inserimento di un handicappato fisico poiché essa è gli scalini che gli impediscono di entrare in casa di un amico, è un ascensore stretto che lo costringe, per una firma, ad attendere in piazzale un impiegato di un ufficio pubblico, è cercare la disponibilità di qualcuno per farsi accompagnare in un negozio di un centro commerciale perché gli autobus sono ancora inaccessibili.

Difficoltà ben note per il superamento delle quali i passi in avanti siano stati tanti, altrettanti ne sono in cantiere ed ancor di più sono da pensare.

In realtà però la barriera architettonica non è la più dura da superare. Ce ne sono altre infatti erette in modo inconsapevole dai normali contro il disabile, come contro ogni altro diverso, che in concreto sono ben più condizionanti per lui rispetto al suo scontro personale quotidiano con gli ostacoli fisici.

Si tratta delle barriere mentali che inconsapevolmente ed automaticamente spesso orientano le nostre azioni anche se, nella nostra consapevolezza, non esiteremmo a condannarle come inaccettabili.

Solitamente un’anomalia fisica o mentale dà origine, come reazione, a svariati atteggiamenti, sia nell’individuo handicappato, sia in coloro che gli stanno accanto.

Gli esseri umani, come tutti gli organismi animali, non sembrano a proprio agio che con i propri simili, con i quali tendono infatti a aggregarsi in gruppi più o meno compatti e chiusi. Pertanto le persone “diverse”, si tratti del classico matto, del drogato, dell’appartenente ad una minoranza o dell’handicappato, costituiscono generalmente oggetto di curiosità, di osservazione o di difesa, cioè atteggiamenti che implicano una posizione di estraneità, di non partecipazione, di stare a guardare.

In particolare le infermità, siano di nascita o acquisite, provocano reazioni i cui moventi sono oscuri ma è un dato di fatto che osservare in un altro una minorazione che potrebbe colpire chiunque provoca timore, suscita reazioni di difesa, delle quali la fuga, il rifiuto e il non immischiarsi sono le più elementari.

Si consolida così quell’invisibile muro di barriere mentali che, accanto a quelle architettoniche, rendono difficile ai disabili partecipare alla vita sociale all’altezza delle proprie capacità.

Numerosi autori hanno affrontato questo tema identificandone una serie che, assieme a quelle architettoniche, ostacolano uno svantaggiato nella rincorsa alla normalità.

Tra i lavori più interessanti un libro, ormai datato 1977, ma ancora valido perché ci permette oggi, ad inizio due mila e dopo tante rivoluzioni reali e presunte, di fare un confronto con la realtà di 23 anni fa e di misurare eventuali progressi. L’autrice, Palazzini, aveva indicato allora una serie di barriere con le quali gli altri, i normali, fin dai tempi più antichi, difendono la propria sicurezza.

Oggi proviamo a chiederci se esse resistono ancora intatte, se sono state solo scalfite, oppure superate o, perlomeno, stanno per esserlo.

Al lettore l’ardua sentenza!

1 – La barriera dell’ignoranza più o meno consapevole e colpevole per cui ancora oggi si teme il “contagio” e si crea attorno al disabile un’atmosfera di sospetto e di diffidenza che avvelenano i rapporti e lo isolano spaventosamente.

2 – La barriera dell’approccio superficiale e del disimpegno sociale per non essere coinvolti nel problema perché è problema di altri, per cui si assiste impassibili o si vive solo a livello emotivo certe gravi offese alla dignità della persona handicappata, oppure si strumentalizza l’esperienza esistenziale degli handicappati più sfortunati, allo scopo di scaricare tensioni e frustrazioni personali e sociali, banalizzando il proprio impegno a livello di dibattiti sterili, di slogan, di assemblee di piccolo gruppo chiuso ed aggressivo.

3 – La barriera dell’opacità dei lavori sul piano etico, per cui si cercano risposte in un sistema assistenziale e di sicurezza sociale razionalizzato che parte dal presupposto del “rendere il danno meno dannoso possibile” e non invece dall’affermazione che ogni individuo, anche handicappato, ha la sua motivazione di esistere e deve quindi vedere assicurati i suoi diritti di esprimere tutto ciò che può e dare alla società tutto quello di cui è capace.

4 – Ci sono poi le barriere psicologiche che derivano da una inconscia cecità di fronte ai bisogni degli altri e dal desiderio, più che umano, di non soffrire.

Tale barriera viene a crearsi in una duplice direzione: sia da parte dei cosiddetti “normali” nei confronti dell’handicapato, come da parte del portatore di handicap e dei suoi familiari, dal momento che quasi sempre, specie in presenza di handicap gravi, la famiglia diviene a sua volta “handicappata”.

L’isolamento, volontario o meno, in cui molti disabili, specie se diventati tali nel corso della vita a seguito di qualche trauma, incidente o malattia, diviene una barriera che richiede una sincera disponibilità di quanti stanno attorno per riallacciare i rapporti e le dinamiche precedenti la situazione di handicap, ma richiedono anche l’eliminazione di quanto può far sentire l’individuo in situazione di svantaggio nella società.

5 – Tra gli aspetti condizionanti più negativi, ad esempio, le barriere architettoniche, che possono provocare gravi barriere psicologiche: ascensori mancanti o troppo stretti per chi usa la sedia a rotelle, gradini per accedere agli uffici pubblici o a luoghi comuni di ritrovo (bar, cinema, stadi), marciapiedi troppo alti, passaggi pedonali impossibili da attraversare per un invalido ed altro ancora, diventano un grave impedimento per la vita di relazione e la partecipazione alla vita sociale del disabile, mettendolo sempre più nella situazione di scegliere l’isolamento invece che l’integrazione in una società che sembra fatta a misura delle persone sane ed efficienti.

Un meccanismo analogo lo si trova spesso sul posto di lavoro, dove lo spazio per l’handicap non esiste, né in senso psicologico né in senso fisico, se non come realtà comune di persone alienate (per usare un termine molto in voga alla fine degli anni ’70) dal lavoro che svolgono.

Qui il discorso si farebbe ampio ed interessante, soprattutto per alcune riflessioni sul lavoro, dove l’adattamento non del handicappato al lavoro, ma del lavoro al disabile porterebbe una modifica dei sistemi produttivi più a misura d’uomo, per cui la presenza del handicappato potrebbe costituire una fonte di arricchimento per tutto il mondo del lavoro.

Si tratta evidentemente di un discorso con forti connotazioni politiche, non idoneo ad essere affrontato in questa sede.

6 – Esiste infine la barriera delle carenze legislative che tocca tutti i punti già esposti dall’autrice, a sua volta prodotto e causa dell’aggravarsi di tutte quelle situazioni che tendono a perpetuare lo svantaggio della persona handicappata.

Questa barriera potrebbe sembrare come la più semplice da superare, in fin dei conti basterebbe che il legislatore si decidesse a “fare” queste benedette leggi ed a imporne il rispetto ma, come si deduce dalla continua necessità di Conferenze Nazionali, incontri, marce di protesta, ecc. non lo fa. Perché?

Allora? Qualche obiezione? Qualcuno pensa di poter parlare di tempi che furono, di archeologia della mente? Qualcun altro ricorda invece di aver avvertito non più tardi di ieri, il peso di una di queste barriere?

Certo nel tirar fuori una risposta ognuno farà conto sulla propria esperienza ed è inutile tentar di convincere i pessimisti a cambiar opinione, ad essere meno negativi e, al contrario, gli ottimisti a non farsi troppe illusioni, a star attenti alle cantonate: ognuno sarà condizionato dal suo carattere e dal suo vissuto personale.

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