Autostima, autonomia, coordinazione dei movimenti, sono solo alcuni dei risultati che si possono ottenere con una “buona dose di cavallo”. Ma può un animale far crescere la presa di coscienza e la capacità di relazione di un disabile? Può davvero aiutarlo ad agire ed interagire? Sì. Tutto ciò è possibile con una terapia nata già ad inizio ‘700 che, attraverso la pratica ludico-sportiva a cavallo, stimola i disabili dal punto di vista motorio, psichico, intellettivo e sociale: la riabilitazione equestre.
L’elemento fondamentale è, appunto, il cavallo: la sua sensibilità e la sua personalità creano una relazione ricca e complessa con il disabile, soggetto attivo che già montando in sella stabilisce un’interazione e un dialogo con l’animale. L’ambiente stesso di questa terapia triangolare, disabile-cavallo-terapista, è fonte di stimoli nuovi: la natura, gli odori e gli animali di un maneggio portano una gratificazione immediata e la presenza del cavallo attiva, affettiva, calda, imponente suscita emozioni intense che vanno dalla gioia alla paura, dalla serenità alla rabbia. Si crea così una forte spinta motivazionale, premiata dai risultati concreti ottenibili: riuscire a condurre il cavallo, a trottare e galoppare, con il forte senso di libertà, di autonomia e di padronanza di sé che ne derivano.
Aspetti fondamentali di questa terapia sono il contatto fisico diretto con l’animale, la comunicazione verbale e non (il cavallo ubbidisce a ordini verbali o a movimenti del corpo del cavaliere); l’aumento dell’autostima e della capacità di autogestirsi (la cura dell’animale comporta molte attenzioni sia nel montarlo che nella cura quotidiana); i miglioramenti dal punto di vista motorio (sia per le operazioni di pulizia sia nella monta, che stimola l’equilibrio e la coordinazione) e della concezione spazio-temporale (esecuzione di figure di volteggio e di diverse andature).
Naturalmente tutto il processo dev’essere seguito da un medico specialista in quanto non sono il cavallo e l’attività equestre ad essere riabilitative, ma il percorso personalizzato nel quale vengono inseriti.
La riabilitazione non comprende solo il momento a cavallo, ma anche tutte quelle attività, come la cura dell’animale o la sellatura, che sono un primo passo verso la capacità di autogestirsi. La terapia prevede quattro fasi: ippoterapia, riabilitazione equestre, pre-sport ed infine sport. L’ippoterapia si applica soprattutto a soggetti con gravi forme di insufficienze mentali, motorie e con disturbi relazionali. Qui si mettono in relazione due corpi in movimento, quello del disabile e del cavallo. Il dondolio ritmico che l’andatura del cavallo produce crea un adattamento riflesso nel movimento del cavaliere, ma dopo questa fase passiva si avranno delle reazioni attive che aiuteranno il disabile ad avere una maggiore consapevolezza relazionale e del proprio corpo.
La riabilitazione equestre porta il disabile a guidare autonomamente il cavallo e ad eseguire diverse figure. La consapevolezza di poter agire su un animale tanto complesso produce autostima, benessere, sicurezza nel superare gli ostacoli e miglioramento delle relazioni interpersonali. Il saper guidare il cavallo necessita inoltre coordinazione nei movimenti e orientamento spazio-temporale.
Le fasi successive sono quella del pre-sport, dove il lavoro diventa di gruppo e quindi realtà sociale, e dello sport, dove il disabile viene inserito in un maneggio per normodotati. A chi è rivolta questa possibilità? Alle persone affette da sindrome di Down, da disabilità fisiche, psichiche e relazionali.
Si assiste quotidianamente, in campo medico, al fiorire d’ innumerevoli terapie cosiddette alternative, adottate a sostituire o semplicemente affiancare quelle definite tradizionali. Tra queste, negli ultimi anni, sta facendosi largo la pet-therapy, ovvero la cura di particolari patologie con l’aiuto degli animali. La disciplina in oggetto impiega la presenza di un animale come co-terapeuta per aiutare pazienti con disturbi intellettivi, fisici o psichici, riuscendo là dove altre comuni terapie falliscono.
Bisogna specificare subito che non si tratta di cura alternativa alle medicine ufficiali, ma di valido supporto ad esse. Cani, gatti, cavalli, uccellini ecc. vengono impiegati con successo con portatori di handicap, cardiopatici, ansiosi e depressi, con bambini ed anziani affetti da disturbi della personalità ed in centri di recupero per tossicodipendenti. Gli animali instaurano con l’uomo comunicazioni spontanee di tipo emotivo-affettivo e molte persone con difficoltà cognitive riescono a ottenere progressi significativi. I risultati positivi nell’utilizzo della pet-therapy hanno indotto la sanità pubblica a incentivare questo tipo di approccio favorendo la nascita di centri specializzati nella terapia con animali (ne è un esempio l’ultima finanziaria). La nostra realtà locale ci offre lo spunto per approfondire questo tema, infatti a partire da Gennaio sarà operativo a Caldonazzo (al Castel Trap) un centro di riabilitazione equestre gestito dalla neonata Associazione Pegaso. Abbiamo intervistato una delle quattro fondatrici del centro, Petra Ragona, terapista di riabilitazione equestre nell’area educativo-ludico-sportiva. Ecco cosa ci ha detto sull’argomento: “La riabilitazione equestre nasce nel Settecento inizialmente per pazienti con problematiche fisico-motorie ma in seguito si è estesa con ottimi risultati anche ad ambiti di natura intelletivo-comportamentale. In verità ciò che distingue la riabilitazione equestre dall’accezione più ampia di pet-therapy è il suo aspetto bivalente: può essere sia terapia fisico motoria che terapia cognitivo-comportamentale. Prima di cominciare un trattamento è necessario avere un quadro medico dell’utente intorno a cui sviluppare un progetto individualizzato. Esistono controindicazioni principalmente nei casi di gravi affezioni della colonna vertebrale ma anche nelle distrofie muscolari e nelle forme più gravi di epilessia. Mediamente, un ciclo terapico dura 10 sedute da 20 minuti a 30 minuti a seconda della patologia del paziente. Anche la scelta del cavallo dev’essere oculata, sembra che quello migliore sia il cosiddetto “cavallo quadrato” (1.50 m X1.50 m). Inoltre l’animale, prima di essere usato per un trattamento va “desensibilizzato”, ossia abituato al tocco umano e rassicurato con tante coccole.” Nel centro di Caldonazzo, oltre a Petra Ragona, lavorerà Anna Pedica terapista in riabilitazione equestre nell’area psico-intellettiva. Entrambe hanno conseguito l’abilitazione presso la scuola nazionale ANIRE di Milano (riconosciuta dal DPR 8 luglio n. 610). E proprio alla scuola di Milano, i due cavalli che daranno il via alle prime “riabilitazioni”, si stanno facendo coccolare per benino prima di ricevere l’abilitazione come co-terapeuti!